La crisi del colosso cinese Evergrande trascina in rosso anche i listini mondiali. E domani scadono 83,5 milioni di cedole. Gli esperti però non prevedono un effetto contagio come con Lehman Brothers. Anzi: le materie prime, a partire dal rame, potrebbero calare
La crisi del colosso cinese Evergrande trascina in rosso anche i listini mondiali. E domani scadono 83,5 milioni di cedole. Gli esperti però non prevedono un effetto contagio come con Lehman Brothers. Anzi: le materie prime, a partire dal rame, potrebbero calareIl caso del colosso immobiliare cinese Evergrande è deflagrato proprio il 15 settembre, anniversario del crac di Lehman Brothers avvenuto il 15 settembre del 2008. Tredici anni dopo, il mercato si trova a porsi la domanda: Evergrande è too big to fail o sarà la nuova Lehman cinese? Di certo, con un carico di debiti per 305 miliardi di dollari (pari al Pil della Finlandia), la società non è in grado di pagare gli interessi sui prestiti ed è esposta con 128 banche e 121 istituzioni non bancarie. Lunedì il titolo ha perso oltre il 14% a Hong Kong trascinando in rosso tutti i principali listini asiatici, ma anche europei. Domani scadranno cedole per 83,5 milioni. La società «uscirà dal suo periodo più buio il più rapidamente possibile» e «si assumerà le responsabilità nei confronti degli acquirenti di proprietà immobiliari, investitori, partner e istituzioni finanziarie», ha scritto il suo presidente Hui Ka Yan in una lettera ai dipendenti. Ma già si teme per il contagio su altri big cinesi del settore e per la tenuta del sistema dopo che Sinic holdings, basata a Shanghai, è stata declassato a CCC+ da S&P e inserita in credit watch negativo a causa di «elevati rischi di pagamento» per la mancanza di un piano concreto per i bond in scadenza a ottobre per 246 milioni di dollari. Questo nonostante la società disponga di sufficiente liquidità. Secondo la stessa agenzia di rating, però, il governo di Pechino non fornirà un supporto diretto, «vuole che gli eventi facciano il loro corso anche nel mercato immobiliare della provincia, lo sviluppatore è insignificante rispetto alla vasta economia locale di Guangdong». Secondo S&P, dunque, Evergrande non è too big to fail. Non solo. Ieri il capo economista dell’Ocse, Laurence Boone, ha detto che la Cina ha la capacità di bilancio e monetaria per «ammortizzare lo shock». Chiaramente ci saranno conseguenze dall’onda d’urto del raffreddamento dell’immobiliare cinese: il settore è uno di quelli più presi di mira dalla nuova politica quinquennale di restrizioni messa in atto negli ultimi mesi dal governo centrale limitando l’accesso ai finanziamenti per gli sviluppatori e riducendo la possibilità di contrarre prestiti ipotecari agli acquirenti di case nel tentativo di sgonfiare la bolla del mattone e i conseguenti rischi finanziari. La crescita degli investimenti immobiliari è stata così rallentata e le vendite di abitazioni si sono indebolite ad agosto. L’industria rappresenta oltre il 28% della produzione interna lorda della Cina e secondo Morgan Stanley, le società immobiliari sono risultate inadempienti per 6,2 miliardi di dollari da gennaio a metà agosto, 1,3 miliardi di dollari in più rispetto ai 12 anni precedenti messi insieme. Del resto, era tutto già scritto nel 2017, quando Xi Jinping aveva ribadito che «le case servono per viverci, non per fare speculazione». E se si sgonfia, in maniera «controllata», la bolla del mattone cinese, ciò potrebbe addirittura avere un risvolto positivo (il silver lining) nella misura in cui raffredderà i prezzi delle materie prime. Secondo un report di T-Commodity, è probabile che il principale impatto della crisi di Evergrande si registri più che sul sistema bancario cinese - assai più perimetrato rispetto a quello americano - sulle materie prime per uso industriale. In particolare sul rame che è apparso in rialzo nelle ultime settimane e ora è probabile che si muova al ribasso. Il premier cinese Li Keqiang ha detto che utilizzerà «strumenti di mercato» per stabilizzare i prezzi delle commodities. Sempre secondo T-Commodity, il caso Evergrande non evoca Lehman ma il crollo di Long-Term capital management (Ltcm) avvenuto nel 1998 che comunque è stato gestito molto rapidamente dalla Federal reserve e dalle principali banche e non ha avuto implicazioni globali. Lehman è stata autorizzata a fallire dal Tesoro Usa e dalla Fed mentre T-Commodity si aspetta che il governo cinese ristrutturi Evergrande, probabilmente distribuendo gli asset tra i competitor. Ltcm è stato ristrutturato dalla Fed con l’aiuto delle principali banche statunitensi. Inoltre, i funzionari del governo cinese sono ben consapevoli proprio di quello che sarebbe l’effetto Lehman e quindi faranno di tutto per evitarlo.Non solo. Cavalcare il «momento Lehman» torna utile a quelli che in Borsa vengono definiti shortisti. E sta già diventando un comodo capro espiatorio se le Borse vanno giù. O se gli spread salgono. Guarda caso proprio alla vigilia del primo meeting della Fed post-Jackson Hole sul tapering. Se la Fed aveva bisogno di un alibi nuovo per ritardare ancora le mosse, la Cina ne sta fornendo uno decisamente spendibile.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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«Il Mostro» (Netflix)
Con Il Mostro, Stefano Sollima ricostruisce su Netflix la lunga scia di delitti che insanguinò la provincia toscana tra gli anni Sessanta e Ottanta. Una serie rigorosa, priva di finzione, che restituisce l’inquietudine di un Paese senza risposte.