2022-07-15
La tattica del Pd in vista del voto: usare il centrino e le paure anti Nato
Enrico Letta (Getty Images)
I dem lavorano per il Draghi bis, ma manovrano per sostituire i pentastellati coi cespugli dei vari Clemente Mastella e Carlo Calenda. Trame estere per attaccare il centrodestra usando i timori sul Recovery e sulla postura atlantista.Nella tempesta di sabbia scatenata dalle dimissioni di Mario Draghi e dalla risposta del Colle che le rifiuta, il Pd cerca di portare avanti la solita tattica del geco. Enrico Letta è abilissimo, nei momenti di crisi o di semplice frizione, a sparire nascondendosi sotto la sabbia. Stavolta il polverone è così alto che pure Letta si è dovuto esprimere. Due posizioni diverse nell’arco di poche ore. Alle 18.20 si è spinto a suggerire di proseguire l’esperienza di governo con stesso perimetro e stesso formato. «Penso che si debba andare verificare se la maggioranza vuole andare avanti oppure no e questo può avvenire solo in Parlamento», ha detto il segretario del Pd. «Credo che in questo momento sarebbe molto importante la continuità di governo» e «in Parlamento porteremo la nostra proposta. Diremo che il governo Draghi sta facendo bene e deve continuare». Sull’ipotesi di continuare senza il M5s, Letta ha poi aggiunto: «Abbiamo sempre pensato che questo governo ha la sua unicità e debba continuare con questo formato e in questo perimetro». Un modo per ribadire il concetto del campo largo, se non addirittura lo slogan dei mesi scorsi quando i manifesti del Pd indicavano in Giuseppe Conte il «nostro candidato». Poi è arrivato l’annuncio delle dimissioni. E il Pd ha sterzato. Alle 19.10 ha fatto sapere, tramite nota, che «ora siamo al lavoro perché mercoledì alle Camere si ricrei una maggioranza e il governo Draghi possa ripartire. Il Paese piomba in una crisi gravissima che non può permettersi». Al di là di quello che succederà e di come Palazzo Chigi, che sembra fermo sull’idea delle dimissioni, e il Colle usciranno dal momento di tensione, è sempre più chiaro che i dem spingeranno il piede sull’acceleratore della strategia di rottura del centrodestra in vista delle elezioni. Certo per il Pd più in là sono, meglio è.Uno dei motivi è completare l’operazione di sostituzione della stampella avvenuta con la scissione del partito di Luigi Di Maio dal Movimento 5 stelle. Letta e i vertici dem hanno compreso che il Movimento in fase di voto va sostituito con un nuovo arnese. Da qui la nascita di tutti i mini partiti del centro da Calenda a Toti passando per Mastella e Casini. L’esperimento fosse anche per la presenza di Oscar Giannino nel compagine libdem, al fianco di Calenda, ricorda Fare per fermare il declino.Nel 2013 il giornalista si lanciò in una corsa elettorale che seppur malamente interrotta da un compagno di partito, bastò a togliere voti a Silvio Berlusconi e incrinare alcuni equilibri del centrodestra. Trascorsi nove anni, i dem spolverano lo stesso schema. Ma stavolta, sapendo che non basterebbe, si muovono anche con più disinvoltura sul fronte estero. Il messaggio veicolato sia dentro il Paese sia fuori è che i partiti aggregabili a destra sarebbero un forte elemento di disgregazione per la nazione. Bloccherebbero l’intero percorso del Recovery fund, smonterebbero il cammino dell’Unione bancaria e, infine, manovrerebbero per smontare l’Alleanza atlantica mettendo in discussione la posizione dell’Italia dentro la Nato. Lo storytelling ha un obiettivo chiaro. Arrivare alle elezioni (per il Pd, come dicevamo sopra, meglio a maggio 2023, tempo che serve per far passare il concetto a livello internazionale) e anche di fronte a una compagine di centrodestra vincente, fare in modo che Sergio Mattarella trovi qualunque opzione pure di far salire a Palazzo Chigi un’alternativa. In tutto ciò è buffo osservare le manovre del Pd dall’esterno. Fino ad ora la componente margheritina dei dem ha accetto di condividere la casa con Massimo D’Alema , tra i più grandi estimatori di Pechino, e soprattutto con i 5 stelle, il Movimento più influenzabile dai Paesi anti Nato. Vale per la Cina ma anche il Venezuela e l’Iran.Ovviamente tutti Stati che maneggiano valute bollenti ma non i rubli, che per Enrico Letta sono collegabili soltanto alla Lega. I legami e le idee dei 5 stelle non hanno mai imbarazzato il Pd e non lo faranno in futuro soprattutto se dovesse andare in porto il piano di sostituzione del perimetro del campo largo. Certo, non facile per la maggioranza arrivare illesa a fine legislatura anche se Draghi accettasse di diventare bis. Sarà in ogni caso un esecutivo indebolito. Le dimissioni respinte stanno creando tensione anche dentro il consiglio dei ministri. Secondo indiscrezioni, ieri sera durante la seduta del cdm, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, avrebbe chiesto a Draghi «di valutare, previa la debita chiarezza con le forze politiche, se ci sono le condizioni per un ripensamento». A quel punto il titolare del Mims, Roberto Cingolani, avrebbe replicato alzando la voce che chi chiede ora un ripensamento sarebbe parte integrante della crisi e avrebbe detto che non era il caso «di andare di fioretto, di fronte alla preoccupazione sulle scorte di gas per l’inverno» e alla situazione internazionale. «Proprio per questo motivo è meglio che rimanga presidente in carica invece che un salto nel buio...», la replica di Orlando. Comunque vada, serenità non sarà la parola chiave dei prossimi mesi.