2024-09-11
I socialisti Ue: «Non voteremo Fitto». Il Pd sferra l’attacco contro l’Italia
Elly Schlein (Getty Images)
Rinviata al 17 la presentazione della nuova Commissione. La sinistra minaccia di bocciare il ministro al Pnrr per non dare «un ruolo forte a Ecr». La Schlein preferisce colpire la Meloni piuttosto che sostenere il Paese. Come avevamo annunciato, e temuto, il Pd si schiera contro l’Italia. E lo fa al solo scopo di non riconoscere i meriti di Giorgia Meloni. Invece di esultare perché il nostro Paese in Europa è tutt’altro che isolato e di sostenere la candidatura alla vicepresidenza della Ue dell’attuale ministro al Pnrr, Raffaele Fitto, gli onorevoli del Partito democratico si preparano a votare contro. Nelle scorse settimane, i giornaloni avevano descritto il capo del governo come il vero sconfitto della partita delle nomine, con la rielezione di Ursula von der Leyen senza che ci fosse bisogno dei voti dei conservatori. Insufflati dalla sinistra, Repubblica, Stampa e Corriere avevano sostenuto a testata unificata che nonostante il successo del suo partito alle elezioni europee il presidente del Consiglio non avrebbe toccato palla. Sì, sebbene abbia sfiorato il 30%, e ottenuto la riconferma del consenso della maggioranza degli italiani, il presidente del Consiglio sarebbe finito ai margini, come ospite non gradito fra i grandi. Nonostante Giorgia Meloni fosse l’unico tra i leader europei a non essere stato bocciato dal voto di giugno (ma anche la sola fra i rappresentanti del G7 a non essere un’anatra zoppa, come scrisse l’edizione europea di Politico), Francia e Germania, insieme a pochi altri Paesi, a Bruxelles avrebbero fatto come sempre ovvero gli affari loro, ignorando le richieste dell’Italia e negando qualsiasi concessione alla maggioranza di centrodestra. Questo è per lo meno ciò che riportavano le corrispondenze dal fronte Ue fino a poche settimane fa. Poi, a sorpresa, il quotidiano tedesco Die Welt ha rivelato un’intesa che invece vedeva il nostro Paese in prima posizione nelle nomine. Sul nome di Raffaele Fitto, che prima di approdare nel gruppo dei conservatori è stato per lungo tempo esponente del Ppe, ossia del principale partito europeo, ci sarebbe stato l’accordo per un incarico rilevante, ovvero vicepresidente della Commissione, con poteri esecutivi su materie importanti come l’economia. Siccome negli anni l’Italia è stata spesso penalizzata con nomine di serie B e quando, come nel caso di Paolo Gentiloni, potevano essere di serie A la funzione veniva commissariata con una specie di supervisore, la designazione di Fitto sarebbe un innegabile successo del capo del governo. Dunque, appena la notizia di Die Welt ha iniziato a circolare sono iniziati i mal di pancia. Ovviamente a sinistra. Difficile per Schlein e compagni riconoscere che il nostro Paese è tutt’altro che isolato in Europa. Ancor più complicato mandar giù un rospo di un riconoscimento della capacità di mediazione del premier. E così sono cominciate a circolare voci che la sinistra in Europa si sarebbe opposta alla nomina di Fitto. Un’indiscrezione che ora ha una conferma. Ieri la capogruppo dei Socialisti e democratici ha avvertito il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che potrebbero non votare la nuova Commissione oppure una parte di essa. E nel mirino c’è proprio Fitto, cioè il possibile commissario e vicepresidente indicato dall’Italia. «Collocare un commissario per l’Occupazione il cui impegno nei confronti dei diritti sociali è nella migliore delle ipotesi discutibile, portare proattivamente l’Ecr (cioè il gruppo dei conservatori) nel cuore della Commissione è la ricetta per perdere il sostegno progressista», ha detto la socialista spagnola Iratxe García Pérez. Insomma, i compagni non ci stanno a votare Fitto e di conseguenza a regalare a Giorgia Meloni una vittoria. In altre parole, l’Italia deve essere retrocessa con un incarico di serie B. Niente vicepresidenza operativa, stop a un incarico di prestigio.Peccato che il maggior partito dentro Socialisti e democratici sia il Pd, vale a dire che Elly Schlein e i suoi si preparano a fare uno sgambetto al proprio Paese: «Valuteremo con attenzione, vogliamo chiarimenti dal governo», ha detto ieri la segretaria. E non cambia nulla la precisazione di Nicola Zingaretti, capodelegazione a Strasburgo: l’ex governatore ha provato a salvare capra e cavoli spiegando che «le preoccupazioni sono relative al fatto che ci possa essere una svolta rispetto agli impegni presi da Ursula von der Leyen a luglio. Per questo si chiede coerenza. Siamo dentro una dialettica nella quale la sinistra europea fa bene a chiedere garanzie sul programma. Come Italia, ben venga un ruolo importante per la nazione. Questo adesso spetta alla presidente Von der Leyen». In pratica, a Zingaretti e compagni Fitto va bene purché faccia ciò che vogliono loro. Un modo furbo per non cambiare la sostanza: perché è evidente che se stoppi Fitto al vertice Ue, dici anche no alla possibilità che l’Italia abbia un ruolo di peso nella Commissione. Quando cinque anni fu l’attuale ministro all’attuazione del Pnrr a dover decidere se dare il via libera a Gentiloni non ci fu un attimo di esitazione e l’esponente del Pd, appena bocciato come presidente del Consiglio dagli elettori italiani, fu votato. Si dirà, altri tempi e altre maggioranze. No: altra linea politica. Quella del Pd è contro l’Italia.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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