2022-08-13
Mezzo Pd rivuole allearsi con Conte. Letta fa muro e minaccia dimissioni
Cresce il pressing interno sul segretario per l’asse con il M5s ed evitare la débâcle. Lui non cede: meglio andarsene che l’alleanza. Ma la strategia kamikaze fa infuriare i dem: l’ipotesi siluramento circola già. Enrico Letta ha minacciato di dimettersi da segretario del Pd piuttosto che tentare un’alleanza in extremis con il M5s. È quanto apprende La Verità da fonti autorevoli. Le pressioni della quasi totalità di dirigenti e militanti dem, di ogni corrente, per non lasciare al centrodestra la possibilità di avvicinarsi, col 46% dei voti, al 67% dei seggi, quota che consentirebbe a Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e centristi la possibilità di cambiare la Costituzione, sono aumentate a dismisura ieri, dopo le parole di Silvio Berlusconi relative alle dimissioni di Sergio Mattarella in caso di riforma presidenzialista dello Stato. A sostenere Letta sono rimasti solo, come abbiamo raccontato giorni fa, Stefano Bonaccini e Giorgio Gori, insieme a quel manipolo di candidati vicini al segretario disposti a tutto pur di non rimescolare le carte con una apertura al M5s. Ha fatto molto rumore nel Pd l’intervista di ieri del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, a Repubblica: «Il tema del Sud in queste elezioni», ha detto Manfredi, «al momento è fuori dall’agenda dei partiti, Pd compreso. L’autonomia regionale differenziata, che la Lega potrebbe ottenere dando il via libera al presidenzialismo, aumenterà i divari emarginando ancora di più il Mezzogiorno. Con questa legge elettorale, che premia le coalizioni», ha aggiunto Manfredi, «per vincere sarebbe stato opportuno fare l’accordo con il M5s prima del voto, ma si è deciso diversamente». Le parole di Manfredi, che ha il M5s in maggioranza, hanno due chiavi di lettura: un ultimo appello e una presa di distanze dalla linea politicamente kamikaze del segretario. Letta, nel pomeriggio, alla Stampa, ha continuato a chiudere la porta a ogni ipotesi di alleanza con il M5s: «Per queste elezioni», ha detto Letta, «mi sembra che ormai ci siamo. La campagna elettorale riserverà sorprese ma non su questo. Puntiamo a essere il primo partito d’Italia». «Siamo basiti», ci ha spiegato poco dopo uno dei massimi esponenti del Pd nazionale, «Letta pur di non ripensarci sta mettendo a rischio anche il Quirinale. Un atteggiamento inspiegabile. Certo, Conte non è detto che sia ancora disponibile a ragionare, ma un tentativo fa fatto. Abbiamo rincorso Calenda col 2% e le sue idee di destra», aggiunge la nostra fonte, «perché Letta ha subito la pressione degli imprenditori del Nord, e ci siamo fatti ridicolizzare, e ora regaliamo decine di collegi uninominali alla destra per questioni di rancore personale del segretario». Il 26 settembre, Letta verrà defenestrato a furor di popolo: non c’è più alcun dubbio. «La fase congressuale è già iniziata», ci dice la nostra fonte. Dirigenti, militanti, elettori, sindaci, governatori, soprattutto al Sud ma non solo, sono infuriati per l’atteggiamento del segretario. Oggi c’è in programma la direzione nazionale del partito, non è escluso che il tema venga sollevato anche in quella sede, la più ufficiale. Roberto Fico, sul Fatto Quotidiano, ha definito «frettolosa» la scelta del Pd di rompere ogni rapporto con il M5s. Il presidente pentastellato della Camera, a quanto ci risulta, è uno dei «pontieri» più attivi, uno di quelli che ritengono improbabile, ma non impossibile, evitare il suicidio elettorale dell’ex fronte giallorosso, obiettivo che passa necessariamente da un’alleanza tecnica per gli uninominali tra Pd e M5s, almeno al Centro e al Sud. Il terzo polo, quello vero, è infatti rappresentato dai pentastellati, che i sondaggi segnalano al di sopra del 10%. Al Sud sfiorano il 20: in sostanza, quanto basta per capovolgere il quadro, che vede al momento il centrodestra destinato a fare il pieno in tutti gli uninominali, pur con una percentuale inferiore alla somma di Pd e M5s. «A ottobre ci sarà l’assalto al Quirinale», sospira un esponente dei dem di lungo corso, molto vicino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «Berlusconi è stato sincero. L’Italia ballerà come mai è successo prima, in un momento così difficile sotto tutti i punti di vista». La situazione attuale, a quanto risulta da uno studio realizzato da YouTrend, in collaborazione con Cattaneo Zanetto & Co, vede 114 collegi con una chiara tendenza favorevole al centrodestra alla Camera, sui 147 totali e 57 su 74 al Senato. Non solo: il mini polo Renzi-Calenda favorirebbe ancora di più la coalizione di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. C’è chi sostiene che Letta coltivi il sogno di un posto di rilievo nella Nato, in cambio del ridimensionamento del M5s e di Giuseppe Conte, contrari all’aumento della spesa per gli armamenti, anche se questo comporterà la disfatta elettorale dei dem. Naturalmente, come abbiamo detto, i fedelissimi di Letta sono disposti a tutto pur di non cambiare le carte in tavola: «Conte ha fatto cadere Draghi», ci dice un lettiano, «i nostri elettori non capirebbero una alleanza». In realtà, basta un’occhiata ai social per verificare che è esattamente il contrario: gli elettori di sinistra non capiscono perché Letta stia regalando al centrodestra una maggioranza mai vista prima nella storia della Repubblica.
Charlie Kirk (Getty Images)