2023-11-27
L’uomo è cattivo. Se non è un immigrato
La protesta sotto la sede di Pro Vita (Ansa)
C’è un filo che collega le manifestazioni contro il patriarcato e i media che censurano la nazionalità degli stranieri che vogliono «ammazzare i bianchi»: in entrambi i casi, infatti, emerge la rabbia nei confronti del maschio europeo, oppressore da eliminare.Forse, dopo il delirio degli ultimi giorni, occorre fare un po’ di chiarezza sui termini. Bisogna intendersi, ad esempio, su che cosa sia quel patriarcato a cui le femministe continuano a rivolgersi in maniera quasi ossessiva. Quel patriarcato che esse intendono combattere, ad esempio, assaltando la sede di Pro vita.Come ha spiegato in una intervista Elvira Vannini, commentando l’opera di una celebre attivista quale Bell Hooks, «razzismo e sessismo sono rapporti di dominio interconnessi; il patriarcato è un sistema oppressivo millenario che investe anche gli uomini, che ne traggono i maggiori privilegi, ma sessismo e dominio maschile riguardano l’intera organizzazione sociale e anche le donne sono soggetti di potere». Il patriarcato insomma è una forma di dominio maschile che non soggioga soltanto le donne, ma in generale tutte le minoranze o comunque i presunti soggetti deboli a partire dai figli. Dunque sarebbe il caso di essere più chiari. Combattere il patriarcato significa, nei fatti, lottare per la distruzione del maschio. Per la precisione, il maschio bianco europeo. È questo il vero obiettivo delle attiviste, che sono poche ma ben motivate. Il problema è che questa idea è diventata di massa, il mainstream se n’è appropriato e utilizza le battaglie del femminismo per produrre un cambiamento del sistema produttivo e di conseguenza del modello sociale. Un tempo serviva un capitalismo mascolino, muscolare. Oggi abbiamo invece il capitalismo woke che ama presentarsi come materno, benevolo, «consapevole» (ovviamente, si tratta di una diabolica maschera). Come una madre cattiva e ansiogena, questo capitalismo controlla, rinchiude in casa, non lascia ai singoli libertà di scoprire il mondo e di essere realmente sé stessi. Le attiviste sono le serve sciocche di questo sistema mortifero, che ne sfrutta l’astio nei confronti del maschio. Non si rendono conto, poverine, di essere quotidianamente ingannate. Pensano di compiere atti eroici quando attaccano una organizzazione che difende le donne (le madri) e addirittura lotta perché ne vengano al mondo di più. E mentre le sciamannate di Non una di meno (ribattezzata da ieri Non una ti meno) berciano e assaltano, ogni giorno il potere che si finge materno e tollerante ruba loro altri spazi di autonomia. Spieghiamo. L’idea che il maschio bianco europeo sia il cattivo per eccellenza, il nemico assoluto, è il fondamento di una singolare teoria chiamata «intersezionalità». Con questa parola, ha scritto il pensatore francese Pascal Bruckner, si indica «la condizione di chi vede simultaneamente accumularsi su di sé diverse forme di discriminazione presenti nella società odierna, come il sessismo, il razzismo, l’omofobia o la transfobia. È un sovrapporsi di pregiudizi che consente di comprendere la situazione delle persone maggiormente vulnerabili».In questo quadro ideologico, prosegue Bruckner, «ciascuno di noi è la somma delle sue ferite. Per esempio, una donna nera lesbica può vantare tre forme di oppressione che conteranno come altrettante voci nel suo curriculum, soprattutto se è portatrice di handicap. […] La buona vittima è quella che totalizza il maggior numero di punti nel martirologio che ognuno compila per essere riconosciuto».Esiste una scala delle vittime, e ovviamente esiste una scala dei carnefici. In cima a quest’ultima sta il maggior rappresentante del fascismo e della malvagità attualmente disponibile su piazza: il maschio bianco eterosessuale, lo spauracchio che agita i sonni della gente per bene. È il cattivo per eccellenza, brutale, feroce, assetato di sangue. I teorici e soprattutto le teoriche dell’intersezionalismo, sulla scorta degli scritti della americana Judith Butler, si sono convinti che le varie minoranze e i soggetti perseguitati si debbano costituire in una «alleanza dei corpi» per abbattere il maschio dittatore. Femministe, trans, attivisti Lgbt, migranti... Tutti uniti nella lotta contro il Grande Avversario. È una sorta di nuova versione della lotta di classe in cui al posto del proletariato ci sono le minoranze rabbiose: le lotte sociali per il lavoro sono state abbandonate a favore di quelle fucsia. Chissà, forse tra i lavoratori ci sono troppi maschi. La promessa degli attivisti è che, una volta ucciso l’uomo cattivo, ci sarà la libertà per tutti. Come possa andare a finire già lo sappiamo: alla morte di Dio è seguita più schiavitù, non altro. In base a questa logica, non vi è alcuna differenza fra le manifestanti che ragliano contro il patriarcato e i media progressisti che censurano la nazionalità dell’uomo (un maghrebino) che ha assaltato una scuola a Dublino o fingono di ignorare l’attacco ai bianchi (proprio così: li hanno attaccati in quanto bianchi) in Francia. In tutti questi casi, emerge la rabbia contro il maschio europeo: l’oppressore da eliminare. È per questo che l’assassino straniero è così spesso protetto a livello mediatico: perché in fondo è riconosciuto come vittima, anche quando è carnefice. È per questo che la violenza liberticida è ammessa quando viene esercitata da «donne impegnate». Tutta questa impalcatura ideologica mostra soltanto un piccolo difetto. L’idea che gli oppressi si possano coalizzare contro il maschio padrone è semplicemente folle. E il motivo è che gli interessi dei presunti oppressi sono in contrasto fra loro, cosa che il sistema sa benissimo e sfrutta a proprio vantaggio per sbriciolare ancora di più la società. I migranti non si potranno mai alleare con le femministe, anche perché provengono per lo più da nazioni in cui il patriarcato vecchio stile esiste davvero, ed è pure bello robusto. I militanti trans non possono difendere i diritti delle donne, perché sono maschi che pretendono di ridefinire che cosa sia la femminilità a danno delle donne biologiche. Gli attivisti Lgbt che chiedono l’utero in affitto difficilmente potranno lottare per la dignità femminile sempre e comunque. Le attiviste credono di battersi contro razzismo e discriminazione, ma stanno semplicemente combattendo una battaglia farlocca che le distrae da quelle vere. Il sistema le vuole senza figli e loro attaccano chi lavora per avere più maternità. Il sistema le vuole povere e sradicate e loro difendono la migrazione di massa che abbassa i salari e rende insicure le città. Il sistema le vuole arrendevoli e disponibili, e loro elogiano la commercializzazione dei bambini e il sex work (cioè sfruttamento del corpo). Il sistema le vuole schiave, e loro si prostrano volentieri. Cagnoline obbedienti, corrono ad attaccare l’odiato maschio. Alla fine, non c’è dubbio, riusciranno a farlo fuori: solo allora si accorgeranno con orrore di aver ucciso una parte di sé.
Margherita Agnelli (Ansa)
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