2021-10-22
Pasquale Mammaro:«Così riporto in auge le voci del passato»
Pasquale Mammaro e Orietta Berti
Il manager specializzato nello scovare il brano giusto: «Pensavo che la Berti al Festival gareggiasse solo per fare bella figura, invece è stato un trionfo. Il segreto di Sanremo? Trovare alla canzone il “suo" vestito. In questo modo ho vinto con Il Volo e Diodato».In campo musicale, mentre le nuove promesse inseguono i talent show, per i cantanti di una certa età desiderosi di una seconda chance c'è solo una strada da percorrere: Pasquale Mammaro, il Mr. Wolf delle sette note. Speaker, editore, manager, ma anche produttore di programmi tv, da 45 anni Mammaro ha scalato le posizioni, fino a diventare uno dei personaggi più influenti della musica italiana. Un numero uno sempre nell'ombra (dei suoi assistiti).Ha cominciato nell'epoca mitica delle radio locali…«Nel 1975. Avevo 15 anni! Fin da bambino avevo la passione della musica: seguivo l'hit parade di Lelio Luttazzi, i miei genitori mi avevano regalato un radio-registratore a cassette, con il quale registravo il programma, poi con un piccolo giradischi realizzavo la mia piccola classifica personale».Come ha fatto a entrare in una radio così giovane?«Mio cugino aveva aperto la prima radio nella provincia di Latina, Radio Alpha International, una cosa casareccia, come tutte le emittenti dell'epoca. Erano i tempi in cui non c'era una regolamentazione, chiunque poteva farsi una radio per conto proprio. È stato un bel periodo. Andavano soprattutto i gruppi, i Cugini di campagna, i Collage, gli Alunni del sole… ritengo i Settanta gli anni migliori in assoluto della nostra musica».Poi è passato a Radio Montesacro…«Era la radio del quartiere in cui sono andato a vivere a Roma. Ho conosciuto il proprietario di questa emittente e ho cominciato a fare dei programmi anche lì. Andavo dai negozianti della zona a procurare contratti pubblicitari da trentamila lire al mese!».A che ora andava in onda?«Sempre il pomeriggio, perché la mattina andavo a scuola. Il mio mito all'epoca era Lamberto Giorgi, che nella vicina via Brennero conduceva un programma musicale (Dedicato a voi, ndr) sulla tv locale Tvr Voxson. Partecipavano artisti importanti e io andavo a trovarlo».Poi ha fatto il salto in campo musicale.«A un certo punto ho cominciato a fare il promoter per piccole etichette discografiche. Ho iniziato con la Cinevox, con la quale ho conosciuto Orietta Berti. Avevo vent'anni. Programmavo interviste nelle varie radio private e andavo in giro con lei, il marito, i figli piccolini… poi ci siamo persi di vista e ci siamo ritrovati, circa quindici anni fa. Orietta mi ha chiesto di lavorare per lei e abbiamo costruito insieme un percorso che ci ha regalato grandi soddisfazioni».Qual è stato il primo artista al quale si è legato?«Little Tony, che è stato il mio più grande amico. L'ho conosciuto agli inizi degli anni Novanta, lui cercava un promoter e un amico comune ha organizzato un incontro. Sono andato nel casale di Tony sull'Appia Antica e, appena arrivato, ho letto “Rock and roll boulevard, Elvis Presley Boulevard…"! Poi ho visto che mi aspettava all'ingresso della porta di casa con la giacca con le frange ed è stato un colpo di fulmine. Sono andato per prendere un caffè e mi sono ritrovato a cena con lui. Non ci siamo più lasciati. L'ho portato al festival di Sanremo nel 2003, dove ho avuto l'idea di unire lui e Bobby Solo, e nel 2008 da solo per festeggiare i cinquant'anni di carriera».Tra Little Tony e Bobby Solo c'era rivalità?«Tutti mi dicevano che ero il manager più ricco del momento, in realtà non ho fatto neanche una serata con loro perché, purtroppo, la rivalità c'era. Era una rivalità strana perché loro si volevano comunque bene, però Bobby sul lavoro diceva che a livello di immagine Tony lo batteva, mentre lui si sentiva più forte musicalmente. Io avevo trovato tanti eventi da fare assieme, ma Bobby li ha rifiutati tutti».Little Tony come ci è rimasto?«Tony mi diceva sempre: “Pasquale, tanto Bobby non accetta, lo conosco". Aveva ragione: non accettava mai niente, per cui questa operazione è nata a Sanremo ed morta lì».Prima di Little Tony aveva artisti minori?«Beh, sì, ero giovane, cercavo di fare quello che era possibile, però mi ero già tolto delle grandi soddisfazioni. Nel 1986 avevo avuto l'idea di unire i più famosi calciatori del momento per una canzone benefica chiamata Alleluia. Siamo arrivati al primo posto in hit parade e da lì si è cominciato a parlare anche di me: “Questo Mammaro, tutto sommato, ci ha preso". Sono riuscito a portare i giocatori di Roma e Juventus il sabato sera a Fantastico da Pippo Baudo e lì è scoppiato il successo del brano. I calciatori erano in ritiro, la domenica c'era la partita Roma-Juve, bisognava sbloccare la situazione perché Baudo aveva detto: “Se passo solo il video, non ha senso, qualche giocatore deve venire in studio". Pippo credeva così tanto in questa iniziativa che davanti a me ha chiamato Andreotti e gli ha detto: “Giulio, io ho bisogno di questo favore". Andreotti è intervenuto e sono arrivati Boniek, Conti, Platini e Cabrini». Com'era riuscito a convincere a cantare i grandi campioni della serie A?«Attraverso Aldo Biscardi, che mi ha dato una grossa mano mettendomi in contatto con tutte le società di calcio. Ho lavorato sei mesi per questa operazione. L'unico cantante vero era Gullit. I casi della vita: il giorno che eravamo alla Rca a incidere il brano il procuratore del giocatore olandese, mio amico, mi ha detto: “Guarda, io ho questo Gullit, che è uno forte, lo sta acquistando il Milan, ha un appuntamento con Berlusconi. Se vuoi, te lo porto". Me lo ho portato in studio, Gullit si è messo lì con i ragazzi che avevano composto il brano (Stefano Urso e Lorenzo Swother, ndr) e nel giro di qualche ora ha cantato tutta la sua parte. È stato l'unico a eseguire la parte solista». Non ha mai pensato di fare l'agente di calciatori?«Non mi è mai venuto in mente. Avrei potuto guadagnare qualcosa in più!».Ha fatto una serie di colpi memorabili, legando il suo nome alla capacità di rilanciare grandi cantanti.«Mi sono un po' dilettato nel riportare al successo artisti del passato con i loro cavalli di battaglia, cosa che ho fatto con Little Tony, Orietta Berti, Fausto Leali, Rita Pavone, Marcella Bella, per citare alcuni nomi. È un lavoro che continuo a fare, finché magari capita l'occasione di partecipare al festival di Sanremo. È l'unico evento musicale in Italia nel quale se hai la canzone giusta e l'artista giusto, puoi fare bingo, come mi è successo più di una volta».A cominciare da Il Volo.«Avevo il brano Grande amore già nel cassetto da tanti anni. Carlo Conti lo ha ascoltato e ha detto: “Sì, presentalo". Era destinato a una coppia, un giovane tenore e una giovane soprano (gli Operapop, Enrico Giovagnoli e Francesca Carli, ndr)… io pensavo che fossero giovani! Il tenore aveva superato i 36 anni, quindi non poteva partecipare nella sezione nuove proposte. Sono rimasto con questa canzone e dovevo piazzarla, allora Carlo mi ha detto: “Io vorrei portare i ragazzi de Il Volo, però hanno presentato brani che non mi piacciono. Prova tu a fargliela sentire". Alla fine, sono riuscito a convincerli, attraverso Celso Valli e Michele Torpedine, a presentare il brano a Sanremo (edizione 2015, ndr). E hanno vinto».Nel 2020 ha fatto il bis con Diodato.«L'anno prima, nel 2019, sono arrivato terzo con Il Volo, che presentavano il brano Musica che resta, di cui ero anche questa volta editore. Nel 2020 la casa discografica Carosello Records mi ha fatto ascoltare Fai rumore di Diodato, non volevano presentarlo, ma io ho detto: “Io ci credo, datemelo". Sono andato a Roma, l'ho fatto sentire a Amadeus, al quale è piaciuto. Quest'anno poi con Orietta abbiamo fatto bingo. Le avevo detto: “La canzone è bella. Non ti preoccupare, andiamo solo a fare bella figura, non ti aspettare altro", invece è stato un trionfo».Anche quella canzone, Quando ti sei innamorato, non era per lei…«Era destinata ai ragazzi de Il Volo, che la tenevano nel cassetto, rimandando di anno in anno. Alla fine mi sono stufato, ho chiesto a Francesco Boccia di trasformarla in un testo dedicato al marito di Orietta, Osvaldo, in modo che le donne potessero immedesimarsi: ogni donna lo avrebbe dedicato al proprio marito».Quindi ha nel cassetto tanti brani che in futuro potrebbero avere successo?«Sono lì pronti. Ricordati che ogni brano cerca un vestito giusto».Le piace di più fare il manager o l'editore?«Il manager. Però, come editore, quando sento dei brani che mi piacciono e ci credo, vado avanti. Sono testardo e sono un grande lavoratore. Il nostro mestiere non ha orari, non hai famiglia, devi rinunciare a tante cose. Io per fortuna una famiglia ce l'ho e me la tengo stretta. Adesso, quando posso, dico a mia moglie di accompagnarmi, altrimenti dovremmo stare sempre lontani».Quali sono le doti di un manager?«Molta pazienza e lungimiranza. Bisogna rispondere sempre al telefono, in qualsiasi situazione. Pensa che Mino Reitano mi chiamava sempre a mezzanotte e mi teneva al telefono fino all'una, una e mezza. Little Tony invece mi chiamava presto il mattino, alle otto e mezza, e mi diceva: “Sei già sul ponte del comando?". Voglio ricordare anche Paolo Morelli de Gli alunni del sole. Negli ultimi anni mi chiamava quasi tutte le mattine semplicemente per augurarmi buongiorno. Era un vero e proprio poeta».Chi era il più bizzarro?«Ognuno ha le sue. Mino Reitano era un uomo di grande generosità: diceva che devono guadagnare tutti. Quando in albergo lo aiutavano a portare il bagaglio in camera, lui regalava cinquantamila lire di mancia. Io dicevo: “Ma Mino, non è esagerato?". E lui: “Anche loro devono guadagnare". “Magari dieci euro andavano bene lo stesso", replicavo, ma lui era fatto così. Stavamo a Sanremo e lui andava a comprare il pesce dai pescatori per farselo cucinare. Io dicevo: “Stiamo in un grande albergo, ce l'avranno il pesce!". “No, io lo devo comprare dai pescatori perché anche loro devono guadagnare". Aveva una sua filosofia. Anche Tony era un uomo molto generoso».C'è un artista che avrebbe voluto seguire?«Forse Gianni Morandi, che è mio amico, tra l'altro. Mi piacerebbe lavorare con lui perché è una persona che stimo».
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