2023-05-16
Macché epurato, il partigiano Fabio segue i soldi
Altro che perseguitato: da mamma Rai, Fabio Fazio è stato solo beneficato con un pacco di soldi. E anche adesso che se ne va con l’aureola del martire in testa, l’addio è compensato da un’altra montagna di quattrini. Dalla televisione pubblica il conduttore di Che tempo che fa infatti incassava 1,9 milioni l’anno, mentre a Discovery, dove è approdato, il santo dell’informazione rigorosamente corretta a sinistra, ne guadagnerà 2,5. Seicento mila euro di differenza fanno 2,4 milioni in più in quattro anni di contratto. Una bella cifretta, che certo vale un trasloco. Se poi ci si può anche atteggiare a eroe, che lascia in quanto sono sopraggiunti i nuovi barbari, il bye bye è ancor più conveniente: infatti Fazio incassa in moneta sonante e pure in immagine, come apostolo della libertà di stampa. Lo scandalo sta tutto qui, in una polemica studiata a tavolino e messa in atto con una certa dose di furbizia, qualità che certo non è mai mancata al partigiano Fabio. Fin dai tempi in cui emigrò a La7, passaggio che ora ha cancellato dalla sua biografia, accreditando l’idea di aver trascorso gli ultimi quarant’anni esclusivamente nel servizio pubblico, il reggi-microfono dei potenti, soprannominato Mr. Valium da Bono degli U2, è sempre stato abile a presentarsi come un epurato speciale. Accadde nel 2001, in prossimità della vittoria del centrodestra, quando se ne andò sbattendo la porta perché la dirigenza di viale Mazzini non gli aveva assicurato un contratto triennale. Un addio ben compensato da un contratto con l’ex Telemontecarlo, che - comprata da Roberto Colaninno - avrebbe dovuto diventare il terzo polo tv. Poi però, soffocato dai debiti di Telecom, il nuovo canale fu spento prima ancora che iniziasse le trasmissioni. Fazio si consolò con una buonuscita stellare, da 28 miliardi di vecchie lire. Per qualche tempo se la spassò, godendosi i soldi e investendoli. Poi tornò sui suoi passi, riaccasandosi in quella televisione che aveva abbandonato con un leggero risentimento. Inutile dire che a viale Mazzini lo attendeva a braccia aperte la solita compagnia di giro che da anni occupa il servizio pubblico. E anche se a Palazzo Chigi c’era sempre Silvio Berlusconi, Fazio non sembrò temere più alcuna censura, come ai tempi del suo primo addio. Che però il gioco dell’epurato speciale gli piacesse, lo dimostrò anche più tardi, quando dopo la breve parentesi di Romano Prodi, il Cavaliere tornò nel 2008 alla guida del governo. Pur di far parlare di sé e della sua trasmissione, il chierico della tv inventò un programma con Roberto Saviano, dove lo scrittore mise in scena una serie di accuse contro la Lega, parlando di rapporti fra la ‘ndrangheta e il partito fondato da Umberto Bossi. Finì con una polemica da prima pagina, che attirò l’attenzione degli italiani. Senza quella, probabilmente il programma sarebbe trascorso fra uno sbadiglio e l’altro, ma l’attacco diretto a uno dei partiti di governo, proprio mentre il ministero dell’Interno era guidato da Roberto Maroni, non poteva passare inosservato. Infatti, il numero due della Lega chiese di poter replicare, appellandosi anche al capo dello Stato. Lo scontro si rivelò un autentico battage pubblicitario per la trasmissione del partigiano Fabio, il quale dalla sua villa sulla collina di Celle Ligure, probabilmente calcolava quanto gli sarebbe valso in termini economici il battibecco. Nonostante il regime più volte denunciato dai suoi ospiti (Massimo Giannini, Marco Damilano e Annalisa Cuzzocrea sono stati spesso presenti a Che tempo che fa), nessuno ha mai imbavagliato il martire savonese, il quale ha potuto negli anni coltivare la sua parrocchietta di amici. Attenzione: non sono io a parlare del salotto ristretto di compagni tenuto dal conduttore-buonista, ma uno che vede e denuncia fascisti in ogni dove, ossia Paolo Berizzi, inviato di Repubblica che ieri, pur criticando Matteo Salvini, si è fatto sfuggire la definizione di parrocchietta frequentata esclusivamente dagli amici degli amici. Un circolo che nel corso degli anni a Fazio ha fruttato una montagna di milioni. Tempo fa Gianni Dragoni, giornalista del Sole 24 Ore, gli fece i conti in tasca, scoprendo che nel 2018 la sua società con cui produceva per conto della Rai Che tempo che fa era passata da un fatturato di 3,8 milioni a uno di 11, con «un costo totale per la tv pubblica di 18,3 milioni l’anno (dunque 73 per quattro anni)». Mica male per un perseguitato. Tuttavia, dopo aver orchestrato l’addio, annunciandolo il giorno prima che si insediasse il nuovo amministratore delegato, quello del nuovo corso, l’epurato speciale ha voluto anche fare la predica alla maggioranza, accusando la politica di comportarsi da proprietaria nei confronti della tv in forza del risultato elettorale. Un atteggiamento, ha scritto nella sua rubrica sul settimanale Oggi, di «strabordante ingordigia». Visti gli incassi di Fabiolo, si può parlare di un preclaro esempio di bue che dà del cornuto all’asino.
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