
Francesco a colloquio con Raymond Leo Burke, al quale ha tolto casa e stipendio. Al termine, il porporato commenta: «Sono ancora vivo». Forse il Pontefice spera si abbassino i toni, mentre altre diocesi bocciano «Fiducia supplicans».«Sono tutti con me, mi critica solo la stampa di estrema destra». Papa Francesco, da quanto riferiscono alla Verità fonti ben informate, ignora o snobba consapevolmente la rivolta dei vescovi di mezzo mondo contro Fiducia supplicans, la Dichiarazione con cui l’ex Sant’Uffizio ha dato il via libera alla benedizione delle coppie gay. Eppure, nelle ultime settimane, ha ricevuto diverse persone rimaste vittime della «misericordia». Ieri, Jorge Mario Bergoglio ha visto il cardinale Raymond Leo Burke, il tradizionalista «ribelle» al quale il successore di Pietro aveva fatto togliere la casa e lo stipendio - rimane il giallo sull’assicurazione sanitaria vaticana. L’11 dicembre, invece, si era confrontato con don Julián Carrón, dimessosi a novembre 2021 dalla presidenza di Comunione e liberazione, per effetto di un decreto del Papa, che aveva limitato a un decennio il mandato dei vertici dei movimenti ecclesiali. Sei giorni dopo, era stata la volta di fratel Enzo Bianchi, ex priore di Bose, costretto nel 2020 ad allontanarsi dalla comunità con un altro provvedimento del Pontefice. E non è sfuggito ai media il ritorno di padre Georg Gänswein, punito per il libro Nient’altro che la verità, caustico con il Papa argentino: ora ha avuto l’ok per celebrare a San Pietro la messa a un anno dalla morte di Benedetto XVI. Cosa si sono detti Francesco e Burke? Il loro è stato un chiarimento a quattr’occhi? Uno sforzo di riconciliazione? L’Eminenza statunitense, a Reuters, ha affidato un commento laconico dopo il colloquio: «Be’, sono ancora vivo». Stando alle indiscrezioni raccolte dal Messaggero, il faccia a faccia è stato «complesso».Le foto diffuse da Vatican news mostrano i due religiosi mentre si stringono la mano e conversano in modo amabile, seduti l’uno di fronte all’altro. Considerato che il Pontefice, sul piano politico e comunicativo, non è uno sprovveduto, può darsi che l’evento, debitamente pubblicizzato, rappresenti un tentativo di gettare acqua sul fuoco. È possibile che il Santo Padre, al netto dell’irremovibilità che ostenta, sia consapevole che sta camminando su un terreno minato. E che, a innescare gli ordigni, sono stati i suoi stessi azzardi.A chi ne ha dibattuto con lui, Bergoglio ha riferito di aver firmato il documento sulle benedizioni, sottopostogli dal prefetto della Fede, Víctor Manuel Fernández, senza nemmeno leggerlo. Non è chiaro se fosse al corrente del «golpe» tramite il quale il cardinale argentino lo aveva licenziato: esautorando, cioè, la Feria Quarta, la commissione di esperti che dovrebbe esprimersi sulle questioni di rilevanza teologica e che Tucho non ha mai convocato. Il Papa crede oppure finge di credere che la Chiesa sia dalla sua parte? La verità è che il disagio suscitato da Fiducia supplicans, anziché accelerare il temuto scisma dei prelati conservatori, sta semmai compattando le gerarchie cattoliche nell’insofferenza per la linea della Santa Sede. Ed è significativo che la rivolta sia partita proprio da primati e conferenze episcopali del continente africano, ossia quella «periferia» che permea larga parte dei discorsi di Francesco.Giovedì, alla lunga lista dei dissenzienti, si è aggiunto monsignor Paul Kariuki Njiru, keniota. In un comunicato, il responsabile della diocesi di Wote ha sottolineato che «benedire le coppie in una situazione irregolare e quelle dello stesso sesso che non sono pronte a convertirsi contraddice direttamente e gravemente gli insegnamenti della Scrittura e il buon magistero». Per queste ragioni, ha concluso, la Dichiarazione «dovrebbe essere respinta nella tua totalità». Vale la pena ricordare che Njiru, il quale ha proibito ai parroci di amministrare il sacramentale ai coniugi «illeciti», non è un capofila della fronda conservatrice: la sua recente nomina, anzi, è stata disposta da Francesco.Qualcosa di simile era accaduto con il capo dei vescovi africani, il congolese monsignor Fridolin Ambongo Besungu: creato cardinale da Bergoglio, si è aggrappato al metodo sinodale per chiedere un parere ai presuli del continente sull’applicabilità di Fiducia supplicans. Intanto, ha deplorato «l’ambiguità» dello scritto, che «si presta a numerose interpretazioni e manipolazioni». Ma quale sia l’orientamento prevalente, in Africa, è già palese: Angola, Costa d’Avorio, Malawi, Zambia, Burkina Faso, Ghana, Mozambico, Nigeria, Camerun, Togo, Ruanda e Zimbawe si sono schierati contro Tucho, costretto a correre ai ripari con una goffa intervista a The Pillar, nella quale ha minimizzato le preoccupazioni dei prelati africani e asiatici, sostenendo che essi «non vogliono esporre le persone gay alla violenza», alle ritorsioni omofobe nei Paesi d’origine.Se si esclude il capo della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, che ha difeso la Dichiarazione sul Corriere, i vescovi italiani hanno preferito il silenzio. Solo il presule di Ventimiglia, monsignor Antonio Suetta, ha invitato a non fraintendere l’uso del termine «pastorale», più volte - e non sempre a proposito - richiamato da Fernández. In Vaticano, però, non possono fischiettare: le critiche non sono un’esclusiva dei tradizionalisti. Per ricordare i principali: Gerhard Ludwig Müller, che ha tirato in ballo la blasfemia; Joseph Strickland, che ha invocato una sorta di resistenza passiva; Athanasius Schneider, che ha definito un «grande inganno» il testo di Tucho.A ribollire di più sono le regioni nelle quali la fede è giovane e viva. In Brasile, la diocesi di Formosa ha fatto sapere che seguire le istruzioni della Dichiarazione «provocherebbe scandalo e incomprensioni». Le benedizioni delle coppie gay sono state proibite pure a Petrópolis. Hanno bocciato Fiducia supplicans, inoltre, il vescovo di Astana, in Kazakistan; l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, nelle Filippine; le Conferenze episcopali polacca, ungherese e ucraina e molti altri presuli europei. Sarà arduo chiudere la questione togliendo a tutti casa e stipendio.
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
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