2021-12-03
Sono nella black list dei terroristi. Il ministro Di Maio li riempie di soldi
Militanti mascherati del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Getty Images)
Il caso sollevato da Fdi: ai fondamentalisti palestinesi i fondi della cooperazione italiana. Ma la Farnesina difende le Ong.Ci sono anche i fondi italiani della cooperazione internazionale nelle casse di una formazione politico-militare palestinese di ispirazione marxista-leninista che Canada, Stati Uniti e Unione europea bollano come una «organizzazione terroristica». Al pari di Israele, dove il caso si è subito trasformato in uno scandalo. Ma il ministro degli Esteri Luigi Di Maio fa il pesce in barile e, rispondendo a una interrogazione presentata dal deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro Delle Vedove, invece di stoppare immediatamente i flussi di denaro, si è fatto portavoce di una «azione di sensibilizzazione nei confronti delle autorità israeliana affinché queste ultime forniscano prove più circostanziate a sostengo delle gravi accuse mosse alle organizzazioni oggetto del provvedimento di designazione». La risposta di Di Maio è imbarazzante. E i presunti terroristi marxisti-leninisti, ovviamente, ringraziano. Ma ora bisognerà capire cosa c’è dietro. Il caso è scoppiato il 6 maggio scorso, quando sul quotidiano Jerusalem post è apparsa una notizia dai contenuti dirompenti: quattro palestinesi erano stati accusati di aver dirottato fondi per la cooperazione allo sviluppo, provenienti dall’Europa, verso il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. L’organizzazione, fondata nel luglio 1967 da George Habash, si definisce come «fazione di avanguardia della classe lavoratrice palestinese e più in generale dei lavoratori salariati», il cui obiettivo strategico è «la liberazione della Palestina dall’occupazione coloniale sionista» e la «creazione di uno Stato democratico palestinese su tutto il territorio della Palestina storica, con Gerusalemme quale sua capitale». L’allarme era stato lanciato dallo Shin Bet, l’intelligence israeliana che si occupa della minaccia interna, che hanno informato il governo sostenendo di aver scoperto l’esistenza di un «sistema di organizzazioni sparse in Europa, capaci di ottenere milioni di euro da dirottare per finanziare azioni violente e terroristiche». Gli israeliani hanno fornito nei mesi scorsi anche alle controparti europee prove che dimostrerebbero che sei organizzazioni messe sotto accusa (Al Haq, Uawc, Defence for children, Bisan center, Adameer e Union of palestinian women’s commitees) sarebbero coinvolte in operazioni di raccolta e riciclaggio di fondi a favore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina usati per il reclutamento di attivisti e per sostenere le famiglie di terroristi condannati. Una sorta di soccorso rosso alla palestinese. Esponenti di due organizzazioni non governative finanziate, inoltre, sarebbero stati arrestati e condannati l’anno scorso in quanto membri di una cellula terroristica affiliata al gruppo socialista rivoluzionario, responsabile dell’uccisione della diciassettenne Rina Shnerb nell’agosto 2019. Nel 2018, inoltre, l’Arab Bank aveva fermato i flussi bancari a favore di un’altra Ong finita nel mirino per presunti legami di alcuni suoi esponenti con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. «Lo Shin Bet», sostiene Delmastro, «ha dichiarato di avere una lunga serie di prove che documentano come queste organizzazioni palestinesi producano reportistiche e attività fittizie in grado di giustificare l’impiego dei fondi provenienti dall’Europa». E la Ngo monitor, una Ong israeliana, ha condotto uno studio secondo il quale oltre 70 funzionari di Ong palestinesi sarebbero collegati al Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Delmastro ha quindi ricordato che «l’articolo 270 bis del codice penale italiano sanziona il reato di finanziamento al terrorismo». E che «qualora quanto rappresentato dal ministro degli Esteri israeliano fosse vero, ciò rappresenterebbe una macchia indelebile per la cooperazione allo sviluppo in Italia». Le informazioni fornite da Israele, però, secondo Di Maio, «non appaiono sufficienti». E rimandando la palla nel campo israeliano è arrivato a sostenere che «altri sviluppi» sarebbero invece «meritevoli di attenzione», quali «le demolizioni e gli sfratti di proprietà palestinesi, gli episodi di violenza da parte dei coloni ai danni della popolazione palsetinese e gli annunci di nuovi insediamenti nei territori occupati». Una risposta che sembra scritta dagli avvocati del Fronte popolare. Inoltre, Di Maio ha ricordato che «alcune di queste organizzazioni intrattengono fruttuosi rapporti con le nostre organizzazioni della società civile per l’attuazione di importanti progetti di cooperazione». E ha affermato che, nonostante la richiesta arrivata da Israele di interrompere i finanziamenti, non chiuderà i rubinetti, anzi: «Due organizzazioni tra quelle designate collaborano attualmente come partner di organizzazioni italiane in progetti finanziati tramite i bandi ordinari gestiti dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo». La risposta, come era facile immaginare, ha fatto infuriare Delmastro: «È agghiacciante che i fondi della cooperazione possano finire nelle mani di terroristi e che per Di Maio vada bene così. Non è possibile che ci sia solo anche la lontana possibilità che quei fondi della cooperazione italiana arrivino a finanziare le organizzazioni terroristiche».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)