2025-02-10
Sui Paesi sicuri follia dei magistrati. Ma se loro sbagliano, non pagano
I giudici, che pretendono di sostituirsi al governo in nome dei diritti umani, portano avanti una crociata anche in spregio a un altro diritto: quello degli italiani alla sicurezza. Cosa fare? Introdurre la responsabilità civile.Che si fa con un egiziano sospettato di appartenere all’Isis e a rischio di organizzare attentati? Lo si carica su un aereo e lo si rimanda a casa? Lo si arresta e lo si processa per terrorismo? Macché, lo si libera, sulla base della dottrina inventata dai giudici specializzati in immigrazione, quella secondo cui se un tizio viene da un Paese considerato insicuro non gli si può dare il foglio di via per rimpatriarlo, ma si è obbligati ad accoglierlo. È quello che succede in Sicilia, con un clandestino sbarcato all’inizio di febbraio a Lampedusa. Come racconta il nostro Giacomo Amadori, nell’isola è giunto senza documenti e dopo essere stato fermato dalla polizia è stato trasferito, su disposizione del questore, al Cpr di Porto Empedocle per evitare un concreto pericolo di fuga. Ma una volta rinchiuso, la cosiddetta risorsa, o se preferite il cosiddetto profugo, rivela di essere egiziano, di avere 27 anni e di essere evaso da un carcere dove era detenuto con l’accusa di essere un membro dell’Isis. Nel frattempo, siccome appena giunto in Italia aveva fatto richiesta di ottenere la protezione internazionale, la commissione territoriale respinge l’istanza e segnala i supposti legami con lo Stato islamico alla questura di Agrigento e alla direzione distrettuale antiterrorismo. Da un lato l’uomo viene trattato come un potenziale terrorista, dall’altro un giudice chiamato a convalidare il fermo del clandestino (in quel momento ancora non considerato un terrorista) decide di annullare il trattenimento nel Cpr. In quanto egiziano il presunto profugo e sospetto jihadista non può essere restituito al Cairo e presumibilmente neppure alla prigione da cui parrebbe evaso, perché l’Egitto, secondo la dottrina adottata dai magistrati progressisti, non può essere considerato un Paese sicuro.Di fronte al provvedimento del giudice, il questore emette un’altra ordinanza e vedremo ora che cosa decideranno le toghe, se espellere un uomo che dice di appartenere all’Isis o concedergli asilo politico. Sta di fatto che la linea di condotta di chi pretende di accogliere tutti - perché non esiste un Paese sicuro e non può essere un governo a decidere che cosa debba essere considerato tale ma è la magistratura a stabilirlo ogni volta - ci espone a questi paradossi e, soprattutto, a questi rischi. Fino a quando sarà possibile sopportare tutto ciò? In nessun altro Stato un giudice si arroga la facoltà di liberare, senza i necessari approfondimenti, chi per le forze di polizia è da considerare pericoloso. Ma poi, in tutti gli Stati democratici, in particolare quelli europei, ci si pone il problema di arginare l’invasione ormai fuori controllo dei migranti. Da noi no. Da noi ogni giudice si sente in dovere di ergersi a paladino dei diritti umani, dimenticando i diritti dello Stato e soprattutto quello dei cittadini, i quali pretendono di non essere esposti a rischi e non vogliono che sia messa in discussione la loro sicurezza perché un giudice ha deciso che i clandestini non si possono rimpatriare. Ribadisco: è tempo di introdurre la responsabilità civile dei magistrati.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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