
Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso di 44 Comuni veneti: illegittima la ripartizione del Fondo di solidarietà nel 2015. In arrivo un risarcimento di 60 milioni. Ora in molti potranno chiedere indietro i soldi. L'avvocato Antonini: «Vittoria dei sindaci virtuosi». Come Davide contro Golia, i piccoli Comuni veneti alla fine hanno vinto la lunga guerra ingaggiata contro il gigantesco apparato statale. Una sentenza del Consiglio di Stato destinata a fare scuola costringe di fatto il governo a sborsare 60 milioni di euro nei confronti di 44 Comuni che avevano contestato la ripartizione del Fondo di solidarietà, lo strumento nato nel 2013 per la redistribuzione delle imposte degli enti locali.Tutto ha inizio durante il governo di Matteo Renzi, il 10 settembre del 2015, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto del presidente del Consiglio dei ministri che assegna le risorse spettanti per l'anno in corso. Il Dpcm stabilisce la dotazione del Fondo di solidarietà, pari a 6,5 miliardi di euro, e dispone la perequazione di tali somme, cioè le modalità attraverso le quali verranno redistribuite a ciascun Comune italiano. Un gruzzoletto importante, alimentato dalla trattenuta del 22,43% del gettito Imu e reindirizzato dagli enti che possono spendere di più a quelli con minore capacità di spesa. Soldi importanti, che possono rappresentare la realizzazione di un'opera pubblica o la sopravvivenza di un servizio per la cittadinanza. «Vi sono Comuni che beneficiano e Comuni che contribuiscono alla perequazione operata dal Fondo di solidarietà», spiegano sul sito Lavoce.info gli economisti Luca Gandullia e Andrea Taddei. «Il prelievo negativo o il trasferimento positivo che giunge al Comune è la somma algebrica dell'alimentazione e della quota di perequazione: se positiva, il Comune beneficia della perequazione, se negativa ne è contributore». Una modalità che già in passato aveva fatto assai discutere, in quanto accusata, paradossalmente, di premiare i Comuni spendaccioni e punire eccessivamente quelli virtuosi. A seguito del Dpcm, una serie di Comuni decise pertanto di ricorrere contro un meccanismo definito «complicato e perverso». L'iniziativa, proposta a dall'Associazione Comuni della marca Trevigiana, ha ricevuto l'adesione di 44 municipi «ribelli», con Conegliano Veneto come capofila. Una missione impossibile secondo alcuni. Non certo per i sindaci interessati e per i legali che si sono occupati della questione, l'avvocato e professore Luca Antonini e l'avvocato Giacomo Quarneti. «Un primo riscontro positivo si era già avuto nel febbraio del 2017», spiega Luca Antonini alla Verità. Il Tar del Lazio, con la sentenza 2554/2017 dava infatti ragione ai Comuni. «La norma attribuisce, dunque, ai Comuni autonomia finanziaria di entrata e di spesa, autonomia che i detti enti esercitano, in primo luogo, attraverso la redazione del bilancio finanziario di previsione», scrivono i giudici della prima sezione del Tar. Bilanci che di norma devono essere approvati entro il 31 dicembre dell'anno, data entro la quale i Comuni devono capire con precisione su quali fondi possono fare affidamento. Considerato che il Dpcm è stato approvato nove mesi più tardi rispetto al termine stabilito dalla legge, ciò comporta secondo il Tar la compromissione «di un aspetto essenziale dell'autonomia finanziaria degli enti locali, vale a dire la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività che richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione». Una violazione bella e buona di quella autonomia finanziaria dei Comuni sancita dall'articolo 119 della Costituzione italiana.«I Comuni devono avere la certezza delle risorse assegnate e quindi lo Stato non può violare i termini stabiliti dalla legge», aveva detto Antonini dopo la vittoria al Tar. «La sentenza del Tar del Lazio è stata importante perché ha rappresentato una vittoria per i Comuni virtuosi, che hanno combattuto gli sprechi e a cui le risorse servono per fare opere pubbliche e dare servizi ai cittadini». Dopo la prima pronuncia il governo non ha perso tempo e ha deciso di ricorrere contro la decisione dei giudici del Tar. Ora la sentenza del Consiglio di Stato, che dovrebbe mettere la parola fine alla vicenda. Esulta il comune di Asolo, 9.000 anime in provincia di Treviso. «Nel 2016 mi davano del pazzo, ma abbiamo vinto», ha commentato il sindaco Mauro Migliorini con Treviso Today. «Le battaglie giuste non sono né di destra, né di sinistra!». Il problema dell'autonomia finanziaria sollevato dalla sentenza non è certo stato risolto con il passare degli anni. Nel 2017 il decreto sulla ripartizione dei fondi sarebbe dovuto arrivare entro il 30 novembre, ma è slittato di molti mesi, e dovrebbe arrivare ai primi di maggio. Intanto, lo scorso 31 marzo i Comuni hanno dovuto approvare i bilanci di previsione. Stando ai dati degli anni passati, circa un terzo dei 6.900 Comuni italiani risulta contributore, perciò possiede un fondo netto negativo. Se, imitando l'esempio dei Comuni veneti, dovessero ricorrere tutti al Consiglio di Stato, potrebbero ottenere indietro in totale circa 2 miliardi di euro, ovvero il 30% dei 6,5 miliardi del Fondo.
Johann Chapoutot (Wikimedia)
Col saggio «Gli irresponsabili», Johann Chapoutot rilegge l’ascesa del nazismo senza gli occhiali dell’ideologia. E mostra tra l’altro come socialdemocratici e comunisti appoggiarono il futuro Führer per mettere in crisi la Repubblica di Weimar.
«Quella di Weimar è una storia così viva che resuscita i morti e continua a porre interrogativi alla Germania e, al di là della Germania, a tutte le democrazie che, di fronte al periodo 1932-1933, a von Papen e Hitler, ma anche a Schleicher, Hindenburg, Hugenberg e Thyssen, si sono trovate a misurare la propria finitudine. Se la Grande Guerra ha insegnato alle civiltà che sono mortali, la fine della Repubblica di Weimar ha dimostrato che la democrazia è caduca».
(Guardia di Finanza)
I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, grazie a una capillare attività investigativa nel settore della lotta alla contraffazione hanno sequestrato oltre 10.000 peluches (di cui 3.000 presso un negozio di giocattoli all’interno di un noto centro commerciale palermitano).
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».






