2018-08-30
Orbán il barbaro? Chiamatelo il risanatore
Il premier ungherese guida il suo Paese dal 2010: quasi nove anni accompagnati da due elezioni. Ha migliorato le condizioni di vita dei propri cittadini grazie alle misure economiche a sostegno del lavoro e degli investimenti e alle politiche fiscali favorevoli.I barbari sono alle porte. Anzi, la porta di casa l'hanno già aperta e si sono accomodati in salotto. Il nuovo allarme dell'intellighenzia radical chic rimbalza da una testata all'altra, dal Foglio al Corriere della Sera. I barbari ovviamente sono Matteo Salvini e Luigi Di Maio e la loro banda di deputati priva di storia e cultura, che senza colpo ferire hanno conquistato l'impero e minacciano di insediarvisi per un certo numero di anni. Ci mancava poi che in Italia sbarcasse Viktor Miháy Orbán, il democratico illiberale che governa l'Ungheria, un altro selvaggio e per di più legittimato da un voto quasi plebiscitario. Il primo ministro di Budapest ha stretto con il capo della Lega un asse sovranista contro i migranti e a favore di un cambiamento della politica europea. E ad accoglierlo sono arrivati i soliti contestatori, qualche migliaio di persone che per l'occasione hanno tolto dalla soffitta i gagliardetti dell'Anpi e delle varie associazioni antifasciste. Perché, ça va sans dire, Orbán è un fascista e l'asse stretto con il ministro dell'Interno ricorda le funeste alleanze di ottant'anni fa.Tra tutti i commentatori che descrivono con allarme la «pericolosa» deriva italo-ungherese, però, non c'è nessuno che si sforzi di capirne le cause. Lasciamo perdere per un attimo i paragoni storici (Odoacre, Benito Mussolini e Adolf Hitler), scomodati per giustificare le preoccupazioni di un'involuzione illiberale della nostra democrazia, e concentriamoci sulle ragioni per cui questi leader «forti» sono stati scelti dagli elettori. Più ancora di Salvini e Di Maio, ciò che ci aiuta a capire che cosa sia successo è la storia di Orbán, che non è arrivato da pochi mesi al governo, sull'onda di un voto di protesta come amano raccontarsi i leader dell'opposizione spazzati via dalle elezioni italiane del 4 marzo. No, il primo ministro ungherese non è come i due vicepremier dell'esecutivo guidato da Giuseppe Conte, ma sta alla guida del suo Paese dal 2010. Nove anni, accompagnati da due elezioni, che gli hanno consentito di formare il suo quarto governo.Quando Orbán vinse contro Ferenc Gyurcsány, il socialista che confessò di aver nascosto la situazione economico-finanziaria dell'Ungheria per non essere spazzato via alle elezioni mentre poi fu travolto da un referendum, il Paese era allo stremo. Il rapporto deficit-Pil era al 4,5 per cento e il debito pubblico rappresentava oltre l'80 per cento. Nel 2010 il prodotto interno lordo cresceva dello 0,7 per cento annuo, con un tasso di disoccupazione all'11,2 per cento e un'inflazione media al 4,9 per cento. A distanza di sette anni e di due governi, il Pil è a più 4 per cento, la disoccupazione al 4,2, l'inflazione al 2,4, il deficit-Pil sta al 2 e il debito pubblico rappresenta il 73 per cento del prodotto interno lordo.Tutto ciò è stato possibile grazie a una serie di misure economiche a sostegno del lavoro e degli investimenti, insieme con politiche fiscali favorevoli. Il patto dei sei anni su salari e tasse ha consentito un aumento reale degli stipendi e una riduzione delle imposte sul reddito delle società. Dopo il crollo del mercato immobiliare, il governo ha varato un programma per le coppie che vogliono comprare la prima casa, riducendo la tassazione. Per non dire poi delle sovvenzioni a favore delle nuove imprese.Insomma, il barbaro di Budapest non è il dittatore che ha consolidato il proprio successo instaurando una democrazia illiberale (riducendo il numero di parlamentari e mettendo sotto controllo la magistratura), ma è un politico che prima di tutto ha migliorato le condizioni di vita dei propri cittadini, facendo salire di quasi 700.000 persone la quota degli occupati, con un aumento di poco meno del 20 per cento. E questo gli è valso una rielezione nel 2018 con quasi il 50 per cento dei consensi, che lo ha portato ad avere il controllo di due terzi del Parlamento.Oh, certo, Orbán sarà anche un cafone che viene dalla provincia e si annoda male la cravatta, come annota qualche commentatore, e avrà anche chiuso le porte agli immigrati, facendo piazza pulita dei profughi, ma la sostanza è che il selvaggio al governo sulle rive del Danubio ha fatto cose concrete, molto più concrete di chi lo ha preceduto e di chi oggi lo critica.Le preoccupazioni di chi dunque oggi si interroga su come fermare i barbari, dovrebbero partire da qui. Altro che discutere di populismo ed estrema destra, come anche ieri discettava, su Repubblica, Walter Veltroni, il quale predicando ancora una volta l'accoglienza senza se e senza ma dimostra una sola cosa: di non aver capito nulla. Tutto qui.
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)