2023-05-23
Dopo averla applaudita per anni ora provano a scaricare la Merkel
Il «Corriere» contesta all’ex cancelliere di aver sottovalutato il pericolo russo e ne critica gli errori commessi quando era alla guida della Ue. Ma all’epoca frau Angela era esaltata, persino quando derise il nostro premier.Politologo e saggista, il professor Angelo Panebianco è indubitabilmente - da decenni - uno dei più autorevoli commentatori italiani. A maggior ragione, ieri mattina sul Corriere della Sera, meritava un’attenzione speciale il suo editoriale dedicato a una vera e propria demolizione - largamente condivisibile, peraltro - dell’eredità politica di Angela Merkel. Panebianco, con dovizia di particolari, ha ricostruito la sottovalutazione merkeliana - durata molti anni, praticamente tutto il suo mandato da cancelliera - di ciò che Vladimir Putin andava via via teorizzando e praticando. E, a partire da questo documentato capo d’imputazione, l’editorialista del Corriere ha allargato la prospettiva, spiegando come oggi sia clamorosamente ribaltato il giudizio in Europa e in Occidente sulla legacy politica dell’ex leader della Cdu. Con espressione efficace, Panebianco sintetizza: «Da “santa subito” a “Merkel chi?”».Riferendosi al passato, scrive Panebianco, «Angela Merkel venne celebrata da tanti europei (italiani in testa) come una delle grandi statiste del secolo, una leader che, per tanti anni, aveva guidato con saggezza non solo la Germania ma anche l’Unione europea nel suo complesso». Ma adesso il giudizio di Panebianco è durissimo, quasi impietoso: parla di «cumulo di errori», e aggiunge che «l’ex cancelliera ci ha lasciato (del tutto involontariamente) un insegnamento su ciò che non si può e non si deve fare» Ora - da queste colonne - potremmo semplicemente felicitarci di queste pur tardive (e politicamente postume) conclusioni. Peccato che il Corriere, gli intellettuali e i politici italiani, i principali analisti di politica interna e internazionale siano stati per anni gli artefici dell’immotivata creazione del mito Merkel. Di più: che siano stati critici inflessibili di chiunque osasse muovere la minima obiezione rispetto all’agiografia che loro stessi incessantemente realizzavano su vita, opere e miracoli della cancelliera. In politica estera, si contano su poche dita di una sola mano coloro che osarono contestare alla Merkel la scelta - rispetto alla quale la Germania fu trainante in Europa - di consegnare un continente alla dipendenza energetica dalla Russia. Quando Donald Trump lo fece ruvidamente osservare in un consesso politico internazionale, fu aggredito e ridicolizzato da giornali e analisti politici di mezzo mondo. Ma aveva ragione lui, non loro. Sempre in politica internazionale, è stata la Merkel a delineare una traiettoria volta a rendere Germania e Ue - a volte impercettibilmente, a volte visibilmente - «terze» e disallineate rispetto all’Anglosfera. Raccogliendo applausi e petali di fiori dai principali quotidiani italiani. Ed è stata sempre lei a praticare sistematicamente in patria il modello delle «grandi coalizioni», legando i cristiano-democratici all’Spd in un connubio che, alla fine, ha dissanguato il centrodestra tedesco, solo ora rivitalizzato dall’avvio di una stagione all’opposizione. Peggio ancora: proprio quell’abbraccio con i socialdemocratici ha aperto autostrade politiche a sinistra e soprattutto a destra, facilitando la nascita di offerte politiche estreme e poco rassicuranti in Germania. Ma chi osava sostenerlo veniva lapidato dagli «esperti» italiani. Stessa cosa - mutatis mutandis - a livello europeo, dove la Merkel ha patrocinato il rapporto tra popolari e socialisti, costruendo una maggioranza politica immutabile fino ad oggi. Risultato? Un sostanziale fallimento delle risposte a tutte le crisi che la Germania e l’Ue a guida tedesca hanno affrontato in un decennio abbondante: la crisi finanziaria del 2008-2010, la crisi greca, le ripetute crisi migratorie, fino alla guerra tra Russia e Ucraina. Eppure i nostri grandi giornali con i loro autorevolissimi editorialisti erano lì ad applaudire e cantare inni.Applausi e inni che furono ancora più fragorosi - in ostilità al centrodestra italiano - in occasione delle risatine anti-Berlusconi della Merkel e di Sarkozy, prodromo di un sempre più chiaro commissariamento dell’Italia attraverso giunte tecnocratiche gradite a Bruxelles. Ma i nostri eroi dei grandi giornali si spellavano le mani, chiedevano di «fare presto», lodavano la severità europea. Di più: usavano il vincolo esterno come frusta per rieducare gli indisciplinati. Morale. In Europa e in politica internazionale, il disastro è sotto gli occhi di tutti. Ma pure in patria, la Merkel ha sempre privilegiato l’equilibrismo e il temporeggiare, il compromesso e l’attesa, rispetto all’affermazione chiara di principi: uno schema politico - a ben vedere - funzionale solo a lei, cioè al mantenimento della sua personale centralità, soffocando in culla potenziali successori credibili, offrendosi agli elettori di centrodestra come garante di un minimo di disciplina fiscale e a quelli di centrosinistra come la democristiana che tuttavia attingeva ai capitoli «sociali» dei manifesti elettorali della Spd. Risultato? Governi a scarsa impronta riformatrice (e meno che mai liberale), la politica tedesca ridotta a un oligopolio con poche alternative, e - come abbiamo già detto - un’autostrada lasciata a destra a partiti che l’hanno sfruttata male, in modo banale e politicamente inservibile, più che altro connotandosi come destra dura e impresentabile. E allora? Se era e resta largamente inspiegabile il coro di elogi che accompagnarono la sua leadership, appare ancora più strano che siano ora quelle stesse testate a scaricarla brutalmente. Una damnatio memoriae tardiva e vagamente autoassolutoria per i nostri media.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)