
La genuflessione non basta mai. Così Giorgia Meloni, nell’anniversario della Liberazione, può scrivere una lettera per dire che gli ideali di centrodestra sono incompatibili con il fascismo, ma non è sufficiente. Il presidente del Consiglio può augurarsi la concordia nazionale, richiamare i valori democratici scolpiti nella Costituzione, farsi ritrarre al fianco di una delle poche partigiane ancora viventi, deporre una corona d’alloro all’Altare della patria, a fianco del presidente Mattarella, ma c’è sempre bisogno di qualche cosa di più. La realtà è che a sinistra non interessa che la leader di Fratelli d’Italia dica di essere contro il fascismo e a favore della libertà. Giorgia Meloni può andare in processione a tutte le sentinelle partigiane che vuole, ma anche se alzasse il pugno come i compagni e sventolasse una bandiera rossa resterebbe sempre una portatrice insana del virus fascista.
Sì, il premier prova a citare gli insegnamenti del filosofo Augusto Del Noce e le lezioni di Paola Del Cin, che durante la Resistenza combatteva con la Brigata Osoppo. Ci mette anche il discorso che Silvio Berlusconi pronunciò a Onna nel 2009, quando propose di fare del 25 aprile la Festa della Libertà. Ma nonostante tutti gli sforzi del capo del governo, per la sinistra Giorgia Meloni ha un peccato originale che nessuna genuflessione potrà mai cancellare: viene da destra. È questa la sua vera colpa. La leader di Fratelli d’Italia non è mai stata fascista, anche perché è nata nel 1977, quando il fascismo era morto da un pezzo. Le sue prime esperienze politiche, da studentessa, risalgono al 1992, quando il Movimento sociale stava per sciogliersi e trasformarsi in Alleanza nazionale. Ma per i compagni l’acqua di Fiuggi, nella quale si bagnò nel 1996, iscrivendosi al movimento giovanile del partito fondato da Gianfranco Fini, non può lavare via il marchio dell’infamia: essere cresciuta politicamente nell’area conservatrice e ispirarsi, oltre che alla libertà, a concetti come famiglia, patria, sovranità. Basti ricordare che Elly Schlein, nuova segretaria del Pd, ha fatto il verso al premier, colpevole di aver detto in pubblico: «Sono una donna, sono una madre, sono italiana». Che altro avrebbe dovuto dire secondo la nuova eroina della sinistra multigender e multirazziale? Odio le donne, non mi piace fare la madre e mi fa anche un po’ schifo essere italiana? Forse. Di sicuro, non avrebbe dovuto toccare il tasto della maternità. Per chi pensa di risolvere il problema delle nascite consentendo alle coppie di comprarsi un figlio grazie all’utero in affitto, ritenersi una madre è ininfluente, anzi controproducente. Secondo le Elly Schlein, la denatalità che rischia di far sparire entro questo secolo la metà degli italiani, si risolve aprendo le porte agli immigrati e consentendo il liberi tutti a favore della Gpa, acronimo che significa Gestazioni per altri, ovviamente a pagamento.
Lo confesso, ho trovato un po’ ingenua la lettera con cui Giorgia Meloni ha voluto celebrare il 25 Aprile. Non erano ingenue le dichiarazioni della premier, ma la speranza di riuscire a pacificare gli animi, sì. Ai militanti della sinistra non importa che il presidente del Consiglio si inchini all’Altare della patria. Nemmeno se cantasse Bella ciao cambierebbero il loro atteggiamento. E la spiegazione è semplice: sono fascisti. Di sinistra, ma fascisti, cioè illiberali. L’opposizione non è interessata alla concordia nazionale auspicata dal capo del governo. Il suo desiderio è il conflitto permanente, la lotta dura e duratura, contro chiunque si opponga al suo disegno. Contro qualsiasi forza politica che abbia diversi obiettivi. Che abbia vinto regolarmente le elezioni, che la maggioranza degli italiani stia dalla parte di chi oggi è chiamato a guidare il Paese, poco conta. Serve invece usare il 25 Aprile, la Resistenza, l’antifascismo e tutto l’armamentario retorico che la Festa della Liberazione si porta dietro come un manganello, contro chi non è di sinistra. Sono questi gli ideali che la sinistra celebra da ottant’anni. Obiettivi ribaditi da uno slogan che si riassume in «Ora e sempre Resistenza». Che non ci sia alcun invasore o dittatore da cacciare, fa niente: alla sinistra e ai suoi referenti interessa mantenere un conflitto permanente, come se la guerra non fosse mai finita, e i nazifascisti non fossero mai stati sconfitti.
In nessun altro Paese si usa il giorno che dovrebbe rappresentare la pace per fare la guerra. E il 25 Aprile, invece di essere diventata una ricorrenza che unisce, si è trasformata nella giornata che divide, soprattutto quando a vincere è il centrodestra. Cominciò con Berlusconi e ogni anno, quando i compagni sono spodestati dal voto popolare, la storia si ripete, insieme con lugubri manifesti che appendono a testa in giù i politici della parte opposta. È inutile che Giorgia Meloni scriva lettere e nemmeno che si genufletta. Del resto, se Sergio Mattarella fa suo il motto «Ora e sempre Resistenza», che c’è da aspettarsi?
Ps: Sotto la finestra della redazione ho visto sfilare le bandiere rosse con la falce e martello: che c’entrano i simboli di una dittatura con la festa della libertà?






