2021-04-27
Oltre 50 studi fanno a pezzi il lockdown
Mentre gli «esperti» italiani magnificano le serrate nei salotti tv, più di 200 scienziati da tutto il mondo bocciano la quarantena di massa. I benefici appaiono sopravvalutati. E gli enormi danni economici, inoltre, potrebbero far aumentare i morti in futuro.Hanno un costo spropositato rispetto ai benefici. Spesso sono difficilmente valutabili. Quasi sempre inutili e talvolta addirittura controproducenti. Stiamo parlando degli «Interventi non farmaceutici» per contenere la diffusione di un morbo. In gergo «Npi» che abbiamo imparato a conoscere con il termine lockdown. Chiusure di attività ritenute «non essenziali» per combattere la diffusione del Covid. Il prezzo lo paga il ristoratore o il barista che deve abbassare la saracinesca e chi dentro vi lavora. Noi della Verità avanziamo da tempo dubbi sull'efficacia di queste soluzioni. Contro di noi quasi tutti i mezzi di informazione ispirati da esperti quali Andrea Crisanti, Roberto Burioni, Massimo Galli, Anna Capua, Nino Cartabellotta e Walter Ricciardi. Venerati come divinità nei salotti televisivi. Ma le opinioni di questi signori rappresentano veramente quelle dei tanti scienziati in tutto il mondo? Abbiamo raccolto più di cinquanta pubblicazioni scientifiche, molte delle quali reperibili anche sull'account twitter Brumby. Lavori che hanno coinvolto più di duecento scienziati delle più prestigiose università, istituzioni e centri di ricerca in tutto il mondo. Da Stanford a Pittsburgh. Da Sidney a Tokyo. Dal Fmi a Jp Morgan. Lavori talvolta consultabili ancor prima della pubblicazione (preprint). L'esito è univoco. Abbiamo ragione noi a dubitare dell'efficacia delle chiusure. Non potremo che segnalarvi i più importanti non potendo fare un numero monografico.«Non escludiamo piccoli benefici, ma non ne vediamo di significativi in termini di contenimento della crescita dei casi. Simili risultati si possono ottenere con interventi meno severi» (bit.ly/3nkYw3y). La firma è quella di Ioannidis. Epidemiologo di fama mondiale con un H index di 214. È la misura della qualità e della quantità del suo lavoro. Tre volte quello di Crisanti. Quattro volte Galli. Cinque volte Burioni e Ricciardi. Cartabellotta non pervenuto. «Gli asseriti benefici del lockdown appaiono sfacciatamente esagerati». Scrive addirittura in un altro preprint sempre Ioannidis (bit.ly/3gCwb7x). «Iniziative quali la chiusura delle frontiere, lockdown nazionali, test di massa non si associano a riduzioni statisticamente significative sul numero dei casi e sulla mortalità» fa eco uno studio di cinque studiosi delle università di Toronto, Houston e Ioannina (bit.ly/3evWGJ9). «Dimostriamo che l'efficacia del lockdown nel risparmiare vite umane è modesta se confrontata con interventi focalizzati. Hanno costi enormi e possono avere effetti economici devastanti e tali da aumentare il numero dei morti in futuro». Scrive in preprint un gruppo di ricercatori dell'Università di Tel Aviv (bit.ly/3tU1cYA), mentre The Lancet lo scorso aprile invitava i governi ad «applicare le misure disponibili in modo mirato a diversi gruppi generazionali […] visto che il 96% dei decessi legati al Covid-19 in Europa si è verificato in pazienti di età superiore di 70 anni» (bit.ly/2R0qWE9). «Dimostriamo che i livelli di infezione sono diminuiti prima che il lockdown iniziasse […]. Ad esempio, la Florida sta andando meglio della California nonostante Disney World sia aperto da mesi e la California non abbia attualmente alcun piano per riaprire nulla a partire da Disneyland». Scrivevano a gennaio gli studiosi danesi Kepp e Biornskow (bit.ly/3nkg7sC). Infine, «Npi meno dirompenti e costosi possono essere efficaci quanto quelli più intrusivi e drastici quale un lockdown nazionale» scrive un gruppo di nove studiosi delle università di Vienna, Parigi, Roma e Santa Fe (go.nature.com/3eBMOOl).Se non costosi, i lockdown sono molto difficili da valutare a parere di molti scienziati. I modelli non supportano affermazioni in base alle quali l'indice Rt si sia ridotto dell'80% grazie al lockdown. Scrivono nella sostanza cinque studiosi delle università scozzesi di Edimburgo e Glasgow in preprint (bit.ly/3xrqm2H). Dalle Università di Parigi e Tolosa cinque autori spiegano che la mortalità è principalmente legata a fattori economici e ambientali di contesto; in altre parole «il rigore delle misure stabilite per combattere la pandemia, compreso il lockdown non sembra essere legato al tasso di mortalità» (bit.ly/3gDWeey). Addirittura, già nel 2006, il Medical Center di Pittsbourgh evidenziava che non ci sono osservazioni storiche che supportano le quarantene di massa per lunghi periodi. «Le conseguenze negative sono così estreme che questa misura di contenimento non dovrebbe essere seriamente considerata» (bit.ly/32LOa3k). Dall'Università di Greenwich ci fanno sapere che «i lockdown si basano su modelli teorici non empirici. I problemi che creano sono superiori alle vite che salvano» (bit.ly/3nmvpNq). Mentre da Burnaby in Canada si sottolinea come le analisi costi benefici su cui si appoggiavano i lockdown vengono «successivamente confutate dai dati» (bit.ly/3gA6SDg). Quasi la metà degli studi sul nostro tavolo dimostrano invece la sostanziale inutilità delle chiusure ai fini del contenimento del virus. Secondo l'università di Edimburgo le diminuzioni delle infezioni in Inghilterra iniziano prima del lockdown; lo dimostra un confronto con la Svezia che senza chiusure ha avuto dinamiche analoghe (bit.ly/2R3hoIf). I tedeschi Homburg e Kuhbandner sulla rivista Nature definiscono «illusori» gli effetti dei Npi ai fini del contenimento del virus nel Regno Unito (bit.ly/3dODVlc). Quattro studiosi dell'Università di Norwich, Londra e Newcastle scrivono in preprint che «le quarantene domiciliari obbligatorie, la chiusura delle attività non essenziali e l'utilizzo di mascherine non sono associabili ad alcun impatto aggiuntivo» (bit.ly/2Qxi74K). Muener, della Woods Hole Oceanographic Institution in Massachussets specifica che «I lockdown completi nell'Europa occidentale non hanno avuto impatti evidenti sull'epidemia di Covid 19» (bit.ly/3vgXiJB). Ci si mette addirittura JP Morgan a dire che «i dati mostrano una diminuzione dei contagi anche dopo le riaperture» (bit.ly/3xjTOI9). Il New Zealand Economic Paper riporta come «gli studi condotti su tutto il Paese hanno rilevato l'inefficacia dei lockdown» (bit.ly/3vygvXt).Il lockdown è controproducente. Proprio così. Non mancano addirittura gli studi che segnalano la pericolosità più che l'inutilità di queste misure. Già nel 2009 Cohen e Lipsitch esprimevano preoccupazione sul paradossale effetto che misure di contenimento della circolazione del virus avrebbero avuto nello spostare «il peso dell'infezione verso gli individui più anziani» (bit.ly/3sV7nKB). Su Newsweek, il prestigioso epidemiologo Harvey Risch della Yale Medical School definisce controproducenti i lockdown perché ritardano il raggiungimento dell'obiettivo dell'immunità di gregge.Atteso che ogni studio è fatto per essere analizzato, dibattuto ed eventualmente confutato, sconcerta l'enormità del numero dei lavori che certificano l'inutilità se non addirittura la dannosità del lockdown unitamente al prestigio dei suoi estensori e alla capillare diffusione geografica di dette analisi in ogni parte del pianeta. Saremo curiosi di vedere come esperti di zanzare e veterinari assortiti - tutti travestiti da esperti televisivi - contesteranno questi report. Più probabile che li ignorino e continuino imperterriti nella loro opera. Voi lettori potrete giudicare da soli.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)