2024-08-05
Lo studio che mette al tappeto il Cio
Il presidente del Cio Thomas Bach (Getty Images)
La ricerca: abbassare il testosterone prima delle gare non toglie i vantaggi. Ma il Comitato olimpico insiste: «No ai test del Dna».Se fino a una settimana fa, mai avremmo immaginato che il caso Khelif avrebbe portato il dibattito pubblico a districarsi tra geni, ormoni e intersessualità per giorni, un gruppo di 26 tra accademici, scienziati, esperti della medicina dello sport, già quattro mesi fa aveva intuito che nelle Olimpiadi 2024 c’era qualcosa che non andava. L’ha spiegato un articolo pubblicato il 23 marzo sullo Scandinavian journal of medicine and science in sports dal titolo esaustivo: «Le linee guida del Comitato olimpico internazionale (Cio) su equità, inclusione e sulla non discriminazione sulla base dell’identità di genere e delle variazioni sessuali, non sono eque nei confronti delle atlete». In pratica, rischiano di discriminare le donne.A detta degli autori, le regole del Cio non sarebbero in linea con le conoscenze scientifiche esistenti e non terrebbero conto di come le differenze fisiche tra maschi e femmine dipendano dall’esposizione al testosterone durante lo sviluppo maschile. Differenze che non si possono ridurre abbassandone i livelli in età adulta né nei 12 mesi prima della competizione come richiesto dal Cio. Tradotto: sia le donne transgender (soggetti nati maschi che si identificano come donne) sia gli atleti maschi con disturbi dello sviluppo sessuale (casi di intersessualità), sia gli atleti maschi nati maschi, presentano un vantaggio nei confronti delle donne. Principio che sembra scontato, perlomeno per l’ultima categoria, ma che non lo è per il Cio che sottolinea come non vi sia «alcuna presunzione di vantaggio» basata su «caratteristiche biologiche o fisiologiche». Basta ridurre i livelli di ormoni.Un assurdo secondo il gruppo di accademici che spiega come i trattamenti effettuati durante la transizione di genere non invertono la diversa crescita di statura, cuore, dimensioni dei muscoli e che a oggi non vi sono studi che dimostrino che la soppressione del testosterone dopo la pubertà, porti alla parità tra atlete transgender e le loro colleghe. Alla base del vantaggio atletico degli uomini sulle donne vi sarebbe proprio l’esposizione al testosterone durante la fase dello sviluppo. Fattore non tenuto in sufficiente considerazione dal Cio più preoccupato a mediare tra la totale abolizione delle categorie basate sul genere da un lato e l’applicazione di test sul sesso degli atleti dall’altro, considerati troppo invasivi.Per intenderci, quelli effettuati dall’Iba (International boxing association) su Imane Khelif e Lin Yu Ting ai mondiali di Nuova Delhi 2023 e che a quanto dichiarato dal presidente Umar Kremlev, avrebbero portato alla loro esclusione dopo la scoperta dei cromosomi XY. Ieri il Cio ha ribadito che «non riconosciamo i test Iba sul genere perché il loro procedimento non è lecito. Nessuno vuole tornare ai giorni in cui si facevano i test sui genitali», aggiungendo: «È una questione di diritti umani». Non è un caso, fanno notare gli autori, che le polemiche siano quasi inesistenti nel caso di atleti uomini transgender (nati donne). Quando questi competono negli sport maschili, i problemi di equità non si pongono. Questo perché non godono dei vantaggi biologici conferiti dall’esposizione al testosterone durante lo sviluppo. In questi giorni, gli autori Emma Hilton, biologa dell’Università di Manchester, Tommy Lundberg, docente di fisiologia presso il Karolinska Institute, così come Carole Hoven, ex docente ad Harvard, hanno spiegato come, lungi dal fare diagnosi a distanza specialmente in mancanza dei test medici effettuati dalla Khelif, se è vero che presenta i cromosomi XY, potrebbe essere un maschio con un Dsd, disfunzione dello sviluppo sessuale. Una delle più frequenti, per quanto rare (si parla di 450 casi su 44 Paesi nel 2020) è il deficit dell’enzima 5-alfa-reduttasi. In questi casi gli individui presentano genitali esterni maschili poco sviluppati e spesso vengono registrati come femmine alla nascita. Una condizione che potrebbe non essere scoperta fino alla pubertà. Crescendo, alcuni si identificano come donne, altre come uomini. Stesso caso della velocista sudafricana Caster Semenya che poi però ha portato avanti una serie di ricorsi. Se questo è il caso dunque, spiegano, Khelif avrebbe un vantaggio rispetto alle altre atlete e l’unico modo per garantire una concorrenza leale all’interno di una categoria femminile, è escludere possibili vantaggi maschili. Un’esortazione che gli autori hanno indirizzato al Cio spiegando che la comprensione globale dei vantaggi biologici dello sviluppo maschile serve proprio a garantire equità e sicurezza negli sport femminili alle donne. Il fatto che tutti dovrebbero essere i benvenuti nello sport, continuano, non implica il diritto di competere in categorie di sesso opposto perché ciò confligge con il diritto umano delle atlete alla non discriminazione. Ma proprio le atlete sono la categoria dimenticata visto che per il Cio i «più direttamente interessati dai criteri di ammissibilità» sono i transgender e i soggetti con variazioni di sesso. Nessun riferimento alle donne. Un lapsus?
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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