2022-08-08
Ognuno ha già la sua dote: il talento. Fate in modo che si possa esprimere
Sviluppare la personalità è il massimo successo nella vita, pretenderla per legge è umiliante e diseducativo. Dobbiamo cancellare un primato che non ci fa onore, quello dell’età più alta in cui si lascia la casa dei genitori.I giovani non hanno bisogno di una dote, come gli vorrebbe concedere - il verbo più appropriato sarebbe scucire, come si fa nelle le elemosine date senza voglia - l’ineffabile (nel senso di incomprensibile, soprattutto ai suoi) Enrico Letta. Dunque i giovani della dote di Letta non hanno proprio bisogno. I giovani hanno bisogno di essere messi in grado di sviluppare la propria dote, che tutti hanno in misura diversa: si chiamano talenti. Devono essere messi in grado perseguire il proprio progetto di vita autonomamente perché sviluppare la propria dote è il massimo successo della propria vita, riceverla dallo Stato è umiliante e diseducativo.Naturalmente, anche in questo caso come in quello del reddito di cittadinanza - non dato ai bisognosi ma dato a cani e porci, senza controlli, verifiche e soprattutto senza offrire un lavoro nella maggioranza dei casi, ci sarà già chi si sfrega le mani pensando di farla franca senza fare un tubo per qualche altro anno. Già l’Italia è prima nella classifica europea per un primato tutto negativo e cioè la media dell’età nella quale i «giovani» abbandonano le lenzuola materne - talora anche rimboccate alla sera - che supera i 30 anni, quando in Europa la media è 24. Ci manca solo la dote e così siamo a posto. A casa dei genitori, vitto e alloggio assicurati e in più anche la dote. Da noi in Toscana a Lucca, la dote la metteva da parte la mamma della futura sposa e come diceva mia madre «dodici di tutto», riferendosi a lenzuola, asciugamani, piatti eccetera. Chissà se Letta, che è di Pisa, ha pensato a quello. Ce lo auguriamo, anche se mi sa proprio che non è così. Nel caso, per l’appalto dei lenzuoli potrebbe richiamare in servizio Domenico Arcuri così le lenzuola arriveranno alla sposa in occasione delle nozze d’argento, per il venticinquesimo anniversario - ormai molto raro - cioè intorno al 2047, decina sfortunata che a tombola corrisponde a «morto che parla».Per carità, non è giusto generalizzare. Per esperienza personale di frequentazione delle aule universitarie da oltre vent’anni, devo dire che quei giovani che ho conosciuto chiedono lavoro, non doti e sono certissimo che per molti di loro questo rappresenterebbe un’offesa che girerebbero al mittente con tanti saluti. Letta - appunto - e rispedita. Poi, che ci siano pelandroni aspiranti alla nullafacenza non c’è dubbio, ma perché lo Stato deve rendersi complice di costoro? Ora siamo in campagna elettorale. Una cosa buona di queste elezioni è che durerà poco perché, da come è iniziata, si sente un gran odore di minestre riscaldate. Nulla contro le minestre riscaldate delle quali nella mia famiglia, da ragazzo, si faceva grande uso e profumavano pure, ma quando si tratta di programmi elettorali le minestre riscaldate non profumano, anzi puzzano di rancido, sono andate a male. Bonus, defiscalizzazioni, areazione delle aule (per carità sacrosanta ma da ritenere più che un programma elettorale una misura urgente e doverosa), dote, più sport, luoghi per i giovani nei quartieri, aiuti alle giovani coppie e altre amenità del genere che sentiamo da tempo senza vederne che pallide ombre di realizzazione concreta.I giovani per sviluppare le loro doti donate dalla natura hanno bisogno di due cose fondamentali: formazione adeguata, culturale e professionale, e lavoro. Sulla formazione - oltre agli aspetti socio-economici consistenti nell’assicurare a tutti i meritevoli e indigenti una formazione che vada oltre la scuola dell’obbligo - occorrerebbe fare una riflessione e agire di conseguenza per riportare a una posizione di centralità - per tutti, non mandando tutti al liceo come vorrebbe Calenda - la formazione umanistica prima che le correnti ormai diffuse negli Stati Uniti ma anche in certe parti dell’Europa, non influenzi anche noi sbarazzandosi definitivamente della formazione ai classici, parte ineliminabile per una formazione adeguata, di chiunque. I classici vogliono dire una formazione a noi stessi che siamo fatti anche delle nostre radici e della storia e della cultura che ci hanno preceduto. Come ricordava un filosofo medioevale, Bernardo di Chartres, noi possiamo vedere più lontano di chi ci ha preceduto «perché siamo come nani sulle spalle dei giganti». Non si può essere diventare giganti sulle spalle dei nani, come alcuni dotti del nostro tempo, finti maestri o certi influencer. Formazione significa anche formazione al lavoro. Non è più possibile una formazione professionale o universitaria che preparano a professioni che non ci sono più o per le quali la richiesta del mercato del lavoro è minima, e invece lasciare sprovviste le imprese che hanno bisogno di altre professioni, come quella medica. Lavoro significa creare le condizioni, dopo una formazione adeguata, per le quali agli imprenditori convenga assumere. A meno che non si speri che a breve ci sia una conversione sulla via di Damasco degli imprenditori italiani che assumano contro gli interessi - legittimi - della propria azienda. Anche per i giovani.Non servono doti, corredi e corredini, servono opportunità concrete di formazione e di lavoro. Al resto i giovani ci devono pensare da loro. E lo vogliono fare. Chi non lo vuole fare scende dal torpedone dello Stato e si arrangi.
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