2022-04-25
Ogni conflitto trasforma gli uomini in sadici
Fosse comuni a Bucha (Ansa)
Qualsiasi operazione bellica, pure se ritenuta «giusta», sollecita gli istinti peggiori, a partire dal piacere che si prova nel confronto con l’impotenza altrui, come accadde in Vietnam e in Palestina. Nulla può giustificare la guerra davanti alla sacralità della pace.Una società «ingiusta» secondo i propri stessi schemi, non può sopravvivere che poche generazioni. Magnifici imperi sono sopravvissuti secoli e secoli basandosi sulla violazione della giustizia, la nostra però, non la loro. L’impero romano nel Colosseo ha fatto del dolore uno spettacolo. L’impero cinese è diventato famoso per la «raffinatezza» delle sue torture, che dovevano sollazzare l’imperatore per ore; durante questo lunghissimo tempo, però, il condannato non doveva defecare, può capitare che sotto dolore scappi qualcosa, altrimenti i carnefici ne avrebbero pagato il fio. L’impero azteco ha regnato sui sacrifici umani serenamente e per secoli. Alla fine però gli imperi basati sulla distribuzione di dolore inutile sono crollati. La loro giustizia era fondata sul dividere gli esseri umani in élite e feccia, e ritenere utile il sacrificio umano della feccia, sacrificio che poteva essere fatto alla divinità, aztechi, al potere, cinesi, alla folla, romani. In tutti questi casi, e negli innumerevoli altri che costellano la storia, la tortura pubblica genera affiliazione al gruppo degli astanti, che si sentono forti, potenti e traggono piacere comparando la propria situazione all’impotenza del condannato. Questa sensazione di piacere che nasce dal confronto con la dolente impotenza altrui, si definisce sadismo. La nostra giustizia si basa sul cristianesimo e abolisce il sacrificio umano. Il cristianesimo non è stato un innesto genetico. L’umanità quella era, un’umanità che include nel pacchetto base la ferocia e il sadismo. Il cristianesimo si è diffuso in Siria, e Nordafrica, rispettivamente la seconda e la terza culla della cristianità, e in Europa. Dalla Siria e dal Nordafrica è stato spazzato via dell’Islam. In Europa ha resistito perché, come spiegano Benedetto Croce e Claude Lévi-Strauss, la violenza e la ferocia dei barbari erano stati «provvidenziali» e lo avevano reso in grado di reggere il colpo. L’Europa è stato un continente di particolare ferocia, diviso tra i romani a Sud e i barbari a Nord. Per quanto riguarda i romani basta ricordare il Colosseo. I barbari erano peggio. Si pensi a quando, dopo la battaglia di Teutoburgo, gli alemanni scuoiarono vivi migliaia di prigionieri. Grazie al cristianesimo in meno di 20 secoli (non è ironico) ci siamo ingentiliti. Nonostante questo sadismo e ferocia, come ogni altra possibilità umana, nel pacchetto base sono sempre presenti, ma sono solo semi. Con l’allenamento si irrobustiscono e si ingigantiscono. Quindi pensiamoci un attimo prima di buttare acqua e fertilizzante sul semino dell’aggressività, perché una volta deformata la mente umana non torna indietro. Una volta provato il gusto del dolore altrui, la capacità di scaricare endorfine per le urla di qualcun altro, indietro non si torna. Se ne esce con uno sforzo di volontà costante, senza un attimo di distrazione, che serve a fermare un impulso che ci sarà sempre. Sadici sono diventati ex sadici perché il sadismo non era più gratuito e permesso, oppure grazie a una conversione religiosa. Senza questa conversione è difficile diventare veramente ex. Il sadismo può germinare dal nulla, come le tarme nell’armadio, perché nel lunghissimo periodo dell’età della pietra era più facile sopravvivere da spietati. Diventa rigoglioso però dove ci siano particolari fertilizzanti. Uno dei migliori è l’odio, soprattutto quello che nasce dalla paura. Il soldato che inevitabilmente ha paura, perché il nemico gli sta sparando addosso, appena può ucciderà l’avversario comprensibilmente. Il punto molto grave è che ne trarrà anche piacere. Altri fertilizzanti sono sostanze che, dalla seconda guerra mondiale in poi, sono sempre più presenti sui campi di battaglia: prima di tutto le metanfetamine. Il terzo Reich ne era strafatto e lo stesso vale per l’esercito giapponese. La sostanza aumenta la crudeltà, e rende incapaci di comprendere le conseguenze delle proprie azioni. La cocaina ha effetti analoghi. Amabili sostanze normalmente consumate nelle nostre discoteche dove, chissà come mai, ogni tanto qualcuno finisce ammazzato di botte per un qualche motivo. Negli anni Cinquanta scene sadiche e violente nei film erano vietate ai minori di 14 anni. Adesso i bambini di sette guardano Criminal Minds. Il cervello umano è basato sulle abitudini. Il sadismo diventa abitudine. Questo ci pone al tragico dilemma delle guerre giuste. Esistono guerre che hanno avuto il carattere di giustizia, ma anche nelle guerre giuste i soldati per combattere hanno dovuto uccidere.Anche una guerra giusta, quindi, porterà coloro che combattono al rischio di imbarbarirsi fino forse anche a perdere la loro anima. Lo sterminio volontario di impotenti può avvenire in maniera indiretta, mediante il bombardamento, o diretta, mediante tortura. Una guerra sicuramente giusta è stata la guerra del Vietnam. Le motivazioni erano sacrosante. In questo momento non mi vengono in mente, ma sicuramente ci saranno state (questo è ironico). In Vietnam sono stati bombardati civili con Napalm, è stato buttato un defogliante a base di diossina, l’agente arancio, che anche decenni dopo causa malformazioni. Nel villaggio vietnamita di My Lai un numero di civili tra 70 e 500 furono massacrati con una ferocia spaventosa che ha incluso anche lo stupro da un gruppo di soldati statunitensi in maggioranza di complemento. È stato un episodio isolato o è stato l’unico di cui c’è stata una documentazione fotografica? I soldati che sono diventati criminali e assassini se non fosse stata dichiarata quella guerra ritenuta giusta e sacrosanta per motivi talmente inoppugnabili che nemmeno ce li ricordiamo, sarebbero rimaste persone normali. Erano esasperati perché il battaglione era stato decimato da mine e trappole, giudicati mezzi «vili» e si sono sfogati sui primi che hanno incontrato. Anche la guerra in Iraq ha avuto motivazioni straordinarie e irrinunciabili, ma in questo momento tutto quello che mi viene in mente è un signore che agitava una provetta. Anche lì i bombardamenti hanno fatto migliaia di morti e c’è una documentazione fotografica spaventosa, come per lo scandalo di Abu Ghraib. Le foto mostrano un’uguale tendenza al sadismo sia nei soldati sia nelle soldatesse, dimostrando che la millantata bontà femminile è uno stereotipo. Abu Ghraib è stato un episodio isolato?La pace è sacra, perché anche le guerre che sul momento sembrano giuste, rendono belve. In più può saltare fuori qualche anno dopo che i motivi non c’erano, che è stata propaganda e del tipo più becero. Quindi tenetevi stretti i condizionatori e soprattutto tenetevi stretto il diritto a vivere in un paese libero senza l’economia distrutta. Ai fratelli ucraini mandiamo cibo, medicine e vestiario, e piantiamola immediatamente con il gesto criminale e folle di incentivare una guerra sostenuta dalla totale disumanizzazione del nemico. Ricordatevi di My Lai e Abu Ghraib, e pensateci un attimo prima di farvi spiegare dalla televisione chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Mandiamo solo cibo, vestiario e medicine, così siamo sicuri che non ci sbagliamo. Ci siamo già sbagliati.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)