2024-12-13
Oggi si decide sul processo spioni. Cantone prova a tenerlo a Perugia
Il gip potrebbe dichiararsi non competente sul fascicolo dei dossieraggi e farlo trasferire nella Capitale. Ma i pm sono pronti a rinnovare la richiesta d’arresto di Striano e Laudati davanti al Riesame.Per la vicenda dei presunti dossieraggi, oggi è una data decisiva. A Perugia un giudice potrebbe far ripartire dal via il procedimento contro il tenente Pasquale Striano, accusato di aver spiato senza autorizzazione redditi e precedenti di polizia di circa 170 vip. Nella primavera del 2023 era passato da Roma in Umbria e adesso è pronto a fare il percorso inverso. In mattinata il gip Angela Avila è chiamato a esprimersi su alcune eccezioni sollevate dai difensori dei due principali indagati: Striano, appunto, e l’ex sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Antonio Laudati. Ma potrebbe anche dichiararsi incompetente a decidere a causa di una recente sentenza della Cassazione e così far riprendere al fascicolo la strada della Capitale. Politici, imprenditori e personaggi dello showbiz che hanno attirato le attenzioni del finanziere potrebbero non prendere bene la notizia.non mollare l’osso In ogni caso gli inquirenti umbri guidati da Raffaele Cantone sarebbero orientati, almeno per ora, a non mollare l’osso e il 17 dicembre, davanti al Tribunale del Riesame, dovrebbero portare avanti la loro richiesta di arresto per Striano e Laudati.Il nodo è l’iscrizione sul registro degli indagati di quest’ultimo. Infatti, la sua presenza nell’inchiesta aveva convinto i pm capitolini a liberarsi del fascicolo, in quanto la Procura umbra è quella competente dei reati commessi da magistrati capitolini e Laudati, di stanza sul Lungotevere, per mesi è stato giudicato tale. Ma una toga dell’Antimafia, ufficio che ha competenza su tutto il territorio nazionale, è da considerarsi alla stregua di un magistrato che lavora a Roma? È su questo interrogativo che si gioca tutta la partita.All’inizio dell’indagine persino gli avvocati degli accusati avevano ritenuto di non contestare tale interpretazione, ritenendo consolidata la giurisprudenza. Ma la sentenza della Cassazione ha sparigliato le carte in tavola. I primi scricchiolii di un’inchiesta che ha fatto parlare tutti i media italiani e anche quelli stranieri si erano avvertiti quando il procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani, in un procedimento che coinvolge come parte offesa l’attuale procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, aveva trasmesso gli atti a Roma ritenendo che sui magistrati della Dna non dovrebbe essere competente Perugia, ma la Capitale.Nella Città eterna, però, hanno respinto al mittente il fascicolo. A questo punto Sottani e il sostituto procuratore generale Luca Semeraro hanno sollevato davanti alla Procura generale della Cassazione un «contrasto negativo tra pubblici ministeri» (succede quando due pm rifiutano entrambi di trattare un fascicolo). Le toghe umbre hanno evidenziato la differenza che passa tra l’articolo 11 del Codice di procedura penale e l’articolo 11 bis. Il classico granello di sabbia capace di mettere in crisi tutto l’ingranaggio, nel nostro caso il procedimento che da mesi sta coinvolgendo Striano e Laudati.L’articolo 11 è quello che si applica per evitare che la posizione di un magistrato che «assume la qualità di persona sottoposta a indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato» possa essere trattata da colleghi dello stesso distretto giudiziario. L’articolo 11 si applica alla generalità delle toghe, escluse quelle della Cassazione e della Procura generale del Palazzaccio di cui si occupa Roma, avendo queste ultime una competenza estesa a tutto il territorio nazionale. Lo stesso discorso, sino al 2008, era allargato ai magistrati della Dna, anno in cui nel Codice entra l’articolo 11 bis che stabilisce che i magistrati di via Giulia, quando vengono incaricati di affiancare i colleghi delle Procure distrettuali (questo incarico si dice applicazione), devono essere trattati, mentre operano in loco, alla stregua dei magistrati con cui condividono il lavoro (per esempio, se trasferiti a Palermo, vanno giudicati a Caltanissetta).scontri giuridiciPer anni è filato tutto liscio, sino a quando, di fronte a un primo contrasto negativo di competenza, la Procura generale della Cassazione ha dovuto ribadire che l’articolo 11 bis si applica quando «vi sia la concreta possibilità di instaurazione di un rapporto di colleganza e frequentazione tra magistrati del medesimo distretto» e che questa condizione, «per quanto riguarda i magistrati della Dna, si verifica soltanto quando questi vengano applicati presso una Procura distrettuale». Esattamente quello che sostiene Sottani.Il 4 giugno scorso, però, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Elisabetta Ceniccola, con un decreto controfirmato dal pg Luigi Salvato e dall’aggiunto Alfredo Pompeo Viola, ha dato torto a Sottani e ha stabilito che doveva «continuare a procedere» Perugia. A smentire la Ceniccola ci ha pensato la prima sezione penale della Cassazione, risolvendo l’ennesimo conflitto negativo di competenza, questa volta tra la Corte d’appello di Firenze e quella di Roma. Qui il casus belli è stato un procedimento avviato nei confronti di un avvocato e due boss della camorra accusati di diffamazione e calunnia ai danni dell’ex procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, e dello stesso Cantone. Il fascicolo era finito in Toscana per una specie di domino legato al solito articolo 11 e in riva all’Arno le toghe avevano rimarcato che «il regime dei magistrati in forza alla Dna è sui generis», poiché gli stessi «hanno una competenza senza limiti territoriali». E per questo si erano liberati della pratica. Il 23 ottobre scorso il collegio del Palazzaccio, presieduto da Giacomo Rocchi, ha dato ragione ai magistrati toscani e torto a quelli capitolini. Con queste parole: «La Corte d’appello di Roma ha ritenuto applicabile al caso di specie l’articolo 11, comma 2 […] La decisione è errata». E il principio alla base di tale conclusione non fa altro che ribadire quanto già valorizzato da Sottani ed equivocato a Roma: «In tema di competenza, la disciplina dettata dall’articolo 11 bis si applica solo ove il magistrato addetto alla Dna che assuma la qualità di indagato, imputato, persona offesa o persona danneggiata dal reato, sia stato applicato a una direzione distrettuale antimafia (in Italia si trovano nei 26 distretti di Corte d’appello, ndr)».Ma questo non è il caso di Laudati, che si è sempre occupato della gestione delle segnalazioni di operazioni sospette nel suo ufficio di via Giulia, presso la Procura nazionale antimafia. Per questo oggi il gip di Perugia, considerata la sentenza della Cassazione, potrebbe, come detto, dichiararsi incompetente. Però, secondo gli inquirenti, una tale scelta non vincolerebbe i pubblici ministeri a trasmettere gli atti a Roma, dal momento che il valore della pronuncia, in questa fase, è circoscritto a uno specifico atto e non all’intero processo.un ginepraio Dopo che il gip avrà disposto il provvedimento sulla competenza la Procura potrebbe, nonostante il prevedibile contraccolpo psicologico, attendere comunque il Riesame. E probabilmente lo farà. Anche se qualcuno potrebbe giudicare audace una simile scelta dopo la sentenza della Suprema Corte. Se la Procura optasse per procedere lo stesso, il Riesame potrà riservarsi la decisione, sulle misure cautelari dal momento che, trattandosi di un appello, non ha l’obbligo di decidere in tempo reale.Un ginepraio in cui faticano a raccapezzarsi anche giuristi di vaglia. Stiamo parlando di una situazione che ha pochi precedenti in Italia e di fronte alla quale la Procura si è trovata spiazzata. Considerata l’eccezionalità della situazione, non è neppure facile prevedere come si regoleranno i giudici del Riesame. Oggi il gip, se non riterrà di astenersi, dovrà valutare le eccezioni sollevate dai difensori di Laudati e Striano, gli avvocati Andrea Castaldo e Massimo Clemente. In particolare, il primo ha chiesto di retrodatare l’inizio delle indagini sul suo assistito, dal momento che l’iscrizione sul registro degli indagati sarebbe stata fatta tardivamente.Per esempio, l’ex pm è stato sentito come testimone, quindi in assenza del difensore, quando, secondo la difesa, erano già emersi indizi di reato a suo carico. Se il giudice desse ragione al legale, alcuni atti compiuti dalla Procura all’inizio dell’inchiesta diventerebbero inutilizzabili, ma la stessa sorte toccherebbe anche agli approfondimenti investigativi avviati quando, a giudizio del difensore, erano da considerare scaduti i termini di legge. I legali si sono, infine, opposti all’ulteriore richiesta di proroga delle indagini.Tutte questioni che troveranno risposta solo se il gip non riterrà di dover passare la mano.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)