Ansa
Pensieri negativi e suicidi sono in costante aumento, come dice pure l’Oms. Aver allontanato Dio ha creato un esercito di scontenti. I quali credono di colmare il loro vuoto negando la realtà: perfino interrompendo una gravidanza o cambiando il proprio sesso.
Sono due i proverbi che hanno a che fare con la contentezza, «chi si contenta, gode» e «cuor contento Dio l’aiuta». Potremmo fonderli in una nuova massima: «Chi si contenta gode, quindi è contento, quindi il ciel lo aiuta». Il contentarsi è il primo fondamentale gradino alla contentezza, il non contentarsi il primo dello scontento, e lo scontento è il primo disequilibrio che con micidiale effetto domino squilibra tutta la costruzione mentale, portando alla depressione e al suicidio. Il cuore per essere contento dovrebbe credere in Dio. È possibile la felicità per un ateo, ma come evento saltuario e fragile, legato a una serie di fortunati eventi. Chi crede in Dio Gli è grato, di ogni cosa, dall’acqua all’aria, dalle scarpe ai piedi su cui metterle. La nostra fede può diventare talmente enorme, da ringraziare anche per il dolore, come il mezzo che Dio ha scelto per avvicinarci a lui.
Da quando la fede in Dio si è spampanata, cioè negli ultimi decenni, la depressione è aumentata del 1.200%. E il suicidio? Contrariamente a statistiche false che sostengono il contrario, come testimonia l’Oms i suicidi sono in costante aumento. In un comunicato del 10 ottobre 2024, l’Oms riporta dati in base a quali si calcola che il tasso globale di mortalità per suicidio sia di 16 per 100.000 persone, con una morte ogni circa 40 secondi. Negli ultimi 45 anni il tasso di suicidio è cresciuto del 65% nel mondo. Oggi il suicidio è una delle tre principali cause di morte fra individui di età compresa tra 15 e 44 anni, in entrambi i sessi. Senza contare i tentati suicidi, fino a 20 volte più frequenti. Aver cacciato Dio dalle nostre vite, dal nostro normale quotidiano, dal normale correre dei nostri pensieri, ha lasciato un vuoto che abbiamo cercato di sostituire con la psicologia, ed è stata una catastrofe.
La psicologia ha una reale utilità in pochissimi campi estremamente specifici. Per il resto cura molto poco per non dire nulla, e inchioda la persona a un continuo parlare di sé, a un continuo focalizzarsi su sé stessi, a un micidiale esercizio di deresponsabilizzazione, a un inevitabile scontento. Ovunque ci siano un eccesso di opzioni e una scarsezza di fede in Dio, arriva lo scontento. La fede in Dio ci permette di dare sempre un senso forte alla nostra vita, amare Dio ed esserne riamati. Se questo non c’è si crea un vuoto. Il vuoto si riempie solo dando un senso forte alla nostra vita, ma se sono disponibili opzioni in eccesso, non cerchiamo il senso della vita, ma un’altra opzione, e un’altra e un’altra ancora. Con un altro lavoro potrei essere felice, con un altro coniuge potrei essere felice. In passato la felicità si cercava e si trovava nel solo posto dove può essere: nella realtà cui apparteniamo. Ora, con la possibilità di scelta, non c’è fine allo scontento: come vorrei essere altro, come vorrei fare altro. Il divorzio, la possibilità di cambiare coniuge o convivente, moltiplica lo scontento. La gravidanza poteva essere attesa o inattesa, accolta da benedizioni o maledizioni, ma c’era, non esisteva l’opzione di terminarla con l’uccisione del bimbetto. Ora questa opzione esiste. Un potere malefico non concede la libertà di scegliere su nulla, se vivi in un bosco ti levano i figli, se non li vaccini o sei povero anche, ma se vuoi ammazzare il tuo bimbetto ti mettiamo a disposizione cliniche e medici. Il senso del dichiarare l’aborto un diritto è questo. Se l’aborto è un diritto, non farlo sarà un reato. Innumerevoli gravidanze all’inizio maledette terminavano con la felicità della nuova vita. L’istinto materno è potente, a un certo punto salta fuori e travolge tutto. Salterebbe fuori, se non fosse stato soffocato dallo scontento.
Molti bambini sono scontenti del loro sesso, soprattutto in questa epoca stupida dove padre e madre non sanno che uno dei compiti del loro amore reciproco è creare nei figli la fierezza del proprio sesso. Prima della pubertà il cervello ha una prevalenza dell’emisfero destro, i bambini hanno più emozione che ragione, non riconoscono la differenza tra vero e falso, credono a Babbo Natale. Alcuni credono che vorrebbero essere dell’altro sesso. È sufficiente arrivare alla pubertà e all’adolescenza perché questi pensieri siano cacciati. Ma un potere malefico offre il frutto avvelenato. Al bambino e alla bambina che si sentono inadeguati, un sentimento frequente per non dire normale in persone giovani, si offre l’illusione del cambio di sesso, vezzoso termine con cui si indica la castrazione.
È importante insegnare ai nostri figli a combattere lo scontento. Lo scontento porta al suicidio: il suicidio diretto, ammazzo me, il suicidio differito, ammazzo la mia progenie nell’aborto, il suicidio parziale, ammazzo il mio essere maschio o femmina. In tutti i tre casi, un potere avaro e gretto concede aiuti munifici. Per evitare lo scontento l’assetto emozionale che funziona meglio è la gratitudine. Se siete credenti, siate grati a Dio, altrimenti alla natura o all’universo. La gratitudine, che otteniamo concentrando l’attenzione su ciò che abbiamo, è l’assetto di neurotrasmettitori che aumenta la nostra potenza. Io sto scrivendo: ho dita, mani, occhi, un computer. Voi state leggendo: avete gli occhi per leggere. La gratitudine è ringraziare per ogni cosa ci aiuti a mantenere ciò che c’è di positivo nella nostra vita, e questo ci aiuta ad aumentarlo. Teniamo l’attenzione concentrata su quello che abbiamo, sulla bellezza di respirare, di avere un tetto sopra la testa; sulla bellezza, al mattino, di svegliarci nei nostri letti e andare a lavarci i denti con l’acqua pulita, il dentifricio e lo spazzolino. La gratitudine diventa più difficile quando siamo confrontati con il dolore. La forza di una vita fragile. Storia di una bambina che non doveva nascere, Lindau 2008, di Sophie Chevillard Lutz, narra la felicità e la gratitudine con cui una famiglia ha accolto i sette anni di vita di una bimba gravemente disabile. Con la maglietta a rovescio è il libro con cui Anna Mazzitelli e Stefano Bataloni raccontano la storia di Filippo, morto di leucemia a 9 anni dopo tre trapianti di midollo. Questi libri non sono la storia di un’umanità dolente, ma di un’umanità trionfante. Hanno trionfato sul dolore. Hanno capito il dono terribile del dolore innocente, la prova che Dio manda per avvicinarci a Lui.
Volevo fare un video a favore della vita, contro quella sciagura nazista che è l’aborto eugenetico, vezzosamente chiamato aborto terapeutico. Con l’aborto terapeutico sono sterminati un gran numero di bambini sani, per diagnosi errate, o con patologie curabili. Poi ci sono anche i bambini oggettivamente malati. E ci sono video dove si vedono genitori e fisioterapisti che aiutano questi bimbi a fare cose che per altri sono normali come camminare e prendere un giocattolo grazie alla coordinazione neuromuscolare. Sui social funziona l’algoritmo. Non appena il social si è reso conto di cosa stavo guardando, mi ha offerto decine di video di bambini nati malati, o che hanno subito amputazioni o sono rimasti sfigurati da malattie settiche o da ustioni. Tutti quanti con vicino qualcuno che li ama e li aiuta, tutti quanti determinati a vivere una vita piena. Quello che l’algoritmo mi ha mostrato non è un’umanità dolente, ma un’umanità trionfante, che trionfa ogni giorno contro il dolore e l’impotenza, fratellini che aiutano i fratellini, fisioterapisti che si abbracciano quando la coordinazione finalmente permette un passo. Esistono magnifici video di una giovane donna che affronta la vita con una sola gamba, con un coraggio da leonessa. Nick Vujucic, nato senza gambe e braccia è un leader motivazionale. Il tasso di suicidio è molto più basso in questo esercito di combattenti. Hanno imparato da piccolissimi a tenere l’attenzione concentrata su quello che funziona, a fare il meglio che possono con quello che hanno. Come raccontato nei versi della poesia Invictus, per quanto possa essere enorme la notte che li circonda, sono e restano gli unici capitani della loro anima.
Continua a leggereRiduci
Michele Serra (Ansa)
Condividiamo la desolazione che ieri ha espresso su Repubblica Michele Serra deprecando «le parole di guerra che ultimamente sbocciano ovunque con una leggerezza feroce». Scrive Serra, con moltissime ragioni, che «si è tornati a parlare della guerra non solo come una ordinaria circostanza della storia, ma come una prova del fuoco alla quale possono sottrarsi solo il pusillanime e l’imboscato; e di conseguenza si è tornati a parlare della pace come di una imbelle patologia del benessere. Si leggono costernati rimproveri ai giovani europei», prosegue l’editorialista, «che in larga parte, alla domanda se morirebbero per la Patria, rispondono, come Bartleby, “preferirei di no”. Aspettarsi un “preferirei di sì”, dopo ottant'anni di pace, corrisponde ad aspettarsi un “preferisco la fame” dopo ottant'anni di piatti pieni».
Al netto della falsità secondo cui l’Unione europea ci ha regalato ottanta anni di pace, è tutto vero, tutto sottoscrivibile. Quanti invitano a versare sangue in nome di non ben precisati valori europei e spingono al conflitto senza quartiere contro le nuove e sempre diverse incarnazioni del nazismo farebbero bene a dare il buon esempio e a scendere in campo per primi, e in prima linea, cosa che con tutta evidenza sì guardano bene dal fare.
Siamo dunque solidali con Serra, empatizziamo con il suo sdegno. Ed egli, purtroppo per lui, dovrà accontentarsi del nostro appoggio, perché a ben vedere i più grandi fan del conflitto, soprattutto in Ucraina, sono proprio quelli che appartengono alla sua area politica. Politici, giornalisti, analisti e commentatori che da anni smaniano per il crepitio dei mitragliatori e si eccitano al fischio delle bombe. Sono gli stessi che hanno trattato e trattano ogni invito alla pace come intelligenza col nemico, ogni appello a fare ricorso alla diplomazia come un favore a Putin.
Serra tuttavia questo aspetto della questione tende a dimenticarlo. Forse perché fu proprio lui, mesi fa, a convocare una manifestazione «pro Europa» a cui si aggregarono sostenitori del riarmo di ogni ordine e grado e fior di progressisti bellicosi. In compenso, il bravo editorialista si rifugia in un vecchio cliché. La guerra, dice, la fanno soprattutto gli uomini, dunque se esiste è in gran parte colpa nostra, di noi maschi. Badate bene: non dei maschi liberali, progressisti e bellicisti, dei volenterosi britannici e d’ogni altra provenienza. No: di tutti i maschi, dei maschi in quanto tali.
«Di questo “scontro frontale di una virilità guerriera” che travolge nel suo farsi non solamente il presente, ma cancella ogni altra ipotesi differente di convivenza e perfino di conflitto», spiega Serra, «ha molto scritto Lea Melandri, e alla cultura femminista non sono certo serviti giri di parole o forzature ideologiche per inquadrare l’evidenza: la guerra è una pratica arcaica ed è una pratica maschile. Doppia circostanza che fa riflettere, inevitabilmente, sulla giustapposizione dei due concetti, arcaico e maschile, e giustifica e sollecita ogni possibile ragionamento su come e quanto muterebbero, le sorti dell’umanità, alla luce di una più forte presenza e influenza della cultura femminile nella società, nei luoghi di pensiero e nelle stanze del potere».
Certo, se le donne avessero più spazio si battaglierebbe di meno, come no. Se, per esempio, a gestire negli anni passati il pantano ucraino fossero state donne come Hillary Clinton e Victoria Nuland, di sicuro oggi non si combatterebbe. Se a capo dell’Unione europea ci fossero donne come Ursula Von der Leyen o Kaya Kallas, o perfino Pina Picierno, la tregua l’avremmo già ottenuta da un pezzo. I maschi vogliono la guerra, le donne fanno la pace. Ora tutto si spiega: la parte maschile di Serra organizza manifestazioni pro riarmo, la parte femminile compensa scrivendo articoli pacifisti.
Continua a leggereRiduci
2025-12-29
Non Sparate sul Pianista | Carolina López Moreno: «Nella Bohème la mia Mimì non è vittima»
A poche ore dalla Prima al Maggio Musicale Fiorentino, il soprano boliviano-albanese ha raccontato tutto il suo amore per il personaggio generato dal genio di Giacomo Puccini: «È una guerriera che prova a vivere ogni giorno come un dono, nonostante la malattia»
iStock
Dieci tappe per il cenone di San Silvestro, tra piatti di pesce, tradizione e ricette accessibili, dall’antipasto al dopo mezzanotte. In abbinamento, una guida ragionata ai migliori rosati italiani e agli Champagne per il brindisi.
Per Mezzanotte tutto deve esser compiuto. Si viaggia verso il cenone di San Silvestro (con replica per Capodanno) con in testa alcune ricette che non devono mancare mai. Così l’anguilla, e poi il salmone e ancora per chi intende strafare il caviale, come se nella tradizione gastronomica italica non ci fossero preparazioni ottime e anche economiche. Ecco allora qui dieci idee di piatti che si possono fare senza spendere un’ira d’iddio ma allestendo una tavola molto saporita e a tratti sorprendente.
Gli antipasti

CORONA DI RUSSA E TROTA SALMONATA
Ingredienti – 4 carote grosse, 4 patate egualmente grosse, 400 gr di pisellini surgelati, 400 gr di trota salmonata se optate per l’affumicato ne basta la metà) mezzo bicchierino di aceto bianco di vino, 300 gr di maionese, un abbondante ciuffo di finocchietto selvatico, una melagrana o del ribes (facoltativi) sale e ghiaccio qb.
Procedimento – Mondate e sbucciate carote e patate e riducetele a cubetti di non più di 4 millimetri di lato. Mette a bollire una capace pentola piena d’acqua salata e che acidulate con l’aceto. Cuocete le verdure mettendo quando l’acqua bolle prima le carote, dopo cinque minuti le patate e dopo un quarto d’ora i piselli. Intanto piastrate o passate in padella in questo caso aiutandovi con un po’ di brodo delle verdure per la cottura prima dalla parte senza pelle poi dall’altra la trota che salerete ben bene all’ultimo. Scolate le verdure, tenendo da parte l’acqua di cottura: è un’ ottima base per un brodo vegetale, in una ciotola colma di ghiaccio e fatele freddare bene bene. Nel frattempo tritate finemente il finocchietto selvatico. Fate a cubetti o sfilacciate il pesce. Scolate le verdure e aggiungete la trota, aggiustate di sale e ora aggiungete la maionese mescolando ben bene. Prendete uno stampo a corona e sistemate nel mezzo un bicchiere in modo che si formi appunto l’anello. Versate e comprimete bene nello stampo l’insalata russa alla trota salmonata. Togliete la cerniera e il bicchiere e ora cospargete la corona in superfice con il finocchietto selvatico decorando se piace con la melagrana o con il ribes.
CROCCANTE DELL’ORTO
Ingredienti – 300 gr di verza, due carote, una cipolla bianca o rossa ma di buone dimensioni, 4 cucchiai di Parmigiano Reggiano, Grana Padano o altro formaggio da grattugia, 8 dischi di carta di riso, un cucchiaio di erba cipollina essiccata, olio extravergine di oliva, sale, pepe e salsa di soia qb.
Procedimento – Mondate le verdure poi fatele alla julienne o passatele al tritatutto senza però sbriciolarle. In una terrina mescolate tutte le verdure, il formaggio, l’erba cipollina, aggiustate di sale e di pepe. Ora prendete una padella antiaderente scaldatela bene, ungetela con l’olio extravergine. Inumidite i fogli di carta riso e mettetene quattro in padella ricopriteli con il mix di verdure e formaggio, poi sistemate sopra gli altri quattro dischetti sempre inumiditi e sigillate a mo’ di tortellone. Fate andare a fiamma delicata per 4 minuti, poi rigirate. Quando i croccantini hanno preso colore da entrambi i lati sistemateli in un piatto di portata e servire con salsa di soia.
CROCCHETTE DI BACCALÀ
Ingredienti – 500 gr di baccalà già ammollato, 500 gr di patate a pasta gialla, un mazzetto di prezzemolo, 4 uova, 200 gr di farina 00, 200 gr di pangrattato, mezza scamorza bianca, un litro di olio per friggere, tre cucchiai di olio extravergine, due spicchi d’aglio, sale e pepe qb.
Procedimento – Lavate le patate fatele lessare in abbondante acqua non salata. Nel frattempo mondate dalle lische e dalla pelle i filetti di baccalà e riduceteli a dadolata piuttosto fine. In una padella scaldate l’olio extravergine con i due spicchi d’aglio che eliminerete quando saranno dorati. Saltate per 5 o 6 minuti in padella il baccalà aggiustando di pepe. Fate a dadini piccoli la scamorza e tritate finemente il prezzemolo. Scolate le patate e ancora caldissime con lo schiaccia patate fatele cadere in una ciotola capiente. Unite il baccalà che avrete cura di sfibrare con una forchetta. Amalgamate il tutto, lasciate intiepidire, aggiungete il prezzemolo e l’uovo. Mescolate in modo da ottenere un impasto ben fermo. Ora con le mani fate delle crocchette prendendo un po’ d’impasto alla volta e mettendo al centro di ogni crocchetta alcuni cubetti di scamorza. Passate ogni crocchetta nella farina, poi nelle altre uova che avrete nel frattempo sbattuto aggiungendo un pizzico di sale, nel pangrattato, di nuovo nell’uovo e in ultimo ancora nel pangrattato. Ripetete l’operazione per ogni singola crocchetta. Ora scaldate l’olio per friggere in un’ampia padella - meglio se di ferro - e friggete le crocchette poche per volta. Devono avere un bel colore leggermente ambrato. Aggiustate di sale se necessario e servite. Potete anche cuocerle in forno: vi servirà una mezz’ora circa a 180 gradi. Ma fritte sono un’altra cosa!
I primi piatti

iStock
I FUSILLI DEL PESCATORE
Ingredienti – 360 gr di fusilli o pasta corta da grano italiano (noi abbiamo usato quella di grano saragolla), 16 mazzancolle, 400 gr di cozze freschissime, due spicchi d’aglio, mezzo peperoncino fresco (oppure uno secco) 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, un generoso ciuffo di prezzemolo, sale qb.
Procedimento – Per prima cosa mondate le cozze, raschiatele e fatele aprire in una pentola coperta, con pochissima acqua e a fuoco moderato. Togliete alle mazzancolle i baffi e le zampette anteriori. Mettete a bollire una pentola con abbondante acqua salata per cuocere la pasta. In una padella molto capiente fate scaldare tre cucchiai di olio extravergine di oliva con i due spicchi d’aglio e il peperoncino. Quando l’aglio è dorato eliminatelo insieme al peperoncino. Fate cuocere la pasta. Mettete in padella le mazzancolle e il concentrato di pomodoro che avrete cura di sciogliere usando uno o due cucchiai di acqua di cottura delle cozze. Appena le mazzancolle prendono colore aggiungete le cozze (se volete potete sgusciarne alcune). Scolate la pasta ben al dente e tiratela in padella a cottura con il sugo di cozze e mazzancolle aggiustando se serve di sale. Tritate finemente il prezzemolo, lucidate la pasta con il restante extravergine a crudo e guarnite con il trito di prezzemolo ogni porzione.
PACCHERI CECI E POLPO
Ingredienti – 360 gr di paccheri da grano duro italiano 350 gr di polpo, 350 gr di ceci prelessati, due spicchi d’aglio, due foglie di alloro, un peperoncino, un ciuffo abbondante di prezzemolo, olio extravergine di oliva meglio se da miscela classica toscana frantoio leccino, moraiolo almeno 6 cucchiai, sale qb.
Procedimento – Nettate bene il polpo poi tagliatelo a pezzetti e passatelo al mixer sì da ottenere una sorta di battuto fine di polpo. In una padella ampia scaldate l’extravergine con l’aglio, l’alloro e il peperoncino. Quando l’aglio è dorato aggiungete il polpo, incoperchiate e andate avanti a fiamma dolce. Vedrete che il polpo rilascerà molta acqua fatela assorbire piano piano. Ora mettete a bollire in una pentola l’acqua per cuocere i paccheri. Mette poco sale perché il polpo è saporito di suo. Quando il polpo comincia a ritirare la sua acqua aggiungete in padella due terzi dei ceci. L’altro terzo frullatelo con il mixer a immersione aiutandovi con un po’ di acqua di cottura del polpo e un cucchiaio di olio extravergine e frullate a crema. Mettete a lessare i paccheri. Quando sono cotti al dente scolateli, ritirate dalla padella aglio, peperoncino e alloro e aggiungete la pasta e la crema di ceci. Tritate finemente il prezzemolo. Saltate mantecando magari aggiungendo ancora un po’ di extravergine e aggiustando di sale, guarnite col prezzemolo e servite.
RISOTTO DI CAPODANNO
Ingredienti – 360 gr di riso italiano Carnaroli, o Arborio o Vialone Nano, una cipolla, una carota, una costa di sedano, un pomodorino, due belle melegrane, due porri per circa 200 gr, 180 gr di Parmigiano Reggiano o Grana Padana grattugiato, 180 gr di burro salato, un bicchiere di vino rosato (noi abbiamo usato lo spumante), 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Per prima cosa preparate un brodo vegetale con carota, pomodorino, mezza cipolla, sedano e le parti verdi dei porri ben lavate che metterete a freddo in una pentola colma d’acqua. Ora sgranate le melegrane e tenete da parte i chicchi. In un padellino stufate i porri tagliati a rondelle fini in 50 gr di burro, olio extravergine e portateli a cottura aiutandovi con un po’ di brodo vegetale. Cotti che siano i porri frullateli aggiustando di sale e pepe con un paio di cucchiai di formaggio grattugiato e tenete la cremina di porro a parte Ora in una pentola fate soffriggere in 3 quarti del burro rimasto la cipolla fino a farla diventare trasparente, tostate in questa pentola il riso e poi bagnate con il vino rosato facendo sfumare tutto l’alcol. Aggiungete la cremina di porro e continuate la cottura del riso aggiungendo a poco a poco il brodo vegetale. Frullate tre quarti dei chicchi di melagrana (tenetene da parte un po’ per guarnizione) poi passateli al colino cinese in modo da estrarre il succo che aggiungerete mano a mano al riso. Assaggiate per evitare di aggiungere troppo suco e che il riso sia troppo aspro. Quando il riso è quasi cotto aggiustate di sale e pepe, togliete dal fuoco e mantecate per un minuto almeno col burro rimasto e tutto il formaggio residuo. Servite guarnendo con i chicchi di melagrana.
I secondi

iStock
PESCATRICE AL TARTUFO
Ingredienti – Una rana pescatrice (o coda di rospo) di 1 kg, un tartufo nero pregiato da 40 gr, 4 o 5 foglioline di salvia, 6 cucchiai di farina tipo 1, 100 gr di burro di primo affioramento (noi abbiamo usato del burro al tartufo, ma è un per di più) sale e pepe qb.
Procedimento – Pulite, eviscerate la rana pescatrice e staccate dalla testa (tenetela da parte è ottima per fare il fumetto di pesce per un risotto!) il corpo che farete a tranci di circa 6/8 millimetri di spessore. Nel frattempo mondate bene il tartufo con l’aiuto di uno spazzolino duro e poi di un panno inumidito. Scaldate in una padella il burro con le foglie di salvia sì da aromatizzarlo. Quando il burro è fuso – ma non deve diventare nocciola – infarinate bene i tranci di pesce e fateli cuocere da tutti i lati in padella. Aggiustate di sale e generoso pepe. A un minuto dalla cottura slamellate senza risparmio il tartufo sul pesce. Fate prendere appena un po’ di calore, impiattate aggiungendo altro tartufo e servite.
FILETTI DI NASELLO
Ingredienti – 1 kg di Naselli freschissimi che sarebbe meglio farsi sfilettare dal pescivendolo, 400 gr di pomodori ciliegini, 100 gr di olive taggiasche, un mazzetto di erba cipollina e un mazzetto di maggiorana, due spicchi di aglio (facoltativi) un peperoncino fresco o del pepe, sale, mezzo bicchiere di vino bianco secco, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva. Se volete alcune fette di pane raffermo da bruschettare.
Preparazione – Eviscerate, squamate e togliete le spine ai pesci e ricavatene dei filetti (tutte operazioni che potete far fare in pescheria) che avrete cura di mondare ben bene dalle lische e di sciacquare sotto acqua corrente. Ora tritate finemente le erbe aromatiche. Tagliate in due i pomodorini. In una capace padella scaldate l’olio extravergine con le erbe aromatiche e se volete anche con due spicchi d’aglio. Andate a fuoco dolce per non friggere le erbe. Eliminate l’aglio quando è dorato e aggiungete i pomodori aggiustando di sale e pepe o peperoncino. Fate stufare i pomodorini per 6 o 7 minuti, aggiungete i filetti di pesce dalla parte della pelle, innaffiate col vino e fate sfumare a fuco vivace. Coprite e fate cuocere 5 minuti. Girate i pesci aggiungete le olive taggiasche e fate cuocere per altri 5 minuti. In ultimo se serve aggiustate ancora di sale e pepe e servite. Se volete potete fare delle bruschette con le fette di pane leggermente agliate depositarle sul fondo del piatto e servire il pesce con i pomodori e il sughetto adagiato sul pane.
IL PESCE NELL’ORTO
Ingredienti – 1,2 kg di pesce bianco (spigola, orata, san pietro, coda di rospo, merluzzo, passera a vostro piacimento) 4 patate, 3 carote, due cipolle, 200 gr di olive verdi e nere, un mazzetto di prezzemolo, 150 gr di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Mondate il pesce lavatelo e lasciatelo da parte. Mondate le verdure, lavatele e con l’aiuto della mandolina fatele a fette sottilissime. Tritate finemente il prezzemolo. Pre-riscaldate a 180° il forno. In una capace ciotola condite le verdure con ¾ dell’extravergine, sale e pepe. Mescolate bene. Ora prendete una placca da forno e ricopritela con carta forno. Sistemate sulla placca uno strato di verdure, su queste adagiate il pesce. Salatelo e pepatelo leggermente e lascate cadere una “pioggia” di prezzemolo. Ricoprite il pesce irrorando di extravergine con le verdure rimaste. Infornate e cuocete per circa mezz’ora.
Per la tradizione

iStock
COTECHINO IN CROSTA
Ingredienti – Un cotechino (prendete i precotti altrimenti mettete in conto due ore di bollitura), 250 gr di cavolo cappuccio, una cipolla bianca, 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, una confezione di pasta sfoglia, un uovo, un cucchiaio di semi di papavero o sesamo, un mezzo bicchiere di vino bianco (facoltativo) sale e pepe qb.
Preparazione – Mettete a cuocere il cotechino in abbondante acqua. Fate a striscioline sottili il cavolo cappuccio, tritate finemente la cipolla che farete imbiondire in padella in olio extravergine di oliva. Appena la cipolla ha preso colore saltate in padella il cavolo cappuccio e fate stufare. Sfumate col vino bianco oppure aggiungete un po’ d’acqua e fate ammorbidire bene il cavolo cappuccio. A cottura aggiustate di pepe e di sale. Fate freddare. Scolate il cotechino (se è precotto cuocerà nei medesimi 20 minuti che servono a stufare il cavolo) e fate freddare. Stendete su una placca da forno ricoperta di carta forno la pasta sfoglia. Sbattete il rosso dell’uovo. Ora sistemate su metà della carta forno il cavolo e adagiatevi sopra il cotechino. Ricoprite a portafoglio con la pasta sfoglia, sigillate bene e pennellate con il rosso d’uovo guarnendo con i semi o di papavero o di sesamo. Andate in forno per una ventina di minuti a 180 gradi.
LENTICCHIE IN TEGAME
Ingredienti – 220 gr di lenticchie secche, 1 cipolla rossa, una carota, una costa di sedano, 2 foglie di alloro e uno spicchio d’aglio, 250 gr di passata di pomodoro, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva un peperoncino (se piace) oppure pepe nero, sale qb
Procedimento – Mettete in ammollo le lenticchie in acqua fredda per un paio d’ore, scolatele e lessatele in acqua salata con le foglie di alloro. In un tegame scaldate con l’aglio e il peperoncino l’olio extravergine di oliva, quando l’aglio ha preso colore eliminatelo e aggiungete il trito fine di verdure. Fate prendere colore, ora aggiungete le lenticchie scolate, fate insaporire, aggiustate di sale e (se non avete messo il peperoncino) di pepe e aggiungete la salsa di pomodoro. Cuocete per circa 10 minuti.
Dopo la mezzanotte

iStock
LINGUINE FREDDE ALLA PUTTANESCA
Ingredienti – Due pomodori San Marzano, 4 pomodori ciliegini, 4 datterini e 4 pendolini, 8 filettini di acciughe, due pugni di capperi sotto sale, 12 olive nere al forno o 24 taggiasche denocciolate, 8 foglie di basilico e 4 rametti di timo, almeno 100 ml di olio extravergine di oliva, 360 gr di linguine di grano italiano, sale e pepe qb.
Procedimento – Mentre aspettate che l’acqua, salata senza eccedere, dove cuocere le linguine prenda il bollore pulite i diversi pomodori e fateli a dadolata grossolana. Mettete a dissalare i capperi sotto acqua corrente. Lessate la pasta e nel frattempo denocciolate le olive e tritatele grossolanamente insieme ai filetti di acciughe. In una zuppiera capace di contenere tutta la pasta condite i pomodori con generoso olio extravergine di oliva aggiungendo le olive, i capperi, le acciughe, aggiustate di sale e pepe. Scolate la pasta e mantecatela in questa insalata di pomodori aggiungendo le foglie di basilico sminuzzate e il timo. Servite con un giro di olio extravergine a crudo.
TORTINI DI PATATE E CALAMARI
Ingredienti – 400 gr di patate, 800 gr di calamari, tre uova, 60 gr di pangrattato, un abbondante ciuffo di prezzemolo, uno spicchio d’aglio, 8 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Lessate le patate (potete farlo anche sbucciandole) e nel frattempo frullate nel mixer i calamari con il prezzemolo e l’aglio (facoltativo). In una bastardella unite calamari e patate schiacciate, salate e pepate e impastate in modo da ottenere una massa omogenea. Sbattete le uova. Con le mani formate delle polpette, non troppo generose di dimensioni per favorirne una completa cottura, con l’impasto di calamari e patate e passatele prima nell’uovo poi nel pangrattato ancora nell’uovo e ancora una volta nel pangrattato. Ora scaldate l’olio extravergine in una capace padella e cuocete a fuoco moderato le polpette in modo che si formi una consistente crosticina dorata girandole spesso da ogni lato. Aggiustate di sale e servite.
PLUMCAKE DI MELE
Ingredienti – 6 mele sode (noi abbiamo scelto quelle di montagna di Camerino), 100 gr di farina 00, 80 gr di zucchero semolato, 40 ml di olio di semi di girasole alto oleico, 120 ml di latte, 2 uova, un limone non trattato, una bustina di lievito per dolci, tre cucchiai di zucchero a velo, mezzo bicchierino di liquore alla mela (facoltativo), 4 o 5 noci sgusciate (facoltative)
Procedimento – Sbucciate e private del torsolo le mele, affettatele finemente con una mandolina. Sbattete le uova e aggiungete l’olio e il latte mescolando bene. Ora in una grande ciotola riunite tutte le polveri, zucchero a velo escluso. Mescolate bene poi incorporate i liquidi e infine le fettine di mela che avrete aromatizzato con il liquore alla mela (così evitate anche che si si ossidino). Se volete tritate finemente le noci e aggiungetele all’impasto. Sistemate l’impasto in uno stampo da plumcake, fate un’abbondante grattugiata di scorza di limone e infornate a forno statico a 190 gradi (180 se ventilato) per circa 20 minuti. Sfornate, lasciate intiepidire, spolverate con lo zucchero a velo e servite con panna montata o gelato alla vaniglia.
Un fiocco rosa alla cantina

iStock
San Silvestro è il momento delle promesse d’amore, degli intenti di rinascita. E dunque appendiamo un fiocco rosa alla cantina e lanciamoci alla degustazione di un patrimonio di vini davvero unico che l’Italia vanta. I soliti francesi cercano di farci sentire in minorità colturale esaltando, i pur ottini, rosati di Provenza che vengono estratti con la tecnica a lacrima; si tratta di prendere le uve rosse, pressarle molto poco facendo percolare il mosto in modo che il contatto con le bucce sia limitato. Noi lavoriamo più spesso per macerazione rapidissima. Il fatto è che loro contano su Pinot Noir, Gamay, Grenache e poco d’atro per avere i rosati. Noi abbiamo una infinità di declinazioni di vitigni autoctoni che ci consentono diverse variazioni sul tema. Il menù della fine dell’anno dovrebbe prevedere piatti di pesce e di carne e il rosato è un ottimo compromesso per accompagnare entrambi (a meno che non serviate cacciagione o carne in griglia) infine in rosa si trova dallo spumante al dessert tutto quello che ci serve. Le proposte qui citate sono solo suggerimenti potete spaziare dove e come volete, ma ho provato una selezione che spero sia soddisfacente. Tutto in rosa anche per il brindisi finale che deve essere lontano dai dolci e deve incarnare con la scelta di bottiglie di alto lignaggio.
Per cominciare – Partiamo con dei vini che spumano. Allora ecco un ottimo Valdobbiadene DOCG rosato che ci arriva da Canevel, sempre tra gli charmat con un’intonazione secca viene dalla Valle d’Aosta il Magie, rosato spumante di Caves de Donnas. Volendo andare su un metodo classico dall’Oltrepò il massimo è senza dubbio il rosato di Monsupello e sempre dalla Lombardia, ma stiamo sul Garda, ecco il Vezzola rosè di Costaripa, scendo in Puglia il Rosè di d’Araprì è veramente ottino e in Sicilia c’è il Brut Rosè di Donnafugata. Aurea Gran Rosè e Remole Rosè di Frescobaldi rendono onore alla Toscana mentre nelle Marche il Rose di Angiolina Velenosi è perfetto. Se volete strafare l’Extrabrut Rosè di Maso Martis oppure buonissimo è il Rosè Brut di Mosnel. Ottima la declinazione in jeans della Franciacorta del rosato di Contadi Castaldi.
Per seguitare – Qui si va verso i vini fermi. Cominciamo con il Rose di Masi che tiene altissimo il vessillo del Veneto. Il Traccia di Rosa di Matilde Poggi è il massimo tra i Bardolino Chiaretto (tutti ottimi). Dai colli orientali del Friuli il Rosé di Livio Felluga è commovente, il Lagrein Rosa di Hofstatter ottima espressione altoateisna. Sfumature di Rosa di Gajaudo parla ligure, eccelso è l’Occhio di Gallo di Villa Forano, un atelier del vino marchigiano con racconto di Lacrima, Sangiovese e Montepulciano. Sempre nelle Marche il Didì de Il Pollenza è superlativo, anche spumante e Garofoli a due passi dal Conero offre infatti il Rosè Brut spumante ma soprattutto il Komoraso da Montepulciano in rosa.
Per la struttura – Cominciamo con i due rosati abruzzesi di maggiore espressività: quello di Pepe e quello di Valentini. Sono bottiglie di altissimo pregio. Sulla dorsale adriatica arriviamo in Puglia e qui il rosato ha patria di elezione. Immancabile è il Five Roses di Leone de Castris, un monumento ai vini in rosa. Ottimo il Flarò di Vespa Vignaioli, impeccabile nonostante la cospicua tiratura il Kreos di Castello Monaci, incantevole l’EstRosa di Pietraventosa. In Sicilia applausi a scena aperta per il Rosato in accoppiata Donnafugata per Dolce&Gabbana, Ottimo il Ramusa Tenuta Ficuzza 2022 di Cusumano. Notevole l’Erse Rosato di Tenuta di Fessina. Il Rosè Rogito delle Cantine del Notaio (Basilicata, c’è anche spumante) è meraviglioso, così come in gran conto va tenuto Il Pescanera d’Ippolito in Calabria. Il Costa d’Amalfi di Marisa Cuomo nella versione in rosa è affascinante. Impeccabile il Rosato Soré (Lazio Famiglia Cotarella) mentre in Umbria debutta felicemente anche tra i rosati Marco Caprai con il Puntabella, gamay del Trasimeno. Arriviamo alla Toscana che è diventata, soprattutto in Maremma, la terra promessa dei rosati. Si parte col Fioreviola di Fiorella Lenzi, poi ecco Belvento di Petra e sempre dalla famiglia Moretti l’Acquagiusta della tenuta La Badiola. Si risale a Bolgheri con lo Scalabrone di Antinori e sempre in zona Bolgheri ecco il Sof Rosè di Lodovico Wine e il Rissoa di Campo di Sasso. Dall zona etrisca l’A di Antinori a base di aleatico vi sorpenderà. In Chianti Classico ecco il Rosato di Castello di Cacchiano. Dalla Sardegna una chicca assoluta: il Tre Torri di Cantina di Santadi da uve Carignano. L’Alghero Rosato di Sella & Mosca è un fiore di mare. Un discorso a parte meritano i Lambrusco. Quando arriva lo zampone o il cotechino la scena è tutta loro. Si parte col Radice di Paltrinieri (Sorbara) si aggiunge il Cadelvento di Venturini Baldini, si arriva a il Bruno e le Rose di Ceci, e si chiude col Rosè del Cristo di Cavicchioli.
Il dessert – Il primo che viene in mente è il Brachetto d’Acqui di Braida-Giacomo Bologna. Poi il Moscato Rosa di Franz Hass e quello di Marco Donati. Il Fiori di Rosa di Villa Oppi è un ottimo rosato da dessert. La Malvasia Rosè spumante di Cantine Povero può essere un sfizio dolce, come Elena di Cabanon che è uno spumante dolce da Moscato Rosa.
Fuochi d’artificio – Per il brindisi finale adottiamo un grande spumante italiano. Sono tantissimi tutti ottimi. Mi limito ai cinque tenori. Partiamo con Enrico Serafino Oudeis Rosè millesimato 2020, di classe superiore la Cuvé Anna Maria Clementi in Rosa di Cà del Bosco e restando in Franciacorta il Millesimato Rosè di Bellavista, inarrivabile il Giulio Ferrari Riserva Rosè (famiglia Lunelli) esaltante il Monsieur Martis rosè millesimato di Maso Martis.
E volendo Champagne – Almeno per la notte di San Silvestro cerchiamo di non essere del tutto sciovinisti. Ci sono alcuni Champagne (fra parentesi gli importatori) che vale la pena di approfondire. Partiamo con Pol Roger Rosé Vintage, seguitiamo con Blason Rosé di Perrier-Jouet (Antinori), col Grand Rosè di Gosset (Gaja), degustiamo il Grand Cru Rosé Brut di Paul Dethne (Cà di Rajo) per finire con Rosé de Saignèe di Geoffroy (Compagnia del Vino).
Continua a leggereRiduci







