<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/oggi-in-edicola-2658114472.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2658114472" data-published-at="1662147065" data-use-pagination="False">
La famiglia Trevallion-Birmingham e la nuova casa assegnata in comodato d'uso (Ansa)
Dopo aver diviso i figli dai genitori con la scusa della casa, lo Stato etico prova a convertire i rurali alla dottrina progressista: ciclo vaccinale e maestra a domicilio al posto della madre. E magari uno smartphone per aiutare i bambini a «socializzare».
Che cos’è lo Stato etico? Quello che entra nel bosco, divide una famiglia togliendo i figli ai genitori con la «promessa» (vi piace questa parola?) di ridarli se si seguono le regole della rieducazione. Beh, se la testa vi è andata alla famiglia nel bosco, a mamma Catherine e papà Nathan, avete fatto bene perché era esattamente lì che volevamo andare.
Affievolito il clamore mediatico e scomparsi dai radar i politici, il silenzio diventa lo scenario perfetto per manovrare a norma di legge. Esattamente come da manuale d’istruzione. Si fa così: abbassare i toni, stancare i ribelli e non demordere nella finalità di rieducazione. In primis, intervenire sulla casa per piegare quella radicale armonia con la Natura che escludeva ogni comodità, che ricorreva al fuoco per scaldare l’acqua, che escludeva i contatti con la plastica; ebbene, ci sono riusciti visto che c’è una nuova casa in attesa di sistemare quella vecchia. Poi infilarsi nelle dinamiche educative, portando i bambini sui banchi di scuola e non al tavolo della cucina, sotto la guida delle maestre e non della mamma per quanto strutturata a insegnare come aveva dichiarato il ministro Valditara. Eppure tutto questo ancora non basta.
La chiamano «collaborazione tra le istituzioni e la famiglia», anche se l’asimmetria tra le parti è evidente: uno rieduca, l’altro subisce. Tanto che Catherine e Nathan hanno accettato di completare il ciclo vaccinale dei loro figli, fermo ai primi tre sieri. Contenti? No, perché nemmeno quello è sufficiente per riportare i bambini dalla casa famiglia ai loro genitori. L’opinione pubblica è più che spaccata perché vede che i genitori si sono ammorbiditi parecchio, ma ai giudici competenti sembra non bastare ancora: loro «sono» la legge, rappresentano il Giusto e il Bene. Loro vogliono rieducare; anzi loro «debbono» rieducare. Piegare. Indirizzare alle «migliori» strade: la casa nel bosco non va bene; le scelte sanitarie non sono consone; e pure la scolarizzazione dev’essere ripensata.
Anche su questo mamma Catherine si è dovuta ammorbidire aprendo le porte a una maestra di zona che andrà a domicilio tutti i giorni feriali per raggiungere il livello di unschooling come piace alla burocrazia, che ha insistito persino sulle carenze di italiano (del resto in casa parlavano per lo più in inglese senza per questo disdegnare l’italiano avendo scelto di vivere in Abruzzo). Potrebbe toccare alla maestra Rossella, 36 anni di Palmoli, colmare quel che la plurilaureata mamma Catherine non sarebbe stata in grado di offrire. Anche Rossella D’Alessandro ha due lauree e parla le lingue straniere: sarà il pezzo mancante per rimettere le cose al loro posto? Oppure i tre figli della famiglia nel bosco dovranno rimanere nella casa famiglia di Vasto?
Tra pochi giorni sarà Natale e il rischio di non poter raccontare il lieto fine purtroppo c’è, ma se così fosse sarebbe davvero uno strappo difficile da far comprendere all’opinione pubblica, ancora attonita per il sopravvivere della radicale decisione dopo il trasferimento di papà Nathan in un’altra casa. Che sembrava essere il problema principale. Ma così - si è scoperto - non era: il problema erano le scelte sanitarie e poi la scuola e la socializzazione dei bambini con gli altri bimbi.
L’ho detto e lo ribadisco: nella confusione generata dai social è difficile poter dire quale sia il modello giusto e non credo che possa toccare allo Stato intromettersi nelle scelte educative. Ecco perché aver tolto i figli alla famiglia nel bosco è una scelta da Stato etico. Viviamo un tempo in cui i genitori e gli insegnanti non sanno come gestire gli effetti dell’abuso dei social già alle elementari, ma ci permettiamo di mettere il naso nella scelta dei neorurali di vivere nella totale armonia con la Natura. Andateli a vedere i bambini e i ragazzini nelle cene di classe che in questi giorni prenatalizi si organizzano; andate a vedere il livello di socializzazione e li ammirerete piegati su quegli smartphone che noi adulti abbiamo regalato per tenerli calmi. Non è così già all’età di pochi anni? Basta guardare cosa accade nei ristoranti.
Che cosa regaleremo ai nostri figli per Natale (beati quei bimbi che ancora riescono a credere a Babbo Natale, visto che i social riescono a rompere persino l’incantesimo di questo rito)? Quanti regali saranno «smart», da connettere? Magari lo stesso mondo che toglie i figli ai genitori troppo radicali ha figli che si isolano sui social e vivono in un mondo… virtuale.
Onestamente tra l’Australia che toglie i social ai minori di 16 anni e l’Italia che toglie i figli alle famiglie nel bosco per rieducare, preferisco la prima scelta. Prima o poi ci dovremmo pensare anche noi.
Continua a leggere
Riduci
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Un Gran giurì incrimina Tashella Sheri Amore Dickerson, di Black Lives Matter, per 25 capi d’accusa: secondo l’Fbi ha dirottato fondi destinati alle cauzioni degli attivisti per acquistare immobili e pagarsi viaggi.
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
Continua a leggere
Riduci
Francesca Albanese (Ansa)
La stellina pro Pal è già offuscata: cresce del 16% la quota di elettori che diffidano di lei. Interrogazione Fdi sulle lezioni.
Il 41% degli italiani non ha fiducia in Francesca Albanese e solo il 17% si esprime a favore della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati. È quanto emerge dal sondaggio Youtrend pubblicato ieri. Un focus singolare, visto che non si tratta di un politico ma di un personaggio mediatico, ultimamente al centro di numerose polemiche e dibattiti.
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
Continua a leggere
Riduci
Kaja Kallas (Ansa)
L’Alto rappresentante di Bruxelles prosegue sulla linea dura, smentita persino da Kiev.
«Il problema per la pace è la Russia. Anche se l’Ucraina ricevesse garanzie di sicurezza, ma non ci fossero concessioni da parte russa, avremmo altre guerre, magari non in Ucraina ma altrove». Inizia così l’intervista di ieri al Corriere della sera dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, l’estone Kaja Kallas. La rappresentante della diplomazia di Bruxelles, in pratica, agita ancora lo spauracchio di una Russia pronta ad aggredire l’Europa non appena conclusa in qualche modo la guerra in Ucraina. Del resto, la minaccia russa serve proprio a giustificare una serie di grandi manovre in corso tra Bruxelles e le capitali europee, tra riarmo a tappe forzate, ritorno della leva e tentativi di utilizzo degli asset russi congelati in Europa.
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
Continua a leggere
Riduci





