Giorgia Meloni (Getty Images)
Provvedimento rinviato per gli attriti con la Lega, però il premier conferma la scadenza del 31 dicembre. Tuttavia, preferisce parlare di «aiuti», come i generatori elettrici, anziché di armi. Sul tavolo c’è il «lodo» Romeo: proibire l’invio di missili a lungo raggio.
Le parole sono importanti. E infatti Giorgia Meloni, che dal Bahrein, dov’era l’unica europea invitata al Vertice del Golfo, ha assicurato che entro fine anno arriverà il decreto per l’Ucraina, ha parlato di «inviare aiuti». Non armi. Ha citato, semmai, i «generatori di corrente», con i quali sopperire ai blackout provocati dai bombardamenti russi.
La misura non entrerà nel Consiglio dei ministri di oggi, ma il suo slittamento, ha minimizzato il premier, è solo «una questione logistica». Di qui al 31 dicembre ci sarà «più di un cdm» utile. E approvare il decreto, che coprirà per un anno intero le forniture a Kiev, «non vuol dire lavorare contro la pace». In ogni caso, ha chiarito Meloni, «finché c’è una guerra aiuteremo l’Ucraina a potersi difendere da un aggressore».
Anche qui, la scelta del lessico ha un peso. Dopo le tensioni con la Lega, che hanno portato al rinvio della norma, il partito di Matteo Salvini ha delineato un compromesso: niente armi a lungo raggio per la resistenza. Ne ha discusso il capogruppo dei senatori del Carroccio, Massimiliano Romeo, a Ping pong, su Rai Radio 1. «In questa fase», ha spiegato, «serve un provvedimento che guardi alle garanzie di sicurezza dell’Ucraina nell’ambito del piano di pace degli Stati Uniti. Una semplice proroga rischia di non essere allineata al percorso negoziale». È il medesimo concetto che avrebbe espresso Salvini in un colloquio con il presidente del Consiglio.
Facciamo due più due: se i leghisti s’impuntano sui missili a lunga gittata, significa che l’Italia ne ha già donati in passato. Il segreto di Pulcinella, custodito dal Copasir, al quale il governo illustra in forma riservata i mezzi spediti al fronte, lo aveva svelato, ad aprile 2024, l’ex ministro della Difesa britannico. Durante una visita a un impianto di Mbda, Grant Shapps si era lasciato sfuggire che sia Roma, sia Londra, sia Parigi avevano offerto alla resistenza i loro Storm shadow. Sono testate da crociera, fabbricate proprio da Mbda, in grado di volare per 550 chilometri, trasportando 450 chili di esplosivo. Kiev le ha utilizzate in Crimea e contro il territorio russo. Ma è plausibile che i nostri missili siano stati impiegati soltanto nella regione invasa nel 2014; non nel Kursk, o in altri oblast della Federazione. Il nostro esecutivo dovrebbe aver imposto agli alleati dei limiti operativi, in linea con quanto sempre espresso da suoi autorevoli esponenti, a cominciare da Antonio Tajani: mai armi italiane per colpire la Russia.
Romeo, raggiunto dalla Verità, ha precisato di non essere entrato «nello specifico tecnico: ho solo ribadito una posizione politica. Ossia, che sarebbe bene, vista la situazione attuale, attendere l’evoluzione delle trattative in corso sul piano di pace Usa, così da poter definire un provvedimento pienamente coerente con il percorso diplomatico intrapreso e in grado di includere le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, che emergeranno dal negoziato internazionale». Evitare fughe in avanti e valutare gli scenari postbellici.
È comunque ragionevole supporre che, se passasse il «lodo» del senatore, per tutto il 2026, a parte i generatori, potremmo mandare al massimo le contraeree Samp/T. Di cui, invero, c’è penuria pure per noi. L’alternativa è partecipare, in ambito Nato, al programma di acquisto di armi americane e procurare a Volodymyr Zelensky i Patriot. Secondo il titolare della Farnesina, però, esplorare questa soluzione è «prematuro». Sullo sfondo, c’è l’annuncio del segretario generale dell’organizzazione, Mark Rutte: gli aiuti all’Ucraina rientreranno nel calcolo del 5% del Pil in spese militari.
Forza Italia, ieri, ha gettato acqua sul fuoco: «È in evoluzione il processo geopolitico internazionale», ha osservato il portavoce azzurro, Raffaele Nevi, a Skytg24. Sposando, dunque, le cautele auspicate dal Carroccio. «Il decreto verrà approvato quando sarà necessario», ha concluso Nevi. Il Pd - che all’Eurocamera è stato capace di esprimere tre posizioni diverse sulla guerra - è saltato sopra il nuovo attrito nella maggioranza, dopo le sortite del vicepremier leghista su «cessi d’oro» e «puttane» dei corrotti di Kiev, pagati con i nostri soldi. Le dichiarazioni della Meloni, ha attaccato Peppe Provenzano, responsabile Esteri dei dem, «confermano la grave e crescente divisione» nel centrodestra, dove «Salvini», «che non smette di evidenziare il suo filoputinismo», «non solo detta l’agenda politica alla premier, ma tenta di sostituirsi» a Tajani, nonché al ministro della Difesa, Guido Crosetto. Di senso diametralmente opposto la critica di Giuseppe Conte: a suo avviso, i distinguo sul decreto sono ipocriti e la scommessa sulla vittoria di Zelensky è stata un «fallimento».
Ieri, all’Enac, Salvini ha espresso la speranza che, «tra qualche mese, non anni», si torni a «volare su Kiev e Mosca da Roma e Milano». Ingenuo, forse. Ma mica putiniano.
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Tra cortei radicalizzati, assalti alle redazioni e tensioni legate al caso dell’imam espulso, Augusta Montaruli analizza la deriva delle piazze torinesi e avverte: senza misure tempestive, il capoluogo rischia di diventare il laboratorio nazionale di un nuovo estremismo di strada.
Ospite l’on. Augusta Montaruli Vice Capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati.
Ecco #EdicolaVerità. la rassegna stampa podcast del 4 dicembre con Carlo Cambi
Alessandra Moretti (Ansa)
La commissione giuridica dell’Europarlamento esaudisce solo in un caso le richieste delle toghe belghe. Nel primo, pesa uno strano viaggio dall’ambasciatore del Marocco. Fdi: «La sinistra svilisce questa tutela».
Revoca sì, revoca no: ieri la commissione giuridica dell’Europarlamento ha votato a favore della richiesta di revoca dell’immunità per la deputata europea del Pd, Alessandra Moretti, arrivata dalla magistratura belga nell’ambito dell’inchiesta sul Qatargate, lo scandalo di presunta corruzione da parte di Qatar e Marocco per ammorbidire le posizioni del Parlamento Ue sul rispetto dei diritti in quei Paesi, mentre ha respinto la stessa richiesta per quel che riguarda un’altra dem, Elisabetta Gualmini.
Risultati opposti, numeri identici: la relazione che chiedeva la revoca dell’immunità parlamentare per la Moretti ha ricevuto 16 voti a favore, 7 contrari e un astenuto; la richiesta di revoca della guarentigia parlamentare per la Gualmini è stata respinta con 7 voti a favore, 16 contro e un astenuto. Entrambe le decisioni dovranno essere confermate dalla sessione plenaria del Parlamento europeo in programma tra il 15 e il 18 dicembre, sempre a scrutinio segreto, così com’è avvenuto in commissione.
Perché questa disparità di trattamento tra le due colleghe? Lo spiega alla Verità una fonte europea di altissimo livello: «Sulla Gualmini non c’erano moltissime evidenze, c’era tutto un fumus ma pochi elementi concreti; sulla Moretti invece ci sono dei viaggi strani, in particolare uno a Varsavia per incontrare il famoso ambasciatore del Marocco in Polonia, Abderrahim Atmoun, personaggio centrale dell’inchiesta. Ovviamente che siano stati commessi reati è tutto da dimostrare, ma le accuse contro la Moretti sono sembrate un po’ più sostanziose», aggiunge il nostro interlocutore, «e così anche il Ppe ha deciso di differenziare le posizioni». La ricostruzione viene confermata al nostro giornale anche da un’altra fonte qualificata, mentre l’Ansa riporta un ulteriore dettaglio: Socialisti (gruppo al quale appartiene il Pd) e Popolari avrebbero trattato fino a notte fonda per respingere entrambe le richieste di revoca dell’immunità, ma a impuntarsi sulla Moretti (che in serata ha commentato: «Contro di me un voto politico») sarebbe stato il popolare spagnolo Adrian Vázquez Lázara, di orientamento non pienamente garantista, colui che nella scorsa legislatura, da presidente della commissione giuridica, negò all’allora vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, la possibilità di difendere la propria immunità. Lo stesso Lázara è stato il relatore della richiesta di revoca dell’immunità per Ilaria Salis, relazione poi bocciata sia in commissione, sia in plenaria.
La richiesta della commissione, scrive il Fatto Quotidiano, riporta come l’eurodeputata Gualmini sia accusata di «aver accettato l’influenza della presunta organizzazione criminale per ottenere la carica di vicepresidente del suo gruppo politico nell’ottobre 2022 e in cambio avrebbe esercitato l’influenza derivante da tale carica all’interno del suo gruppo per assecondare gli interessi dell’organizzazione criminale». Le viene inoltre contestato di aver presieduto la riunione del gruppo il 16 novembre 2022: lo scopo era «determinare la posizione» dei Socialisti europei su un voto relativo ai diritti umani in Qatar. «Durante la discussione», ha poi raccontato la Gualmini nel libro QatarGate, «ho deciso di non seguire la linea indicata da alcuni eurodeputati e Francesco Giorgi, sono intervenuta a favore del dibattito in plenaria. Per questo, dopo la discussione, mi sono sentita in imbarazzo e, per cortesia, avendo cominciato a ricoprire un incarico nuovo, ho detto a questo Giorgi che non potevo seguire la linea. Confermo inoltre di non essere mai stata coinvolta in questioni relative al Qatar, ai suoi ambasciatori, alle missioni o agli eventi in Qatar. Inoltre non avrei mai immaginato», aggiunge la Gualmini, «che Giorgi stesse facendo campagna per quello Stato».
Parliamoci chiaro: i rapporti tra Europarlamento e toghe belghe non sono idilliaci, con i giudici che vengono spesso accusati di mettere in piedi inchieste basate su teoremi e senza fondamenti. D’altro canto però va detto che l’indagine del Qatargate si è dimostrata solida, con l’ex eurodeputato dem e poi Articolo 1 Nicola Panzeri che ha patteggiato un anno di reclusione con la promessa di rivelare ai giudici i nomi degli altri personaggi politici coinvolti nell’inchiesta. Giorgi, ex assistente parlamentare a Bruxelles è marito dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, entrambi arrestati tre anni fa all’alba dell’inchiesta. Lo scorso ottobre i due hanno denunciato per calunnia Panzeri.
«In ore di profondo sconcerto per l’ennesimo caso giudiziario che investe le istituzioni europee», dichiarano i componenti della delegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, «ancora una volta con il coinvolgimento di esponenti della sinistra come l’ex Alto rappresentante Federica Mogherini, la Commissione Juri del Parlamento Ue si è trovata ad affrontare due richieste di revoca delle immunità collegate al Qatargate. Purtroppo, come insegna la vicenda Salis, la sinistra ha completamente svuotato di senso e piegato a una logica di parte l’istituto dell’immunità. Per questa ragione, d’ora in avanti, le posizioni di Fdi sulle richieste di revoca risponderanno esclusivamente a valutazioni politiche. Con questo spirito, a prescindere dal merito su cui riteniamo ci siano molti aspetti da chiarire, ci siamo espressi a favore della revoca sui casi che riguardano le colleghe Gualmini e Moretti. E allo stesso criterio ci atterremo fino a quando la sinistra europea, Pd e M5s compresi, non cesserà di usare lo strumento dell’immunità come una clava contro l’avversario politico».
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