Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
La «dottrina Trump» non ci ostacola: priorità all’Africa ma pure a Giappone e India.
Strategia di geopolitica economica dal punto di vista dell’interesse nazionale italiano. Non si tratta di sovranismo chiuso, ma di tutela realistica della ricchezza nazionale corrente e prospettica che è dovere di un governo democratico con modello liberale mantenerla. L’impoverimento, infatti, è un precursore di domanda popolare di regimi autoritari o peronisti o socialisti oppure dissipativi. Per evitare l’impoverimento stesso, va fatta chiarezza sugli obiettivi esterni ed interni della strategia italiana.
L’attuale governo sta mostrando la consapevolezza di dover sostenere, con una politica estera molto attiva sul piano globale, il modello economico italiano basato sull’export che è messo a rischio - gestibile, ma comunque problematico per parecchi settori sul piano dei margini finanziari - dai dazi statunitensi, dalla crisi autoinflitta per irrealismo ambientalista ed eccessi burocratici dell’Ue, dai costi eccessivi dell’energia e, in generale, dal cambio di mondo in atto senza dimenticare la crisi demografica. Vedremo dopo le soluzioni interne, ma qui va sottolineato che l’Italia non può trasformare il proprio modello economico dipendente dall’export senza perdere ricchezza. La consapevolezza di questo punto è provata dalla riforma del ministero degli Esteri: accanto alla Direzione politica, verrà creata nel prossimo gennaio una Direzione economica con la missione di sostenere l’internazionalizzazione e l’export delle imprese italiane in tutto il mondo. Non è una novità totale, ma mostra una concentrazione di risorse e capacità geoeconomiche e geopolitiche finalmente adeguate alla missione di un’Italia globale, per inciso titolo del mio libro pubblicato nell’autunno 2023 (Rubbettino editore). Con quale meccanismo di moltiplicazione del potere negoziale italiano? Tradizionalmente, via la duplice convergenza con Ue e Stati Uniti pur sempre più complicata, ma con più autonomia per siglare partenariati bilaterali strategici di cooperazione economica-industriale (i trattati doganali sono competenza dell’Ue, condizione necessaria per un mercato unico europeo essenziale per l’Italia) a livello mondiale.
E con un metodo al momento solo italiano: partenariati bilaterali con reciproco vantaggio, cioè non asimmetrici. Con priorità l’Africa (al momento, 14 nazioni) ed il progetto di «Via del cotone» (Imec) tra Indo-Pacifico, Mediterraneo ed Atlantico settentrionale via penisola arabica. La nuova (in realtà vecchia perché elaborata dal Partito repubblicano nel 2000) dottrina di sicurezza nazionale statunitense è di ostacolo ad un Italia globale? No, perché, pur essendo divergente con l’Ue, non lo è con le singole nazioni europee, con qualche eccezione. Soprattutto, le chiama a un maggiore attivismo per la loro sicurezza, lasciando di fatto in cambio spazio geopolitico. Come potrà Roma usarlo? Aumentando i suoi bilaterali strategici e approfondendoli con Giappone, India, nazioni arabe sunnite, Asia centrale (rilevante l’accordo con la Mongolia se riuscisse) ecc. Quale nuovo sforzo? Necessariamente integrare una politica mercantilista con i requisiti di schieramento geopolitico. E con un riarmo non solo concentrato contro la minaccia russa, ma mirato a novità tecnologiche utili per scambiare strumenti di sicurezza con partner compatibili. Ovviamente è oggetto di studio, ma l’Italia ha il potenziale per farlo via progetti condivisi con America, europei e giapponesi nonché capacità proprie. Considerazione che ci porta a valutare la modernizzazione interna dell’Italia perché c’è una relazione stretta tra potenziale esterno e interno.
Obiettivi interni
La priorità è ridurre il costo del debito pubblico per aumentare lo spazio di bilancio utile per investimenti e detassazione stimolativi. Ciò implica la sostituzione del Pnrr, che finirà nel 2026, con un programma nazionale stimolativo (non condizionato dall’esterno) di dedebitazione: valorizzare e cedere dai 250 a 150 miliardi di patrimonio statale disponibile, forse di più (sui 600-700 teorici) in 15 anni. Se ben strutturata, tale operazione «patrimonio pubblico contro debito» potrà dare benefici anticipativi via aumento del voto di affidabilità del debito italiano riducendone il costo di servizio che oggi è di 80-90 miliardi anno. Già tale costo è stato un po’ ridotto dal giusto rigore della politica di bilancio per il 2026. Con il nuovo programma qui ipotizzato, da avviare nel 2027 per sua complessità, lo sarà molto di più dando all’Italia più risorse per spesa sociale, di investimenti competitivi e minori tasse.
Stimo dai 10 ai 18 miliardi anno di risparmio sul costo del debito e un aumento di investimenti esteri in Italia perché con voto di affidabilità (rating) crescente. Senza tale programma, l’Italia sarebbe condizionabile dalla concorrenza intraeuropea e senza i soldi sufficienti per la politica globale detta sopra. Ci sono tante altre priorità tecniche sia per invertire più decisamente il lento declino economico dell’Italia, causato da governi di sinistra e/o dissipativi, sia per rendere più globalmente competitiva l’economia italiana. Ma sono fattibili via un nuovo clima di cultura politica che crei fiducia ed ottimismo sul potenziale globale dell’Italia. Come? Più ordine interno, investimenti sulla qualificazione cognitiva di massa, sulla rivoluzione tecnologica, in sintesi su un’Italia futurizzante. L’obiettivo è attrarre più capitale e competenze dall’estero, comunicando credibilmente al mondo che l’Italia è terra di libertà, sicurezza, opportunità e progresso. Non può farlo solo la politica, ma ci vuole il contributo dei privati entro un concetto di «nazione attiva», aperta al mondo e non chiusa. Ritroviamo il vento, gli oceani.
www.carlopelanda.com
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2025-12-07
Formula 1, Norris è campione del mondo. Verstappen giù dal trono dopo quattro titoli
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Lando Norris (Getty Images)
Nell’ultimo GP stagionale di Abu Dhabi, Lando Norris si laurea campione del mondo per la prima volta grazie al terzo posto sul circuito di Yas Marina. Nonostante la vittoria in gara, Max Verstappen non riesce a difendere il titolo, interrompendo il suo ciclo di quattro mondiali consecutivi.
Lando Norris è campione del mondo. Dopo quattro anni di dominio incontrastato di Max Verstappen, il pilota britannico centra il titolo iridato al termine di una stagione in cui ha saputo coniugare costanza, precisione e lucidità nei momenti decisivi. La vittoria ad Abu Dhabi, conquistata con una gara solida e senza errori, suggella un percorso iniziato con un Mondiale che sembrava già scritto a favore dell’olandese.
La stagione ha visto Norris prendere il comando delle operazioni già nelle prime gare, approfittando di alcuni passaggi a vuoto di Verstappen e di una gestione impeccabile del suo team. Il britannico ha messo in mostra una costanza rara, evitando rischi inutili e capitalizzando ogni occasione: punti preziosi accumulati gara dopo gara che hanno costruito un vantaggio psicologico e tecnico difficile da colmare per chiunque, ma non per Verstappen, che nelle ultime gare ha tentato il tutto per tutto per costruirsi una chance di rimonta. Una rimonta sfumata per appena due punti, visto che il pilota della McLaren ha chiuso il Mondiale a quota 423 punti, davanti ai 421 del rivale della RedBull e che se avessero chiuso a pari punti il titolo sarebbe andato a Verstappen in virtù del numero di gran premi vinti in stagione: otto contro i sette di Norris. Inevitabile per l'olandese non pensare alla gara della scorsa settimana in Qatar, dove Norris ha recuperato proprio due punti sfruttando un errore di Kimi Antonelli all'inizio dell'ultimo giro.
La gara di Abu Dhabi ha rappresentato la sintesi perfetta della stagione di Norris: partenza accorta, gestione dei pit stop e mantenimento della concentrazione fino alla bandiera a scacchi. L’olandese, pur vincendo la corsa, non è riuscito a recuperare il distacco, confermando che i quattro anni di dominio sono stati interrotti da un talento giovane e capace di gestire la pressione del momento clou.
Alle spalle dei due contendenti, la stagione è stata amara per Ferrari e altri protagonisti attesi al vertice. Charles Leclerc e Lewis Hamilton non hanno mai realmente impensierito i leader della classifica, incapaci di inserirsi nella lotta per il titolo o di ottenere risultati significativi in gran parte del campionato. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, delle difficoltà del Cavallino Rosso nel trovare una combinazione di macchina e strategia competitiva.
Il Mondiale 2025 si chiude quindi con un volto nuovo sul gradino più alto del podio e con alcune conferme sullo stato della Formula 1: Norris dimostra che la gestione mentale, l’attenzione ai dettagli e la capacità di evitare errori critici contano quanto la velocità pura. Verstappen, pur da vincitore di tante gare, dovrà riflettere sulle occasioni perdute, mentre la Ferrari è chiamata a ripensare, ancora una volta, strategie e sviluppo per la stagione successiva.
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Vladimir Putin
Il portavoce del Meccanismo europeo di stabilità respinge la proposta di riformare il fondo per usare gli asset congelati. Il «Financial Times»: «L’idea è un rischio per la moneta unica». Volodymyr Zelensky domani va da Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz.
Il Mes ha chiuso all’ipotesi di una riforma che lo renda uno strumento di garanzia nella condivisione dei rischi per quanto riguarda l’uso degli asset russi congelati. «Nel quadro del trattato del Mes, il Meccanismo può fornire supporto solo agli Stati membri dell’Eurozona che ne facciano richiesta e unicamente allo scopo di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area euro e dei suoi membri», ha dichiarato ieri un portavoce del Meccanismo europeo di stabilità.
L’ipotesi di una riforma era stata avanzata, alcuni giorni fa, da Antonio Tajani. «Un’ipotesi potrebbe essere l’utilizzo del Mes come garanzia per gli asset russi, quel che serve modificare nei regolamenti lo modifichiamo», aveva dichiarato il capo della Farnesina a margine del summit dei ministri degli Esteri della Nato.
In questo quadro, ieri il Financial Times ha sottolineato l’esistenza di alcuni rischi finanziari per l’Ue in riferimento all’uso dei beni russi congelati. «Il controverso piano di Bruxelles di utilizzare i beni sovrani russi congelati per sostenere fino a 210 miliardi di euro di prestiti all’Ucraina sta mettendo a dura prova il quadro politico e giuridico dell’Ue. Ma potrebbe avere anche grandi conseguenze per i mercati finanziari dell’Unione», ha scritto il quotidiano britannico, per poi aggiungere: «Alcuni gestori di fondi avvertono che un’eventuale decisione di utilizzare i beni congelati aumenterebbe i rischi politici legati al possesso di asset in euro e metterebbe persino in dubbio il loro status di rifugio globale».
Nel frattempo, prosegue l’iniziativa diplomatica americana sull’Ucraina. Ieri e l’altro ieri, l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner, hanno incontrato il segretario ucraino del Consiglio per la sicurezza nazionale, Rustem Umerov, e il capo di stato maggiore, Andriy Hnatov. Secondo una nota del Dipartimento di Stato americano pubblicata venerdì, «i partecipanti hanno discusso i risultati del recente incontro tra la parte americana e quella russa e le misure che potrebbero portare alla fine di questa guerra». «Americani e ucraini hanno, inoltre, concordato il quadro degli accordi di sicurezza e discusso le necessarie capacità di deterrenza per sostenere una pace duratura», si legge ancora. «Le parti», prosegue il comunicato, «hanno anche esaminato separatamente il futuro programma di prosperità, che mira a sostenere la ricostruzione postbellica dell’Ucraina, le iniziative economiche congiunte tra Stati Uniti e Ucraina e i progetti di ripresa a lungo termine».
Frattanto, ieri Volodymyr Zelensky ha detto di essere stato aggiornato da Witkoff, in una telefonata «lunga e approfondita», dei colloqui tra la delegazione americana e quella ucraina. «Abbiamo affrontato molti aspetti e analizzato i punti chiave che potrebbero garantire la fine dello spargimento di sangue ed eliminare la minaccia di una nuova invasione russa su vasta scala, nonché il rischio che la Russia non mantenga le sue promesse, come è accaduto ripetutamente in passato», ha reso noto il presidente ucraino. E proprio i colloqui tra Washington e Kiev saranno al centro, domani, di un incontro a Londra tra Zelensky e alcuni leader europei: Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz. «L’Ucraina può contare sul nostro incrollabile sostegno. Questo è il senso degli sforzi che abbiamo intrapreso come parte della “coalizione dei volenterosi”», ha affermato Macron, condannando anche i massicci attacchi condotti da Mosca contro l’Ucraina. Vale a tal proposito la pena di sottolineare che il presidente francese si è recentemente recato in Cina, dove ha cercato di avviare un processo diplomatico alternativo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a far pressioni sul Cremlino per spingerlo a concludere le ostilità. L’Eliseo, ancora una volta, sta provando a indebolire le relazioni transatlantiche nella speranza di rilanciare il proprio ruolo politico in seno all’Ue.
Nel frattempo, ieri, è arrivato un chiaro endorsement di Ankara alla mediazione statunitense in Ucraina: una mediazione, quella di Washington, che, in un’intervista a Reuters, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha definito essere «sulla strada giusta». «Spero solo che nessuno lasci il tavolo e che gli americani non siano frustrati, perché a volte i mediatori possono sentirsi frustrati se non vedono abbastanza incoraggiamento da entrambe le parti», ha poi specificato. Ricordiamo che, giovedì, il ministero degli Esteri di Ankara aveva convocato l’ambasciatore ucraino e l’incaricato d’affari russo per esprimere preoccupazione sugli attacchi militari verificatisi nel Mar Nero. «Stiamo assistendo a una gravissima escalation nelle ultime settimane della guerra tra Russia e Ucraina, con attacchi reciproci. Infine, ci sono stati alcuni attacchi anche nel Mar Nero, all’interno della nostra zona economica esclusiva», aveva affermato il viceministro degli Esteri turco, Berris Ekinci.
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Michele Emiliano
L’ex governatore, dopo l’incontro con Adolfo Urso, aveva assicurato: l’acciaieria resterà attiva.
All’indomani del vertice al ministero delle Imprese sull’ex Ilva, presieduto dal titolare del Mimit, Adolfo Urso, le organizzazioni di metalmeccanici Fiom Cgil e Fim Cisl si dissociano dalla lettura fornita dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, al termine dell’incontro di due giorni fa. Il governatore uscente aveva infatti affermato che «il piano della chiusura e della cassa integrazione è stato completamente ritirato».
I sindacati, però, non sembrano tanto d’accordo. In primis c’è la Fiom Cisl che contesta il numero uno della Puglia. «Apprendiamo al termine dell’incontro tra il Mimit e le istituzioni locali pugliesi, la notizia del ritiro del piano corto che per noi rimane il piano di chiusura degli stabilimenti ex Ilva. Dopo le mobilitazioni di questi giorni dei lavoratori di tutti gli stabilimenti, è necessario fare chiarezza attraverso la convocazione delle organizzazioni sindacali a Palazzo Chigi, in quanto ci risulta che si sta proseguendo con la chiusura delle cokerie a Taranto, così come previsto dal piano corto presentato dal governo», ha detto Francesco Brigati, segretario della Fiom-Cgil di Taranto, sottolineando che, in assenza di un confronto diretto con la presidenza del Consiglio, il quadro resta tuttora opaco.
Anche la Fim Cisl, per bocca del segretario generale Ferdinando Uliano, mette in discussione la narrazione di una svolta già consolidata: «Dopo gli incontri con le istituzioni, una parziale novità positiva riguarda la decisione di non chiudere la zincatura di Genova, con una ipotesi di una limitata compensazione con la banda stagnata, non fermando le linee produttive. Rimane tuttavia la nostra contrarietà al cosiddetto “piano corto”, che non risulta né ritirato, né sospeso. Per queste ragioni», ha continuato la Fim Cisl, «sollecitiamo la presidenza del Consiglio a convocare con urgenza il tavolo di confronto, indispensabile per affrontare e governare una fase tanto delicata. Ad oggi non abbiamo ancora ricevuto riscontri».
In parallelo resta aperta la questione del clima interno al sindacato, dopo l’aggressione avvenuta a Genova ai danni di esponenti Uilm, episodio che continua a provocare prese di posizione da parte di Fim e Uilm. Uliano interviene così: «Riteniamo che tali episodi vadano ben oltre la normale dialettica sindacale e che, se confermati, debbano essere condannati senza esitazione. In questa difficile vertenza occupazionale, che ha al centro il rilancio industriale dell’ex gruppo Ilva e la salvaguardia dei livelli occupazionali».
Sulla stessa lunghezza d’onda il segretario nazionale e provinciale di Taranto della Uilm, Davide Sperti, che richiama la storia della propria organizzazione e stigmatizza il silenzio di altre sigle. «Non abbiamo mai tollerato la violenza in nessun contesto, c’è tutta una storia che parla per noi, e non possiamo certo tollerarla in una situazione tesa, difficile, complessa come quella dell’ex Ilva dove stiamo cercando di riaprire la discussione sul governo per il ritiro immediato di un piano che non è di continuità e di rilancio della fabbrica, ma di dismissione e chiusura delle attività a breve scadenza. E ci stupisce e ci dispiace molto il fatto che né la Cgil nazionale, né la Fiom nazionale, abbiano sentito il dovere di prendere nettamente le distanze dall’accaduto».
Intanto, La Procura di Genova aprirà un fascicolo per danneggiamento, minacce e resistenza a pubblico ufficiale in relazione agli scontri avvenuti giovedì scorso a tarda mattinata davanti alla Prefettura in largo Lanfranco a Genova e nella stazione di Genova Brignole. Sulla dinamica sono in corso accertamenti da parte della Digos. Al momento non risultano ancora iscrizioni nel registro degli indagati.
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