Keir Starmer (Ansa)
Nuovo bavaglio del governo per difendere le «persone percepite come musulmane».
Per anni il Regno Unito si è presentato come una sorta di Eden multietnico che, magicamente, sarebbe rimasto incontaminato da razzismo e discriminazione. Salvo poi accorgersi che la politica delle porte spalancate ha prodotto i consueti frutti dell’immigrazione selvaggia: criminalità, ghettizzazione, terrorismo. La rabbia popolare, com’è noto, è infine esplosa nelle strade e nelle piazze, con proteste di massa che hanno messo Sir Keir Starmer all’angolo.
Le roboanti promesse di porre un argine all’illegalità diffusa, ovviamente, sono rimaste lettera morta. Eppure, non tutto è perduto. Per dare un segnale forte ai cittadini, l’esecutivo laburista ha avuto un’idea geniale: elaborare una nuova definizione di «odio anti musulmano». Pochi giorni dopo l’efferata strage di matrice islamista a Sydney, infatti, la Bbc ha reso noto che il lungo lavoro del ministero per le Comunità e gli enti locali ha partorito una bozza quasi ufficiale. Stando al documento, divulgato in anteprima dall’emittente britannica, ecco la nuova definizione di islamofobia: «L’ostilità anti musulmana è il compimento o l’incitamento ad atti criminali, compresi atti di violenza, vandalismo contro la proprietà, molestie e intimidazioni - fisiche, verbali, scritte o veicolate elettronicamente - dirette contro i musulmani o contro persone percepite come musulmane a causa della loro religione, etnia o aspetto». In tale fattispecie, «rientrano inoltre l’uso di stereotipi pregiudiziali e la “razzializzazione” dei musulmani come gruppo collettivo dotato di caratteristiche prefissate».
Effettivamente, si fa fatica a prendere sul serio un documento del genere: per esempio, che vorrà mai dire «persone percepite come musulmane»? Mistero della fede progressista. Eppure, la gestazione di questa perla di vacuità dialettica ha tenuto impegnata un’intera commissione per la bellezza di quasi un anno: il gruppo di lavoro era stato istituito lo scorso febbraio, con a capo l’ex procuratore generale Dominic Grieve, e i suoi risultati erano stati presentati all’esecutivo in ottobre.
Tra i passaggi più controversi - e futili - c’è anche il riferimento al concetto di «razzializzazione», ennesimo neologismo cacofonico che tanto piace ai sacerdoti del politicamente corretto. Per difendere la scelta, è scesa in campo Shaista Gohir in persona, baronessa di origine pachistana e membro di punta della commissione. Stando alla pasionaria islamica, che siede nella Camera dei Lord, «questa definizione riconosce anche che i musulmani sono spesso presi di mira non solo per le loro convinzioni religiose, ma anche per l’aspetto, la razza, l’etnia o altre caratteristiche», ha spiegato. «L’inclusione del concetto di razzializzazione dà riconoscimento a queste esperienze vissute».
Chiacchiere a parte, occorre specificare che questa definizione di «odio anti musulmano» non avrà valore normativo: non sarà cioè né sancita per legge né giuridicamente vincolante, ma offrirà una formulazione di riferimento che gli enti pubblici potranno adottare. Eppure, è proprio qui che sta la fregatura. Non a caso, contro quest’obbrobrio politicamente corretto si è scagliata con forza la Free speech union, autorevole organizzazione britannica nata nel 2020 per tutelare la libertà d’espressione dai deliri dei questurini progressisti: «Questa definizione è superflua, perché è già un reato incitare all’odio religioso ed è già illegale per datori di lavoro o fornitori di servizi discriminare le persone sulla base della loro religione o delle loro convinzioni», ha tuonato il fondatore e presidente dell’associazione, il lord conservatore Toby Young. «Concedere ai musulmani tutele aggiuntive non estese ad altri», ha aggiunto, «avrà l’effetto di aumentare l’ostilità anti musulmana, anziché ridurla». In effetti, di fronte al fallimento del multiculturalismo reale, i laburisti rispondono con il multiculturalismo lessicale. Non potendo controllare le strade, tentano di controllare il linguaggio. Con il risultato paradossale di rendere ancor più fragile la libertà di parola e ancor più esplosivo il conflitto che fingono di voler disinnescare.
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Federico Vecchioni (imagoeconomica)
Il gruppo di Federico Vecchioni, leader nel settore agroindustriale, raddoppia il valore della produzione grazie all’acquisto per 220 milioni della Fratelli Martini, azienda che realizza mangimi per animali e carne. Rilevato l’intero capitale, closing entro il prossimo maggio.
Con l’acquisto della Fratelli Martini, il gruppo BF spa raddoppia quasi il giro d’affari avvicinandosi ai tre miliardi di fatturato l’anno. Il calcolo è presto fatto: il gruppo guidato dall’ad Federico Vecchioni a fine 2024 aveva messo a segno un valore della produzione di 1,5 miliardi, risultato che, se unito a quello della F.lli Martini di 1,2 miliardi, porta il totale del gruppo a 2,7 miliardi di euro. Si tratta a tutti gli effetti di una tra le più importanti operazioni nell’agroindustria negli ultimi dieci anni.
L’accordo è avvenuto attraverso la controllata BF International best fields best food limited, che ha rilevato l’azienda da Trust Girasole, Filippo Martini, Annalisa Martini e Carla Martini dando il via a una società di nuova costituzione.
La F.lli Martini rappresenta un gruppo industriale italiano con oltre 100 anni di storia e presenza integrata in tre aree di business - mangimistica, zootecnica e alimentare - che nel 2024 ha registrato un valore della produzione consolidata di circa 1,2 miliardi di euro e un margine operativo lordo consolidato di circa 72 milioni di euro. Quello dei fratelli Martini appare, insomma, un gruppo le cui competenze possono essere molto rilevanti per BF, soprattutto per quanto riguarda la presenza a livello internazionale.
Il prezzo di acquisto previsto per l’operazione è pari a 220 milioni di euro e l’acquisizione verrà realizzata tramite una holding veicolo (Holdco) che sarà dotata delle risorse necessarie con una struttura mista costituita da equity e debito. In particolare, BFI e alcuni soci reinvestiranno parte del corrispettivo incassato (20 milioni di euro), al fine di detenere una partecipazione di circa il 15% del capitale sociale della nuova realtà.
Gli altri venditori concederanno un finanziamento di 10 milioni di euro, mentre il residuo importo di 190 milioni di euro sarà devoluto alla nuova realtà per 110 milioni di euro da BFI, tramite ricorso a risorse proprie, e per 80 milioni tramite finanziamento da parte di alcune banche.
Sotto il profilo contrattuale, l’accordo prevede il rilascio, da parte dei venditori a favore di BFI e quindi della nuova società, di un set di dichiarazioni e garanzie e di obblighi di indennizzo usuali per operazioni di questo genere. È inoltre prevista la sottoscrizione di una polizza assicurativa a servizio dell’operazione, con funzione di copertura dei rischi tipici di accordi come questo.
Alla data di esecuzione è prevista anche la sottoscrizione di un patto parasociale tra i soci della società di nuova costituzione, destinato a disciplinare diritti e obblighi reciproci, con particolare riferimento alle regole di governance e alla circolazione delle partecipazioni, in linea con la prassi di mercato per operazioni analoghe. Il patto include anche un impegno di lock-up per una durata di cinque anni (un’intesa che blocca la vendita di azioni o quote societarie per un periodo di tempo stabilito).
Inoltre, sono previsti alcuni poteri di veto in capo ai soci re-investitori, la facoltà per questi ultimi di nominare due membri del consiglio di amministrazione, un sindaco effettivo e un sindaco supplente, nonché opzioni di put e call per l’eventuale uscita di questi ultimi dal capitale della nuova società. Queste opzioni sono esercitabili rispettivamente a partire dal 2031 e dal 2032, sulla base di meccanismi di valorizzazione della partecipazione che tengono conto anche di specifiche caratteristiche del gruppo.
Per assicurare continuità gestionale è previsto che Antonio Montanari e Filippo Martini mantengano ruoli apicali all’interno del gruppo Martini. Il perfezionamento dell’operazione è inoltre subordinato a condizioni sospensive, tra cui l’esito positivo delle procedure legate alla golden power e al via libera dell’Antitrust, la sottoscrizione del contratto di finanziamento tra Holdco e gli istituti di credito per il reperimento del supporto finanziario residuo. Al momento si prevede che l’operazione possa diventare operativa entro maggio 2026.
L’intesa si inserisce nella strategia di crescita e integrazione verticale del Gruppo BF, con l’obiettivo di sviluppare modelli produttivi sostenibili, tracciabili e ad alto valore aggiunto in grado di contribuire, anche in ambito internazionale, alla sicurezza alimentare. «Il Gruppo BF intende presidiare la filiera delle proteine animali considerando la stessa strategica per la crescita del valore economico e sociale dei contesti produttivi di suo interesse», ha detto Federico Vecchioni, presidente esecutivo di BF e ad di BF International.
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Pedro Sánchez (Ansa)
Scontro totale tra Chiesa e governo, che rimprovera al capo della conferenza episcopale iberica un’intervista in cui ha invocato il ritorno alle urne. La replica di monsignor Luis Argüello: «Se si tratta del rispetto dello Stato di diritto, non possiamo rimanere neutrali».
«Di fronte al rispetto delle norme fondamentali dello Stato di diritto», il presidente della Conferenza episcopale spagnola (Cee) non è «neutrale». Così Luis Argüello, capo dei vescovi e arcivescovo di Valladolid, ha replicato alla protesta formale del ministro della Presidenza e della Giustizia, Félix Bolaños, che in una lettera lo esortava: «Vi chiedo espressamente di astenervi dal violare la vostra neutralità politica e di agire con rispetto per la democrazia e il governo».
Argüello sarebbe colpevole di aver dichiarato domenica, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Vanguardia, che la situazione di grave impasse del governo di Pedro Sánchez va risolta con un «voto di fiducia o una mozione di sfiducia, ovvero dando voce al popolo. In altre parole, ciò che prevede la Costituzione».
Già lo stesso giorno il premier, durante un comizio a Cáceres, aveva criticato l’esternazione del presidente della Cee esortandolo a «rispettare il risultato delle elezioni anche se non gli piace», perché «il periodo in cui i vescovi si sono intromessi nella politica ha posto fine alla democrazia». Poi è arrivata la lettera di Bolaños che ha accusato il monsignore di aver violato la neutralità chiedendo la fine della legislatura.
Il numero uno dei vescovi cattolici l’ha detto chiaro, rispondendo con un post su X: non può essere neutrale. Sia quando si tratta di rispetto delle norme fondamentali dello Stato di diritto, sia quando in gioco ci sono «il rispetto della vita e della sua dignità, la comprensione e il sostegno alle famiglie nell’alloggio e nell’istruzione, l’accoglienza degli immigrati». Su quest’ultimo punto, monsignore aveva precisato che «è fondamentale combattere le cause profonde delle migrazioni, siano esse dovute a guerre o a fattori economici. La Chiesa è anche chiara sul fatto che la tratta di esseri umani è inaccettabile».
È la seconda volta, e nel giro di pochi mesi, che Argüello invoca dimissioni del governo. Lo scorso luglio aveva chiesto elezioni generali immediate in Spagna. Adesso, dice, «la situazione è ancora più in stallo». Ricorda che «nel corso della storia della Conferenza, ci sono stati pronunciamenti forti sul terrorismo, sullo stato morale della società spagnola, sull’aborto, sulla famiglia, sul diritto all’istruzione... E alcuni particolarmente controversi sulla questione della nazionalità e delle nazionalità. Il momento attuale è unico, con una legislatura che opera senza bilancio».
Con l’esecutivo travolto da numerose inchieste giudiziarie e due ex pezzi grossi del Psoe, Santos Cerdán e José Luis Ábalos, già in carcere accusati di una serie di reati di corruzione e di criminalità organizzata; mentre si indaga su finanziamenti irregolari all’interno del Partito socialista e la scorsa settimana la Guardia Civil ha fatto diversi controlli nei ministeri per presunte irregolarità nei contratti della Holding statale spagnola (Sepi); con la consorte Begoña Gómez accusata di cinque reati di corruzione (nell’aprile 2024 Sánchez annunciò che si sarebbe preso una pausa di cinque giorni per riflettere su possibili dimissioni, che alla fine non diede), ieri nella relazione di fine anno il premier ha dichiarato di non avere motivo di dimettersi.
Nella conferenza stampa alla Moncloa ha nuovamente escluso elezioni anticipate e ha promesso una risposta «forte» contro le molestie sessuali e la corruzione di cui sono accusati leader del Psoe. Secondo la vicesegretaria generale per la rigenerazione istituzionale del Pp, Cuca Gamarra, il premier «sta portando la Spagna sull’orlo del baratro». Il presidente di Vox, Santiago Abascal, ha chiesto la presentazione di una «mozione di sfiducia» e la successiva convocazione di «elezioni immediate».
Clamorosamente, il settimanale l’Espresso ha invece definito Pedro Sánchez «Persona dell’anno 2025», dedicandogli la prima pagina e provocando una valanga di commenti sarcastici sui social spagnoli. «L’uomo più accusato di corruzione dell’anno», lo sfottono, chiedendo quanto avrà pagato il governo di Madrid per avere quella copertina. Qualcuno ha giocato con le parole, «Next-presso», preso in spagnolo indica il carcerato, rilanciando un’immagine del premier che sorseggia un caffè in divisa da galeotto.
Il ministro Bolaños suggerisce che il presidente della Cee «preferirebbe che i suoi interlocutori fossero forze politiche diverse», riferendosi al Partito popolare e a Vox, ma la spiegazione è forse più semplice. In un clima sempre più sfiduciato, la voce del capo dei vescovi ha voluto farsi sentire.
«Negli ultimi mesi, i rapporti con il governo sono stati caratterizzati solo da due questioni: la Valle dei Caduti e il risarcimento per le vittime della pedofilia clericale. Con nostro grande rammarico, non abbiamo affrontato altre questioni cruciali, come l’istruzione, che è costantemente messa in discussione e richiede un accordo nazionale […] Ci sorprende che oggi ci siano giovani che non guardano alle democrazie liberali come modello. Chiediamoci perché», ha detto Argüello.
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2025-12-16
«I ragazzini del bosco ignorano l’italiano». Anche agli immigrati toglieranno i bimbi?
Banchi di scuola (iStock). Nel riquadro, la famiglia Trevallion
La tutor lamenta che i piccini (6 e 8 anni) non sappiano leggere. Chissà quanti minori stranieri, allora, andrebbero prelevati.
I bambini del bosco non conoscono l’alfabeto. Lo ha dichiarato ai giornali Maria Luisa Palladino, la tutor che segue i tre piccoli Trevallion, una bambina di 8 anni e due maschi di 6. Le frasi dell’esperta vengono riportate con enfasi da tutti i media. «Non sanno leggere, stanno imparando l’alfabeto», dice la Palladino. «La bambina più grande, sotto dettatura, sa scrivere solo il suo nome». Tanto è bastato per far ringalluzzire tutti i sostenitori dell’azione del tribunale dell’Aquila, i seguaci della Ragione secondo cui è stato sacrosanto allontanare questi piccoli della casa «fatiscente» e dai genitori svalvolati. Mancava, a ben vedere, un colpo a effetto, e ora eccolo: abominio, i bambini non sanno leggere! E il sottotesto ovviamente è: «Visto? Ve lo avevamo detto che era giusto togliere i minori dalle grinfie di quegli hippie mattoidi».
Purtroppo, ancora una volta, si dimentica quale sia il centro della questione. Va ricordato a tutti i difensori d’ufficio del tribunale aquilano e a tutte le anime belle che vogliono portare i tre piccoli Trevallion a godere delle bellezze e comodità moderne, che qui non si sta affatto discutendo di quanto sia o meno efficace il sistema educativo dei genitori basato sul cosiddetto unschooling. Qui si tratta soltanto di stabilire se sia stato giusto allontanare i bambini dai genitori, niente altro. E più il tempo passa più viene da ripetere che no, non è stato affatto giusto.
Chi si indigna perché i tre pargoli non sanno leggere dovrebbe chiedersi: se il criterio fosse la conoscenza della lingua e della grammatica italiana, quanti minorenni andrebbero tolti alle famiglie? Posto che i Trevallion hanno 6 e 8 anni, e non 30, dunque hanno ampio margine di apprendimento, quanti altri bambini vivono in Italia nella stessa condizione? Forse bisognerebbe portarli tutti in case protette o strutture educative? Forse si dovrebbe andare casa per casa a valutare la conoscenza dell’italiano dei figli degli immigrati presenti sul nostro territorio? Sarebbe interessante vedere i risultati di una simile indagine. In ogni caso, non ci risulta che per i piccoli di origine straniera si aprano ogni volta contenziosi come quello riguardante i Trevallion (i quali, a loro volta, sono a tutti gli effetti stranieri anche se non sono arrivati su un barcone). Non ci risulta che le famiglie dei migranti vengano ricattate e rieducate come sta accadendo alla famiglia del bosco, a cui le autorità stanno imponendo cambiamenti dello stile di vita proprio facendo leva sul fatto che i bambini sono nelle mani dello Stato.
Metro dopo metro, concessione dopo concessione, i Trevallion hanno dovuto cedere. Hanno trovato una nuova casa, hanno accettato di fare lavori e modifiche alla vecchia abitazione, pare persino che abbiano acconsentito a far seguire i figli a un insegnante individuato dal Comune. Non parlano più con i giornalisti, non si mostrano più riottosi o contestatari. Accettano, obbediscono e sperano che in cambio l’Italia renda loro i bambini. Oggi torneranno davanti al giudice, e si capirà se potranno riunirsi per le feste di Natale, chinando il capo e ringraziando il tribunale per la generosità dimostrata.
Intanto, i tre piccini sono via da un mese, ancora sottoposti al regime delle visite condizionate come i carcerati. «Nella struttura colorano, fanno i puzzle, interagiscono con gli altri coetanei e stanno capendo che le attività che stanno facendo sono per il loro interesse», dice la tutor. «Tuttavia, si stanno incastrando tasselli positivi. La mia relazione sarà redatta nell’interesse dei minori».
Ma certo, l’interesse dei minori. Qualcuno ci dovrebbe spiegare se sia stato interesse dei minori anche farli portare via dalla forza pubblica, sottrarli alle braccia di due genitori che non li hanno picchiati o maltrattati e che anzi hanno dedicato a loro molto più tempo e attenzione di quanta solitamente non possano dedicarne ai figli i genitori di oggi, stressati come sono dal lavoro.
Chiaro, sarebbe bene che i minori Trevallion imparassero a leggere, a scrivere e a fare di conto. Sarebbe bello che avessero tanti amici. Ma forse potrebbero ottenere tutto questo anche restando fedeli a sé stessi. Il nodo della questione è tutto qui. Si poteva trattare con i genitori senza ricattarli? Si poteva fare in modo che mettessero un piede nella civiltà senza farli passare per pericolosi malati di mente? Forse sì. Forse non solo si poteva, ma si doveva anche.
Quei tre bambini mancano da casa da un mese, hanno subito un trauma che sarà molto difficile se non impossibile riparare. E perché mai? Perché non sanno leggere bene a 8 anni e non avevano il bagno in casa. Ricordatevelo la prossima volta che sentirete qualcuno parlare di migranti e di rispetto delle culture altre.
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