
L'analista Paolo Sensini: «I due Paesi usano le tribù per fare i propri interessi. L'Italia chieda all'Onu un mandato per intervenire militarmente».«L'Italia deve chiedere un mandato Onu per un intervento militare. Boots on the ground». Paolo Sensini, analista di geopolitica e autore di vari libri sul caos libico, non ha dubbi. Per non regalare la Libia ai francesi, bisogna agire energicamente.Insomma, Sensini, è ricominciata la guerra in Libia.«Veramente la guerra non è mai finita. E non è la prima volta che Tripoli finisce sotto assedio: nel 2014 ci fu la cacciata del governo».È uno scontro solo tra Fayez Al Serraj e Khalifa Haftar?«La geografia delle forze in campo è complessa e variabile. La Libia è un Paese tribale. Ogni milizia gioca la sua partita».L'Italia, la sua, la sta perdendo?«L'Italia ha sbagliato a sostenere soltanto Serraj, che si è rivelato più debole dell'altro grande signore della guerra, Haftar, alleato di Parigi. Ma forse siamo ancora in tempo per recuperare».In che modo?«Chiedendo un mandato Onu».Un mandato Onu? E ce lo darebbero?«Io credo di sì: sussistono le condizioni sia dal punto di vista della legalità internazionale che sul piano umanitario. Se non vogliamo essere definitivamente tagliati fuori, dobbiamo mettere gli scarponi sul terreno».Ma il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha escluso un intervento militare.«Non penso che l'ultima parola spetti al Viminale. E poi l'Italia ha già uomini in Libia».Ne ha già?«Certo. C'è un nostro contingente a Misurata».Ammesso che lei abbia ragione, agiamo da soli?«Penso che avremmo un importante sostegno».Da chi?«Dagli Stati Uniti di Donald Trump».Ma Trump non le pare disinteressato alla Libia?«Trump ha detto che preferisce sia l'Italia a gestire la situazione in Libia. Visti i comuni dissapori con Emmanuel Macron, può darsi sia disponibile a offrirci un supporto militare in funzione antifrancese».E la nostra intelligence?«L'intervento militare non esclude che si agisca anche su quel fronte...».I nostri avversari non staranno a guardare.«Non sono mai stati a guardare. In Libia sono tanti gli attori in gioco».Chi, oltre alla Francia?«Non ci scordiamo della Gran Bretagna. È improbabile che agisca militarmente, ma opera attraverso le milizie locali».E la Russia? Potrebbe allargare l'orizzonte della sua azione militare dalla Siria alla Libia?«Mosca ha sostenuto Haftar e finora ha probabilmente contribuito a mantenere sotto controllo la situazione nel Paese. Ma rispetto alla Siria ci sono sostanziali differenze sul piano militare».Ad esempio?«Basti dire che in Siria la Russia aveva già delle basi militari. In Libia no».Salah Badi, tra i miliziani che hanno attaccato Tripoli e che aveva già tentato l'assalto quattro anni fa, si trovava in Turchia. C'è anche Recep Tayyip Erdogan tra i giocatori?«Credo proprio di sì. Erdogan coltiva il disegno di una Turchia neo ottomana e già quando scoppiò la rivoluzione, nel 2011, cercò di lanciare un'opa sui territori libici, che ritiene appartengano ancora ad Ankara».Tenterà incursioni militari come in Siria?«Non saprei se si spingerà a tanto. Ma il fatto di avere in Libia degli uomini a lui vicini, che possano prendere il controllo di aree strategiche sia in termini di risorse energetiche (petrolio e gas), sia in termini di controllo dei flussi migratori (una delle sue armi di ricatto), farà sicuramente parte dei dossier che Erdogan prende in considerazione».A conti fatti, l'Italia cosa può sperare di ottenere?«Io mi auguro che il nostro Paese riesca a riprendere le redini della Libia. Ma il mio timore è che ci si dovrà accontentare di salvare il salvabile».
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