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2021-06-18
L’obbligo vaccinale per i sanitari lascia ospedali e Rsa senza personale
Getty Images
Non hanno voluto il vaccino ma se li spostano o vengono lasciati a casa, chi rimane a lavorare nei reparti e nelle residenze per anziani? La notizia che solo in Piemonte, a giugno, siano 5.000 i dipendenti della sanità pubblica non vaccinati, aiuta a comprendere perché fatta una legge si debba poi poterla applicare. Il problema non viene risolto con imposizioni e sanzioni. Almeno 700 operatori socio sanitari, 550 infermieri e 250 medici della Regione amministrata da Alberto Cirio non hanno rispettato l'obbligo vaccinale del decreto 1 aprile. Sommandoli ad altri addetti del settore, sono almeno 20.000 in terra sabauda. Sembra che provvedimenti come demansionamenti, o sospensione dal lavoro senza stipendio dei recalcitranti al diktat non scatteranno prima della fine dell'estate.
Il Piemonte almeno è stato trasparente, ha reso noti i dati, mentre le direzioni sanitarie di Regioni come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna o Lazio non comunicano i numeri della defezione. Il decreto legge del governo Draghi, lo ricordiamo, ha disposto l'obbligo della vaccinazione anti Covid per coloro che lavorano in ospedali, cliniche private e case di riposo, ma anche in farmacie e negli studi professionali a diretto contatto con i pazienti. Il sanitario in grado di dimostrare con un certificato di esonero, rilasciato dopo aver presentato documentazione clinica, che il vaccino lo espone a un rischio per la salute, può non farsi la punturina senza subire conseguenze.
Eccezioni a parte, immunizzarsi con un farmaco anti Covid costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative di medici, infermieri e personale socio sanitario, pena lo spostamento ad altre mansioni anche di livello inferiore che non «implicano contatti interpersonali». Quando una diversa assegnazione non è possibile, dovrebbe scattare la sospensione non retribuita dal lavoro «fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021».
Il condizionale è d'obbligo, perché se davvero le aziende sanitarie locali e gli ordini professionali dei farmacisti avevano una ventina di giorni di tempo per comunicare la sospensione a quanti non hanno osservato l'obbligo, in base agli elenchi dei servizi informativi vaccinali, da aprile ad oggi avremmo conferma di decine di migliaia di cambi di mansioni e di un numero assai elevato di persone costrette a casa, perché non collocabili in altra posizione. Pochissimo, quasi nulla invece filtra.
Facendo due conti, con la penuria di medici e infermieri nei nostri ospedali e centri salute, solo guardando al Piemonte sarebbe drammatico sostituire 550 infermieri e 250 medici che non vogliono vaccinarsi. Che cosa li mettono a fare? Dove vanno a trovare altri sanitari da mettere in corsia? Secondo Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, in Italia mancherebbero tra i 50 e i 60.000 infermieri. Una «carenza documentata da molto tempo e che ogni anno peggiora», ha spiegato la presidente, Barbara Mangiacavalli, sottolineando come «ora, con il necessario recupero di un'assistenza di qualità anche verso i pazienti non Covid, potrebbe trasformarsi in un serio rischio per la salute».
Il Sole 24 Ore ipotizzava a metà maggio che fossero ancora 85.000 i sanitari non vaccinati in tutta Italia. Se siano tanti o pochi e se rappresentino davvero un problema per i pazienti, non sono in questo contesto le questioni fondamentali: chiediamoci perché una legge non viene rispettata. Senza entrare nel merito se sia giusto o meno un obbligo vaccinale solo per medici e infermieri, e delle motivazioni che «possono essere plurime» come ha sottolineato l'ex pm Antonio Rinaudo, coordinatore dell'area giuridica dell'Unità di crisi del Piemonte, proviamo a comprendere quali margini di manovra possano avere le Asl, che dovrebbero sospendere i sanitari non vaccinati. Spostandoli dalla sala operatoria, o dalla corsia, all'archivio documenti? E chi azionerà bisturi e flebo al loro posto? Sicuramente toccherebbe ai colleghi, costretti a ulteriori turni e a rinunciare a ferie perché il personale è risicato, quindi appare chiaro che un'azienda sanitaria locale si prende tutto il tempo possibile prima di decidere sospensioni di medici, infermieri e di coloro che realizzano attività di supporto diagnostico e terapeutico. Franco Massi, presidente di Uneba, la principale associazione di categoria del settore sociosanitario, su Vita.it un mese fa osservava anche: «Sembra che i legislatori non sappiano che coloro che si occupano dell'alimentazione e dell'igiene personale degli ospiti, così come della pulizia dei luoghi, sono più vicini agli anziani di medici ed infermieri». Aggiunse che in questo senso «il legislatore manca totalmente di coerenza». C'è un'altra questione, paradossale. Il personale sanitario vaccinato, che entra in contatto con un positivo al Covid, deve comunque sottoporsi a quarantena perché non è certo che non possa trasmettere il virus. Qual è allora il senso di un obbligo vaccinale?
Flop Curevac: efficacia solo al 47%
Brutte notizie in casa Curevac. L'azienda farmaceutica tedesca ha infatti annunciato ieri di aver fallito l'obiettivo per il suo vaccino «CVnCoV». In uno studio di Fase 3, il preparato ha dimostrato efficacia pari al 47%, insufficiente per lo standard qualitativo per un vaccino contro il Covid, che l'Organizzazione mondiale della Sanità ha posto al 70%.
«Avevamo sperato in risultati più solidi nell'analisi, ma abbiamo scoperto che è difficile ottenere un'elevata efficacia a causa della presenza di questa gamma di varianti senza precedenti. Stiamo continuando lo studio fino all'analisi finale», ha affermato Franz-Werner Haas, amministratore delegato di CureVac. «Inoltre, l'ambiente ricco di varianti sottolinea l'importanza di sviluppare vaccini di nuova generazione man mano che continuano ad emergere nuove varianti di virus». L'analisi ad interim si è basata su 134 casi di Covid nello studio con circa 40.000 volontari in Europa e America Latina. I tamponi positivi, 124, sono stati sequenziati. Il 57% dei casi è stato causato dalle cosiddette «varianti di preoccupazione» più altamente trasmissibili. Tra i ceppi identificati, però, non c'erano quello sudafricano e indiano. Un'ulteriore debolezza del preparato riguarda le fasce d'età dove si è rivelato più efficacie, ossia tra i più giovani, ma non negli over 60, proprio la categoria che maggiormente necessita di essere immunizzata.
«Continueranno i trial e proveranno a cambiare formulazione, dosaggio, tempistiche, e non è escluso che i dati possano migliorare, ma direi che probabilmente questa strada si è chiusa», ha osservato il farmacologo Silvio Garattini, presidente dell'Istituto Mario Negri. L'azienda, sostenuta dal governo tedesco, dagli investitori Dietmar Hopp, dalla Fondazione Gates e dalla GlaxoSmithKline, aveva l'obiettivo di produrre fino a 300 milioni di dosi nel 2021 e fino a un miliardo di dosi nel 2022 Di conseguenza, l'esito deludente delle sperimentazioni su quello che doveva essere il terzo vaccino a tecnologia mRna sul mercato (come Pfizer e Moderna, efficaci al 95%) è un duro colpo anche per l'Europa, con cui CureVac aveva firmato un accordo per la fornitura di 405 milioni di dosi (di cui 180 opzionali). E la stessa Italia ne attendeva oltre 30 milioni, una cifra superiore a quella dell'intera fornitura del vaccino Johnson & Johnson.
«La Commissione europea e gli Stati membri, nello Steering board, seguono da vicino la questione della ridotta efficacia del vaccino di Curevac, e attendono la valutazione dell'Ema», ha dichiara un portavoce dell'Esecutivo comunitario. «Il contratto stipulato con l'azienda farmaceutica, è disponibile online, e prevede una serie di clausole anche sulle scadenze di consegna delle dosi», spiega il portavoce a chi chiede se vi sia la possibilità di rescindere il contratto. «Ma - aggiunge - non stiamo assolutamente conducendo questo tipo di discussione».
Il primo effetto del flop dell'azienda, com'era prevedibile, è stato il tonfo in Borsa del titolo, crollato del 50,6%, da 94,79 dollari a 47,64 dollari per azione.
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L'imposizione della puntura a medici e infermieri, pena il demansionamento o sospensione, danneggia Asl e cliniche prive dei lavoratori necessari a sostituire chi rifiuta il siero. Solo in Piemonte sono almeno 20.000.L'azienda tedesca Curevac comunica il fallimento dei test sul farmaco. Crollo del titolo del 50%. Bruxelles aveva già opzionato 405 milioni di dosi, l'Italia 30. Silvio Garattini: «Strada chiusa».Lo speciale contiene due articoli.Non hanno voluto il vaccino ma se li spostano o vengono lasciati a casa, chi rimane a lavorare nei reparti e nelle residenze per anziani? La notizia che solo in Piemonte, a giugno, siano 5.000 i dipendenti della sanità pubblica non vaccinati, aiuta a comprendere perché fatta una legge si debba poi poterla applicare. Il problema non viene risolto con imposizioni e sanzioni. Almeno 700 operatori socio sanitari, 550 infermieri e 250 medici della Regione amministrata da Alberto Cirio non hanno rispettato l'obbligo vaccinale del decreto 1 aprile. Sommandoli ad altri addetti del settore, sono almeno 20.000 in terra sabauda. Sembra che provvedimenti come demansionamenti, o sospensione dal lavoro senza stipendio dei recalcitranti al diktat non scatteranno prima della fine dell'estate. Il Piemonte almeno è stato trasparente, ha reso noti i dati, mentre le direzioni sanitarie di Regioni come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna o Lazio non comunicano i numeri della defezione. Il decreto legge del governo Draghi, lo ricordiamo, ha disposto l'obbligo della vaccinazione anti Covid per coloro che lavorano in ospedali, cliniche private e case di riposo, ma anche in farmacie e negli studi professionali a diretto contatto con i pazienti. Il sanitario in grado di dimostrare con un certificato di esonero, rilasciato dopo aver presentato documentazione clinica, che il vaccino lo espone a un rischio per la salute, può non farsi la punturina senza subire conseguenze. Eccezioni a parte, immunizzarsi con un farmaco anti Covid costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative di medici, infermieri e personale socio sanitario, pena lo spostamento ad altre mansioni anche di livello inferiore che non «implicano contatti interpersonali». Quando una diversa assegnazione non è possibile, dovrebbe scattare la sospensione non retribuita dal lavoro «fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021». Il condizionale è d'obbligo, perché se davvero le aziende sanitarie locali e gli ordini professionali dei farmacisti avevano una ventina di giorni di tempo per comunicare la sospensione a quanti non hanno osservato l'obbligo, in base agli elenchi dei servizi informativi vaccinali, da aprile ad oggi avremmo conferma di decine di migliaia di cambi di mansioni e di un numero assai elevato di persone costrette a casa, perché non collocabili in altra posizione. Pochissimo, quasi nulla invece filtra. Facendo due conti, con la penuria di medici e infermieri nei nostri ospedali e centri salute, solo guardando al Piemonte sarebbe drammatico sostituire 550 infermieri e 250 medici che non vogliono vaccinarsi. Che cosa li mettono a fare? Dove vanno a trovare altri sanitari da mettere in corsia? Secondo Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, in Italia mancherebbero tra i 50 e i 60.000 infermieri. Una «carenza documentata da molto tempo e che ogni anno peggiora», ha spiegato la presidente, Barbara Mangiacavalli, sottolineando come «ora, con il necessario recupero di un'assistenza di qualità anche verso i pazienti non Covid, potrebbe trasformarsi in un serio rischio per la salute». Il Sole 24 Ore ipotizzava a metà maggio che fossero ancora 85.000 i sanitari non vaccinati in tutta Italia. Se siano tanti o pochi e se rappresentino davvero un problema per i pazienti, non sono in questo contesto le questioni fondamentali: chiediamoci perché una legge non viene rispettata. Senza entrare nel merito se sia giusto o meno un obbligo vaccinale solo per medici e infermieri, e delle motivazioni che «possono essere plurime» come ha sottolineato l'ex pm Antonio Rinaudo, coordinatore dell'area giuridica dell'Unità di crisi del Piemonte, proviamo a comprendere quali margini di manovra possano avere le Asl, che dovrebbero sospendere i sanitari non vaccinati. Spostandoli dalla sala operatoria, o dalla corsia, all'archivio documenti? E chi azionerà bisturi e flebo al loro posto? Sicuramente toccherebbe ai colleghi, costretti a ulteriori turni e a rinunciare a ferie perché il personale è risicato, quindi appare chiaro che un'azienda sanitaria locale si prende tutto il tempo possibile prima di decidere sospensioni di medici, infermieri e di coloro che realizzano attività di supporto diagnostico e terapeutico. Franco Massi, presidente di Uneba, la principale associazione di categoria del settore sociosanitario, su Vita.it un mese fa osservava anche: «Sembra che i legislatori non sappiano che coloro che si occupano dell'alimentazione e dell'igiene personale degli ospiti, così come della pulizia dei luoghi, sono più vicini agli anziani di medici ed infermieri». Aggiunse che in questo senso «il legislatore manca totalmente di coerenza». C'è un'altra questione, paradossale. 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In uno studio di Fase 3, il preparato ha dimostrato efficacia pari al 47%, insufficiente per lo standard qualitativo per un vaccino contro il Covid, che l'Organizzazione mondiale della Sanità ha posto al 70%. «Avevamo sperato in risultati più solidi nell'analisi, ma abbiamo scoperto che è difficile ottenere un'elevata efficacia a causa della presenza di questa gamma di varianti senza precedenti. Stiamo continuando lo studio fino all'analisi finale», ha affermato Franz-Werner Haas, amministratore delegato di CureVac. «Inoltre, l'ambiente ricco di varianti sottolinea l'importanza di sviluppare vaccini di nuova generazione man mano che continuano ad emergere nuove varianti di virus». L'analisi ad interim si è basata su 134 casi di Covid nello studio con circa 40.000 volontari in Europa e America Latina. I tamponi positivi, 124, sono stati sequenziati. Il 57% dei casi è stato causato dalle cosiddette «varianti di preoccupazione» più altamente trasmissibili. Tra i ceppi identificati, però, non c'erano quello sudafricano e indiano. Un'ulteriore debolezza del preparato riguarda le fasce d'età dove si è rivelato più efficacie, ossia tra i più giovani, ma non negli over 60, proprio la categoria che maggiormente necessita di essere immunizzata. «Continueranno i trial e proveranno a cambiare formulazione, dosaggio, tempistiche, e non è escluso che i dati possano migliorare, ma direi che probabilmente questa strada si è chiusa», ha osservato il farmacologo Silvio Garattini, presidente dell'Istituto Mario Negri. L'azienda, sostenuta dal governo tedesco, dagli investitori Dietmar Hopp, dalla Fondazione Gates e dalla GlaxoSmithKline, aveva l'obiettivo di produrre fino a 300 milioni di dosi nel 2021 e fino a un miliardo di dosi nel 2022 Di conseguenza, l'esito deludente delle sperimentazioni su quello che doveva essere il terzo vaccino a tecnologia mRna sul mercato (come Pfizer e Moderna, efficaci al 95%) è un duro colpo anche per l'Europa, con cui CureVac aveva firmato un accordo per la fornitura di 405 milioni di dosi (di cui 180 opzionali). E la stessa Italia ne attendeva oltre 30 milioni, una cifra superiore a quella dell'intera fornitura del vaccino Johnson & Johnson. «La Commissione europea e gli Stati membri, nello Steering board, seguono da vicino la questione della ridotta efficacia del vaccino di Curevac, e attendono la valutazione dell'Ema», ha dichiara un portavoce dell'Esecutivo comunitario. «Il contratto stipulato con l'azienda farmaceutica, è disponibile online, e prevede una serie di clausole anche sulle scadenze di consegna delle dosi», spiega il portavoce a chi chiede se vi sia la possibilità di rescindere il contratto. «Ma - aggiunge - non stiamo assolutamente conducendo questo tipo di discussione». Il primo effetto del flop dell'azienda, com'era prevedibile, è stato il tonfo in Borsa del titolo, crollato del 50,6%, da 94,79 dollari a 47,64 dollari per azione.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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