2025-02-09
Nuovo show di Hamas. Libera tre ostaggi, indebolisce la tregua e avverte gli Usa
Combattenti di Hamas scortano l'ostaggio israeliano Ohad Ben-Ami sul palco prima di consegnarlo a una squadra della Croce Rossa a Deir al-Balah (Ansa)
Rapiti, denutriti e pallidi, esposti come trofei. Israele: «Scene scioccanti». I miliziani sfidano Donald Trump: «Non entrerai a Gaza».Ieri sono stati rilasciati da Hamas tre ostaggi sequestrati durante l’attacco del 7 ottobre 2023. Gli uomini, liberati dopo 16 mesi di prigionia, sono apparsi denutriti, debilitati e confusi mentre venivano riconsegnati, dopo essere stati rapiti dal kibbutz Be’eri e dal festival musicale Nova e sono stati anche costretti a ringraziare i loro rapitori «per averli curati». Si tratta di Eli Sharabi, 52 anni, Or Levy, 34 anni, e Ohad Ben Ami, 56 anni. Sharabi e Ben Ami indossavano abiti marroni che li identificavano come «prigionieri», mentre Levy, pur essendo un civile, era vestito con un’uniforme simile a quella delle Forze di difesa israeliane. A Deir al-Balah Hamas ha allestito un palco per il trasferimento degli ostaggi alla Croce rossa, decorato con un cartello che proclamava «vittoria totale», lo stesso slogan ripetuto dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per tutta la guerra. A differenza di altre aree, qui la maggior parte degli edifici è ancora in piedi. Inoltre, la città era stata designata da Israele come «zona umanitaria», diventando un punto di riferimento per la distribuzione degli aiuti che però vengono spesso rubati da Hamas e rivenduti al mercato nero dopo averne fatto incetta. Il ritorno a casa di Sharabi e Levy è segnato da una tragica realtà: la moglie di Sharabi e le sue due figlie adolescenti erano state uccise il 7 ottobre, così come la moglie di Levy, assassinata lo stesso giorno. Sharabi fino a oggi ignorava la tragica sorte della sua famiglia. Al suo ritorno in Israele è stata sua madre, insieme a sua sorella, a dargli la devastante notizia. Le due donne, consapevoli della delicatezza del momento, hanno pianificato con cura il modo di informarlo, come riportato da Times of Israel. Secondo l’esperta di comunicazione Elisa Garfagna, «l’apparizione in pubblico degli ostaggi è stata orchestrata come una vera e propria farsa mediatica. Vestiti con tute che ricordano quelle carcerarie sono stati esposti su un palco allestito ad arte per uno spettacolo macabro. Dietro di loro, uno striscione con la scritta “vittoria totale” in ebraico, un pugno e la bandiera palestinese con l’immagine di Netanyahu, chiaro simbolo della manipolazione comunicativa di Hamas. La scena è culminata in una finta intervista, con miliziani a volto coperto che ponevano domande preconfezionate, mentre le telecamere riprendevano. La natura manipolatrice e propagandistica delle azioni di Hamas afferma un’altra volta la pericolosità dell’azione terroristica a 360 gradi». L’ufficio di Netanyahu ha definito «scioccanti» le immagini della liberazione dei tre ostaggi da parte di Hamas nella Striscia di Gaza. «Il governo israeliano accoglie con favore il ritorno dei tre rimpatriati», si legge in una nota, mentre Netanyahu è ancora a Washington. Il comunicato poi prosegue: «Non resteremo indifferenti alle scene scioccanti di oggi. Il governo, insieme a tutte le agenzie di sicurezza, starà al fianco degli ostaggi e delle loro famiglie e si impegna a riportare a casa tutte le persone rapite e scomparse». Per l’October Council, che rappresenta le famiglie colpite direttamente dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, «le immagini provenienti da Gaza riecheggiano le fotografie dei sopravvissuti all’Olocausto e servono come un ulteriore monito del più grave fallimento nella storia dello Stato, sottolineando la necessità di un’indagine approfondita». Il presidente israeliano, Isaac Herzog, su X ha denunciato con forza le condizioni dei tre ostaggi rilasciati oggi da Hamas: «Il mondo intero deve guardare direttamente Ohad, Or ed Eli, che tornano dopo 491 giorni di inferno, affamati, emaciati e addolorati, sfruttati in uno spettacolo cinico e crudele da vili assassini. Ci consola il fatto che vengono restituiti vivi tra le braccia dei loro cari». Il coordinatore per gli ostaggi e gli scomparsi nell’ufficio del primo ministro, il generale di brigata (in riserva) Gal Hirsch, oltre a esprimere il suo sdegno per quanto avvenuto ieri durante la liberazione degli ostaggi, ha affermato: «Settantasei ostaggi sono ancora prigionieri di Hamas, vivi e deceduti. Stiamo monitorando meticolosamente l’attuazione della prima fase dell’accordo, mentre ci prepariamo attivamente per ciò che verrà dopo». Dopo un silenzio assordante il comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha finalmente sollecitato che le future operazioni di rilascio si svolgano in maniera riservata: «Il Cicr è sempre più preoccupato per le condizioni in cui avvengono i rilasci. Esortiamo tutte le parti coinvolte, inclusi i mediatori, ad assumersi la responsabilità di garantire che i prossimi scambi avvengano in modo dignitoso e privato». Israele ha rilasciato 183 prigionieri palestinesi, tra cui alcuni condannati all’ergastolo per atti di terrorismo, in seguito alla liberazione di tre ostaggi da parte di Hamas, nell’ambito del cessate il fuoco in corso a Gaza. Tra i detenuti scarcerati, 18 stavano scontando condanne all’ergastolo per attacchi mortali contro cittadini israeliani. Dei prigionieri rilasciati, 111 erano stati catturati dalle forze israeliane nella Striscia di Gaza durante il conflitto, mentre i restanti 72 erano stati arrestati prima dell’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023. Sebbene i colloqui sulla seconda fase dovrebbero iniziare lunedì, Netanyahu ha rinviato l’invio della squadra di negoziatori, probabilmente fino al suo ritorno da Washington la prossima settimana. Il rinvio dei colloqui ha suscitato profonda preoccupazione tra le famiglie degli ostaggi maschi e di coloro che sono stati uccisi, il cui rilascio è previsto solo nelle fasi successive dell’accordo. I lavori per la possibile seconda fase dell’accordo multilivello mirano al rilascio di circa 60 ostaggi maschi e al ritiro delle truppe israeliane da Gaza ma secondo un alto membro di Hamas, che ha parlato all’Afp: «Il cessate il fuoco è in pericolo e potrebbe crollare». L’incertezza sul cessate il fuoco è cresciuta dopo la dichiarazione inaspettata di Donald Trump che questa settimana ha espresso l’intenzione di porre Gaza sotto amministrazione americana. Martedì Trump ha anche affermato di voler trasferire la popolazione di Gaza in un Paese terzo, come l’Egitto o la Giordania, e di trasformare l’enclave costiera in una sorta di «Riviera del Medio Oriente» sotto il controllo degli Stati Uniti. Venerdì, però, ha chiarito che non «c’è alcuna urgenza nell’implementazione del progetto. Netanyahu ha accolto con favore la proposta, definendola un piano «eccezionale», ma l’idea è stata subito respinta dai Paesi arabi, dalle fazioni palestinesi, tra cui Hamas e l’Autorità nazionale palestinese, e da molti residenti di Gaza, che hanno ribadito la volontà di ricostruire autonomamente le proprie abitazioni. Infine, mentre scriviamo, in un’intervista a Hürriyet, il leader di Hamas, Abu Zuhri, ha dichiarato che «Hamas impedirà alle forze militari statunitensi di entrare a Gaza». Ha inoltre proposto «un’alleanza regionale per sfidare l’approccio di Trump a Gaza», sottolineando che gli interessi statunitensi dovrebbero essere protetti rispettando la sovranità e i diritti locali. Ora vedremo chi seguirà Hamas, che adesso sfida apertamente anche Donald Trump.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)