2020-04-18
Nostalgia gialloblù al tavolo delle nomine. Metà Movimento fa la corte ai leghisti
Luigi Di Maio e Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Contatti tra l'ala grillina Di Maio-Buffagni e Giancarlo Giorgetti, in vista di una frattura con il Pd. E a Bruxelles arriva un No comune.Altra giornata di passione e litigi attorno al tavolo delle nomine pubbliche. Pd e 5 stelle divisi tra loro e soprattutto grillini a loro volta spaccati in due. Tanto da dover cercare sponde nell'opposizione. O, per essere più precisi, tra le file dei vecchi partner gialloblù. Negli ultimi giorni si sono, infatti, intensificati i contatti e le telefonate con la Lega e la parte del Movimento che fa riferimento a Luigi Di Maio e a Stefano Buffagni. Non a caso nella giornata di giovedì l'attuale viceministro al Mise (a cui sono state tolte le deleghe alle nomine che gestiva da sottosegretario agli Affari regionali) è stato segnalato a ridosso del Parlamento. Lo stesso luogo dove è ricomparso Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega. Il politico varesotto non lasciava la Lombardia dal giorno del lockdown. E dunque in molti hanno visto il suo viaggio come una felice coincidenza. La sostanza sta nel fatto che gli sherpa dei vecchi gialloblù hanno condiviso una serie di nomi di diversi consigli di amministrazione, le cui liste devono essere presentate oggi. Nessuno di questi diventerà amministratore delegato o presidente, ma dal punto di vista politico il riavvicinamento è un segnale forte.Non solo perché metà Movimento cerca nomi di manager che evidentemente non riesce a cooptare in autonomia, ma anche perché fiuta un'eventuale frattura tra i contiani e gli altri che in tema di Europa restano più vicini alla Lega. I No Mes per capirsi. Così se Forza Italia nell'emiciclo si spostasse più vicina al Pd e al gruppo di Conte sarebbe un attimo passare dal tema delle nomine a quello di una nuova minoranza parlamentare. Tema che non è certo sfuggito al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Non a caso ieri Marzio Breda, sul Corriere, ha lanciato l'appello all'unità nazionale come da indicazioni del Colle. Senza unità, si dice, non ci sarà ripartenza economica. «Eppure», verga il corsivista, «c'è uno scenario di tensioni continue che pare alimentato apposta per una crisi strisciante e per far cadere Conte». Il messaggio non è nemmeno troppo velato e si aggiunge al fuoco degli scontri attorno al Mes. Il fondo Salvastati ha prima unito e poi separato le posizioni di Conte e del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, almeno fino a che il Pd non è dovuto uscire allo scoperto nel tentativo di azzerare l'opposizione di governo al Mes. Così se Conte nelle ultime ore ha fatto un passo indietro, giovedì a rompere lo schema ci ha pensato il ministro allo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli , che si è opposto all'adesione. Mentre ieri all'Europarlamento si è riformato, per un'altra coincidenza, di nuovo il blocco gialloblù. Il M5s ha votato contro il paragrafo 23 della risoluzione, che invita i Paesi dell'eurozona ad attivare i 410 miliardi di euro del Mes con una linea di credito specifica, mentre il Pd si è espresso a favore, assieme a Italia viva e a Forza Italia. Contrari invece Lega e Fratelli d'Italia. È sicuramente una scelta estemporanea, ma è bastata a buttare altra benzina sul fuoco e a rendere a qualche migliaio di chilometri di distanza la spartizione dei manager pubblici ancora più complicata. Dopo la brusca rottura del tavolo giovedì sera Pd, 5 stelle e Italia viva si sono ritrovati ieri mattina. La quadra sembrava quasi fatta. Confermati quasi tutti gli ad, salvo il nome di Luigi Ferraris, che da Terna sarebbe stato spostato a Ferrovie dello Stato per fare posto a Stefano Donnarumma, attuale capo di Acea. È sui nomi avanzati dai 5 stelle per i presidenti che sono nate le frizioni ulteriori. Lucia Calvosa, attuale membro del cda del Fatto Quotidiano è stata spinta per la presidenza dell'Eni e in subordine per Terna. Il Pd non ci pensa proprio di lasciare in toto la politica energetica ai 5 stelle e l'idea della Calvosa al fianco di Claudio Descalzi, che il Fatto ha bombardato per mesi (con un fine adesso chiaro) ha fatto storcere il naso a tantissimi. Perfino ai consiglieri di Mattarella. Che nel pomeriggio di ieri sarebbero intervenuti per sottolineare che serve una coerenza istituzionale. Tradotto: meglio Gianni De Gennaro, ora presidente di Leonardo. Risultato? Trattative riavviate da capo e discussione fino a tarda sera. Ripescaggio della Calvosa indirizzata di nuovo verso Eni. Ma scontri sul nome di Michele Crisostomo, spinto dai 5 stelle per Enel e che ha un trascorso in Pop Bari e in Mps. Non proprio un gran biglietto da visita. A quel punto è intervenuto a distanza Matteo Renzi per chiedere una fettina un po' più grande. Sostenendo che chi aveva nominato da premier ora non deve più essere considerato in quota Italia viva, ma Pd. Tanta pazienza, considerando che ieri sera a ora di cena mancava da stilare ancora tutta la lista degli oltre 60 consiglieri delegati.