
«Ne ho vinti tre, poi quest'anno un “signore" ha posto il veto sul mio nome. Gli auguro lunga vita, ma ho pronti gli scarponi chiodati». Vita, opere e aneddoti dell'Aquila di Ligonchio: «Ho molto affetto per Berlusconi, però voterò Meloni. Mina? Spiaggiata sul divano».Vulcanica. Irriverente. Sanguigna. Soprattutto una grande interprete musicale «dalla voce quasi tenorile» (così Wikipedia). Iva Zanicchi, 79 anni, ha scritto per Rizzoli Nata di luna buona. Avvertenza: i giudizi abrasivi qui riportati vanno letti immaginando di sentire in sottofondo le sue risate. Perché può scherzare su gli altri solo chi è capace di non prendere troppo sul serio se stesso. Questo non è il suo debutto letterario.«No. Sono al terzo libro, dopo Polenta di castagne del 2002 e I prati di Sara del 2005».Il primo fu un libro di ricette?«Macché. C'è chi all'epoca lo pensò e lo scrisse, senza evidentemente averlo neppure sfogliato. È che dove sono nata io, sulle montagne a Vaglie di Ligonchio (Reggio Emilia), per la miseria c'era solo quello da mangiare, il piatto più semplice, che ha sfamato generazioni. Era un libro autobiografico, che arrivava fino al 1974, quest'ultimo ne è la ripresa e la prosecuzione arrivando ai giorni nostri».Dinastia contadina e umile, la sua.«Ma dignitosa. Sempre. Mio nonno con la famiglia emigrò in America. Si fecero la quarantena a New York: li tenevano ammassati come bestie per vedere se portavano qualche malattia. Poi finirono in Montana. Peggio che a Ligonchio! Perché qui giravano i lupi, di notte. Lì anche gli orsi. Di giorno».Ricorda che per un breve periodo fui tra i suoi autori a Iva Show, trasmesso da Rete 4 nel biennio 1996-1998?«Sinceramente no. E perché se ne andò?».Non mi trovavo bene nella squadra, mi sembrò giusto levare il disturbo. Era un tipo di approfondimento nazionalpopolare, ma lavorandoci si poteva farne la versione nostrana di Oprah Winfrey.«Piroso, con lei non si capisce mai dove inizi lo sfottò. Sa come finì, vero? Un giorno accendo la tv per rivedere la puntata (registravamo sempre) e scopro che c'era un altro programma. Solo che il mio faceva il 20% di share, il rimpiazzo il 3».Se ne saranno pentiti, allora.«Se ne sono fatti una ragione, invece. Il mio posto era stato preso dalla moglie di Adriano Galliani, quindi intoccabile». Daniela Rosati.«Poi si è fatta suora. Ha sempre scelto di godere di altissime protezioni: prima Galliani, poi il Padreterno». Bella indelicatezza, comunque.«Manco l'unica. All'epoca di Ok! Il prezzo è giusto, per cui il contratto si rinnovava di anno in anno, stavo aspettando che mi chiamassero per la nuova stagione. Parlo con la costumista e lei: “Ma come, non sai che sei stata sostituita da Gigi Sabani?". Rimasi di stucco. Fu il mio compagno (Fausto Pinna: stanno insieme da 33 anni, nda) a telefonare alla direzione di Canale 5, che confermò: avevano pensato di cambiare senza neanche dirmi “crepa, cane". Che mancanza di tatto e di rispetto. Ma sa il colmo quale fu? Mi telefona il giorno dopo Carlo Momigliano, direttore del marketing: “Peccato Iva che tu voglia lasciare la trasmissione"».È uno sport molto praticato, quello delle voci maligne fatte circolare ad arte alle spalle altrui. In tutte le aziende.«Gli risposi che ero stata accantonata d'ufficio. Lui rimase in silenzio, poi mi invitò ad aspettare, ché si sarebbe fatto risentire. Commissionò un sondaggio presso gli inserzionisti pubblicitari, risultato? Un plebiscito per me: 90 a 10. Morale: contratto rinnovato per altri due anni, i dirigenti dovettero ingoiare il rospo, tiè». Ok, il prezzo della vendetta è quello giusto!«Nessuna vendetta, non sono il tipo. Ho il gusto della battuta, questo sì, ma non porto rancore».Neppure a quel personaggio che giorni fa avrebbe giurato: «La Zanicchi di nuovo al Festival? Deve passare sul mio cadavere»? E dire che lei è la cantante che ha vinto più edizioni: tre.«Vuol farmi fare polemica a tutti i costi, ho capito. Ma lasciamo perdere, voliamo alti».Aspetti, all'Aquila di Ligonchio arriviamo dopo. Conferma che non si tratta di Amadeus?«Sì. Faccio con tutto il cuore il tifo per lui, si merita il più sfavillante dei successi. Guardi, io non auguro il male neppure al mio peggior nemico, e questo “signore" che se la tira da molto potente spero davvero sia sempre in salute e che possa campare fino a 100 anni, o oltre...».Non so perché, ma ho come l'impressione stia per arrivare un ma...«Nessun ma. Diciamo che se però la sorte non fosse così favorevole, mi farei trovare pronta con un bel paio di scarponi chiodati».Eccallà, commenterebbe alla romana Maurizio Costanzo. Io credo che se due sue rivali, Ornella Vanoni (classe 1934) e Patty Pravo (classe 1948) hanno gareggiato nel 2018 e nel 2019, potrebbe tornare a Sanremo tranquillamente pure lei. Anche solo come ospite. «Patty Pravo non è mai stata una rivale, perché è arrivata dopo. Quanto alla Vanoni, nei concerti volevano sempre eseguissi una canzone di Ornella, Un'ora sola ti vorrei, convinti fosse mia. Lei un giorno mi ferma arrabbiata: “Sai che tutti pensano che la mia canzone sia tua?". “Guarda che me la richiede il pubblico". E lei: “Ah be', del resto hanno l'impudenza di domandare Un fiume amaro a me". E io: “Astieniti. Perché tu Un fiume amaro non la sai cantare". Quando si dice «la solidarietà femminile».«Non fraintenda: è per la timbrica e per la voce, non perché non sia all'altezza. Quindi io le sue posso farle, lei le mie no. Del Festival che dire? Ho già dato. Ho partecipato 10 volte, l'ultima 10 anni fa, con quell'intervento offensivo di Roberto Benigni, pieno di doppi sensi sulla mia canzone Ti voglio senza amore, e gli ammiccamenti del conduttore (Paolo Bonolis, nda)».Vabbè, Benigni è il solito Benignaccio, e poi le battute sul sesso strappano sempre facili risate.«Se non altro, lui si è reso conto e dopo una settimana mi ha telefonato per scusarsi con me e con la mia famiglia, visto che sono una madre e una nonna. Quell'altro invece non l'ho mai sentito. Solidarietà dei politici? Nessuna, il #metoo non era ancora di moda. L'unico a scrivermi una bellissima lettera fu il presidente emerito Francesco Cossiga».Silente anche Silvio Berlusconi?«Sì, ma la mia stima e l'affetto per lui ci saranno sempre, anche se poi, quando sono stata eletta in Europa con Forza Italia, il partito mi ha lasciata totalmente sola. La politica è un ambiente ancora più carogna di quello dello spettacolo».Be', nel 2011 fu invitata in un talk de La7 in cui il Cavaliere fu attaccato duramente per il bunga bunga, lui telefonò in diretta invitandola «cordialmente» ad abbandonare quell'«incredibile postribolo televisivo», ma lei non lo fece.«Non volevo imitare Daniela Santanchè che faceva sempre 'ste sceneggiate. È vero, rimasi lì ma mi arrabbiai tantissimo, difesi con le unghie Berlusconi, sostenendo che se la sinistra pensava di abbatterlo così poteva stare fresca. Non mi pare di essermi sbagliata di tanto».In effetti, fu una bella macumba.«Del resto, demonizzando Matteo Salvini (come hanno fatto per decenni con Berlusconi) cosa stanno ottenendo? Che fra poco nei sondaggi la Lega arriverà al 50%».Però in futuro lei voterà Giorgia Meloni...«Se continua così, sì». Mi scusi: ma è vero che ha partecipato alle primarie del Pd e ha votato per Andrea Orlando?«Sì, perché è credibile, serio, e si presenta bene. Ormai guardo più alle persone che agli schieramenti».Vabbè, come diceva Maurizio Ferrini a Quelli della notte: «Non capisco ma mi adeguo». Invece da La gabbia di Gianluigi Paragone (senatore del M5s: aveva annunciato le dimissioni se fosse nato il governo con il Pd, ma nisba: è avanzato rinculando) se ne andò con un triplice “vaffa" e anche un “va' a cag...", simpaticamente detto in emiliano.«Mi accusavano di essere corresponsabile della crisi economica perché ero stata al governo, ma quando mai? Esasperata, feci l'errore (perché la beneficenza si fa senza sbandierarla, me lo ripeteva sempre mia madre) di dire che avevo adottato una famiglia di quattro persone. Mi insultarono a sangue, urlandomene di ogni, perché secondo loro ero a caccia di pubblicità. Allora ce li ho mandati, e ho lasciato lo studio».Torniamo allo zoo della canzone italiana degli anni 60 e 70: Mina, Milva e lei. Ovvero...«La Tigre di Cremona, la Pantera di Goro (in quel di Ferrara) e poi l'Aquila di Ligonchio». Tre pesi massimi.«Ah, una di sicuro. Così massimo che sta spiaggiata sul divano, rintanata in casa all'estero, mentre come vede io sono ancora qui, a metterci la faccia». Ma ci sarebbe anche l'usignolo di Cavriago, la reggioemiliana Orietta Berti. «Orietta è bravissima e fa bene a rivendicare l'esistenza di un quartetto e non di un trio. Lo dico perché spero che per Natale mandi i suoi mitici tortellini anche a me, non solo a Mara Venier. Del resto, è vero che con Orietta abbiamo iniziato insieme, partecipando allo stesso concorso nel '61: lei però è andata a casa con una medaglietta, io con una coppa alta tre metri. Lei giura che siamo arrivate prime tutte e due. Magari ha ragione lei, chissà».Una delle sue canzoni più celebri, con cui ha vinto un Festival, è Zingara. Finita in seguito al centro di una querelle giudiziaria di anni. Con Francesco De Gregori denunciato dagli autori per plagio.«Ma che poeta, De Gregori. E che bel tipo di uomo. Lo dico senza far ingelosire Fausto, perché lui è un fan sfegatato del Principe (e, ma a distanza e solo dopo, di Fabrizio De Andrè). Ma sa che ci rimasi male io per prima per quella accusa? Ma come: De Gregori fa una citazione, e voi lo portate in tribunale invece di ringraziarlo?».La Cassazione ha confermato l'assoluzione già intervenuta in appello.«E per fortuna. Le regalo un particolare: quando espressi il mio sconcerto, De Gregori lo venne a sapere. Una sera, tornata a casa, me la ritrovai inondata di fiori. Nel biglietto di accompagnamento, oltre alla firma, c'erano solo queste parole: “Grazie, Zingara!". Un gran signore».
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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