2022-01-16
«Non mi faccio trattare da macchietta per questo sono il nano più famoso»
Gianluca Cofone (Facebook)
Gianluca Cofone, l’attore nel cast dell’ultimo film di Gigi Proietti: «Ho trasformato il mio aspetto fisico in una leva per il successo senza scadere nel burlesco. Programmi televisivi non beceri possono fare conoscere il nostro mondo».All’idea di una carriera d’artista, Gianluca Cofone fatica ancora ad abituarsi. «Non mi sento tale. Mi sento una persona piena di ambizioni con la voglia di non mollare e dar forza a chiunque combatta contro sé stesso», dice l’attore, che, dopo una militanza nel settore intrattenimento, fra locali in Italia ed Europa, è arrivato al cinema, folletto coreografo in Chi ha incastrato Babbo Natale?. Cofone, affetto dalla nascita da nanismo acondroplasico, non parla per falsa modestia, spinto dalla volontà di mistificare il proprio narcisismo. Parla con realismo, raccontando una condizione che, per tanti, avrebbe potuto essere un deterrente. Ché, «Diciamocelo, i nani sono ancora associati a situazioni da circo». Cofone, 143 centimetri di altezza e diversi «precedenti» in televisione e al cinema (Cose da non chiedere, Le Iene, poi Io sono Babbo Natale, con Gigi Proietti), ha voluto sfidare gli sguardi della gente, i luoghi comuni e raccontarsi, lui per primo, rispondendo a domande che pochi hanno il coraggio di fare. Il successo, dunque, è arrivato sui social per investire poi ogni altro media. Cofone ha accumulato 150.000 followers, tra Facebook, Instagram e TikTok. «Il nano più seguito della rete», lo chiamano.Emergere, sui social, non è facile. Qual è la chiave del suo successo? «La personalità e il carattere hanno contribuito al mio successo. Lo metta fra virgolette: “successo”. Quello che ho di “particolare”, di nuovo fra virgolette, è l’aspetto fisico, visto da molti come un “handicap”. Io ho fatto in modo che diventasse un valore aggiunto, e penso che questa sia stata la mia più grande forza e soddisfazione». Nel raccontarsi, è sempre ironico e leggero. Ma c’è un limite alla satira? «Credo che a tutto dovrebbe esserci un limite, alle cose più banali e a quelle più grossolane. Io troppe volte sono stato oggetto di prese in giro violente. Ho cercato di andare oltre. Sono il primo che cerca di prendersi in giro. Perciò, quando terzi provano a fare altrettanto non posso che riderci sopra».Nel cinema il tentativo di «normalizzare» la diversità è, ormai, fagocitante. Fra quote rosa, ricerca della diversità etnica e disabilità, come evitare che la normalizzazione non si trasformi in ghettizzazione? «Credo che la televisione, e il mondo dello spettacolo tutto, sia lo specchio della società in cui viviamo. Una società all’interno della quale sono nati negli ultimi anni tantissimi movimenti. È giusto che questi prendano piede anche all’interno dei media».Programmi come Questo piccolo grande amore, in onda su Real Time qualche tempo fa, possono aiutare nel racconto della sua condizione?«Decisamente. Troppi pochi programmi raccontano la nostra condizione. Dai più, noi siamo ancora visti come persone diverse, buffe. È sufficiente pensare a come la figura del nano sia sempre associata a situazioni burlesche o di intrattenimento per rendersene conto. Se ben realizzati e costruiti, i programmi televisivi possono indurre un cambiamento, portare le persone a vederci per quello che siamo».Ha mai avuto paura che, prima del suo talento, la gente vedesse il suo aspetto fisico?«Avevo paura che la gente vedesse solo il mio aspetto. Ci è voluto un anno circa perché mi rendessi conto di quanto la mia fosse una stupida impressione. Lo dico sempre: come nelle relazioni, così online l’aspetto fisico, dopo qualche tempo, passa in secondo piano. Quando mi relaziono con il pubblico, c’è un primo momento in cui la diversità lascia a bocca aperta. Poi, però, subentrano il carattere, la personalità, le mie armi vincenti».L’Ema ha approvato un farmaco, il Voxzogo, che potrebbe aiutare i bambini affetti da acondroplasia. L’Italia, però, fatica a fare altrettanto. Perché i media parlano così poco di tutto questo?«Mi sconcerta constatare come i media scelgano di soffermarsi su argomenti che possano catturare un’audience ampia, senza pensare alla sostanza dei fatti. Il Voxsogo è un farmaco che non mi serve, ma potrebbe fare la differenza per tanti ragazzi nella mia situazione. Dà fastidio vedere che un’informazione di questo tipo sia trascurata, non trasmessa».Quali sono le difficoltà con le quali un bambino affetto da acondroplasia deve convivere? «Un bambino, non saprei. Personalmente, il periodo più difficile che ho attraversato è stato quello relativo all’adolescenza. Non si ha ancora la testa sufficientemente matura, da adolescenti, e il giudizio dei coetanei fa male. Poi, arriva anche tutto il resto: le ragazze, le relazioni con gli amici. È stato tutto molto complicato». Bullismo? «Ho sempre vissuto in un piccolo paesino nella provincia di Torino, dove mi conoscevano e mi conoscono tutti. Non ricordo un episodio che possa essere definito bullismo, ma sono sempre stato il pagliaccio del gruppo. Amo far ridere la gente, e molte volte riesco a farlo prendendomi in giro. Ciò detto, credo che il bullismo in Italia andrebbe sanzionato in maniera più pesante, ci vorrebbero pene più corpose». Con le relazioni con l’altro sesso com’è andata?«Le mie relazioni più importanti sono nate da un’amicizia, poi diventata amore. Ho sempre cercato di mettere a suo agio la persona che mi sta accanto, perché non è facile avere gli occhi del mondo puntati addosso. Non è facile ricevere osservazioni da terzi. È stata dura, e ancora lo è, ma qualcosa sta cambiando». Cosa? «Ricordo che quand’ero giovane conoscere una ragazza era un’impresa. Oggi, con i social, un messaggino, qualche like, è tutto più semplice». E semplice è sinonimo di bello? «Nonostante le difficoltà, ho sempre preferito la genuinità di un tempo all’immediatezza della tecnologia».Come cambiano le difficoltà di cui sopra con il passaggio all’età adulta?«Cambia la consapevolezza di te stesso, il modo in cui cominci, piano piano, a prendere coscienza della tua situazione fino a conviverci. Che ti piaccia o no, questo sei tu. Nel mio caso, ha aiutato il carattere. Mi è servito per raccontarmi, come motore del fare. Avessi avuto meno determinazione, non avrei fatto la metà delle cose che ho fatto finora».