2019-12-11
Intimidire i giornalisti non cancella le inchieste
Matteo Renzi è convinto che tappando la bocca ai giornalisti le cose per lui andranno meglio. Così da settimane ha avviato una strategia che consiste nel bastonare chiunque, per mestiere, gli rivolga delle domande, in particolare chi le ponga scomode. Il fondatore di Italia viva ritiene infatti che inducendo gli intervistatori e gli editorialisti alla cautela, ma forse sarebbe più appropriato dire all'autocensura, cioè a cuccia, non si parlerà più di ciò che lo riguarda e magicamente spariranno anche le inchieste giudiziarie che in qualche modo lo sfiorano o toccano persone a lui riconducibili, mamma e papà inclusi. In pratica, si tratta dell'ennesima prova di scollamento dalla realtà (...)(...) di un leader politico. Il metodo Renzi, che altro non è se non un bavaglio, prevede di ribattere colpo su colpo, opponendo agli articoli le citazioni in giudizio, di cui l'ex segretario di un partito che si chiama democratico si vanta pubblicamente, quasi fosse democratica la limitazione della libertà di stampa. «Nel giardino di casa metterò un'aiuola che dedicherò a Marco Travaglio», ha scritto in un post su Facebook, pensando di essere spiritoso. «Ho appena avviato un'ottantina di cause in tribunale», ha aggiunto nella speranza di riuscire a intimidire qualche altro giornalista oltre al direttore del Fatto. Ovviamente, se le querele o le citazioni fossero passibili di condanna nel caso in cui i giudici le ritenessero infondate, se non temerarie, Renzi non ricorrerebbe con tanta facilità a uno strumento giudiziario per impedire l'esercizio del diritto di cronaca. Ma siccome le forze politiche, di destra e sinistra, preferiscono una stampa al guinzaglio, nessuno si è mai curato di inserire nel codice una norma che, oltre a sgomberare il campo dalle cause senza fondamento, tuteli i cronisti che non si genuflettono. Non esistendo dunque una norma contro i ricorsi pretestuosi alla magistratura, l'ex presidente del Consiglio è libero di agire in giudizio e, soprattutto, di agitare la minaccia che, nei confronti dei cronisti più deboli, rischia di funzionare da deterrente.Tuttavia da lunedì, la compagnia di giro che ruota intorno a Italia viva ha fatto un salto di qualità, andando oltre. Se prima, come detto, l'azione di contrasto consisteva principalmente nel ricorso agli avvocati, adesso si è passati al contrattacco con la minaccia via Web. A farne per primo le spese è stato Corrado Formigli, reo di aver intervistato il senatore di Scandicci nella sua trasmissione su La7. Nel corso del programma, il giornalista si è azzardato a formulare qualche domanda sulla casa comprata dall'ex presidente del Consiglio. Un'operazione immobiliare milionaria rivelata dalla Verità, conclusa pochi mesi dopo l'esibizione in favore di telecamere di un estratto conto bancario con un attivo da poche migliaia di euro. Che i fondi necessari all'acquisto siano arrivati grazie a una strana triangolazione sul conto della moglie è un fatto che ha attirato l'interesse dell'ufficio che si occupa di operazioni sospette e della magistratura. Ma secondo Renzi non dovrebbe attirare l'interesse dei giornalisti e dell'opinione pubblica. Infatti, per partecipare ai talk show, il fondatore di Italia viva gradirebbe l'assenza di contraddittorio e il silenzio stampa sulle vicende giudiziarie. Evidentemente Formigli non ha rispettato i suoi desideri, così nei giorni scorsi qualcuno sul Web si è incaricato di dare una lezione al giornalista, pubblicando online informazioni sulla sua casa, quasi che anche quelle, al pari delle notizie sulla villa di Renzi, fossero di interesse pubblico. L'iniziativa ha i caratteri di una rappresaglia, anzi di un ammonimento. Ma l'ex presidente del Consiglio, invece di prendere le distanze da tutto questo, dice che se non è giusto rivelare l'indirizzo e le immagini della casa di un cronista, non lo è neppure quando si mettono in rete le informazioni sulla residenza di un politico. Ovviamente, nella guerra senza quartiere all'informazione, soprattutto a quella che lo riguardano, Renzi dimentica di dire che l'interesse per la sua villa è stato alimentato dalle sue stesse dichiarazioni. A nessuno è venuto in mente di occuparsi dell'appartamento di Nicola Zingaretti o dell'abitazione di Luigi Di Maio. Ma se in tv un leader politico dichiara di essere povero in canna, con meno soldi di quanti ne avesse prima di entrare a Palazzo Chigi, poi non può stupirsi se, mesi dopo, quando compra una residenza da 1,3 milioni qualche giornale, cioèLa Verità, si interroga su dove abbia trovato i soldi. Un leader dovrebbe essere trasparente, soprattutto quando ha a che fare con il denaro. Del resto, lo scorso anno, quando il nostro giornale raccontò dell'acquisizione immobiliare, fu lo stesso fondatore di Italia viva a dichiarare la regolarità della compravendita, promettendo di mostrare a tempo debito le carte. Se non ci fosse stata una segnalazione dell'ufficio antiriciclaggio, invece, nulla si sarebbe saputo. Nessuno, per esempio, avrebbe appreso di quei soldi arrivati da un imprenditore che nel passato era stato nominato nel consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti immobiliare. Fondi usciti da un'azienda per poi approdare sul conto di un'anziana signora e da qui su quello della moglie di Renzi, per essere restituiti mesi dopo. Che male c'è a chiedere a un politico delle sue operazioni finanziarie? Che cosa c'è di proibito nel voler conoscere quali siano le fonti di finanziamento e reddito di un signore che vuole governare gli italiani? Detto in altre parole: perché Renzi teme che si parli degli affari suoi? E perché bastona o lascia bastonare i giornalisti che fanno domande? In un Paese democratico, un politico non ribatte colpo su colpo. Semplicemente risponde. Ma forse l'Italia viva che ha in mente Renzi non è democratica, ma soltanto un'Italia prona.