2019-12-23
Noi veri detenuti. La rivolta degli agenti penitenziari
Tutti parlano di carceri, nessuno pensa a chi sta dietro le sbarre senza aver mai commesso reati. Ogni giorno 24 secondini aggrediti. «Siamo pochi e guadagniamo meno dei reclusi che lavorano». Le guardie giurate: «Aiuto, ci massacrano». Gli attacchi si moltiplicano nei pronto soccorso: i picchiatori sono spesso immigrati nerboruti e strafatti. Lo speciale comprende due articoli. Le carceri sovraffollate, le condizioni disumane, il reinserimento dei detenuti… I media sono zeppi di servizi che raccontano la prigione dal punto di vista dei condannati. E spesso ci si dimentica di chi, dietro le sbarre, ci sta da incensurato: gli agenti penitenziari, che ogni giorno, per portare a casa stipendi da fame, vivono un inferno di fatica e violenza. Stando al conteggio del sindacato, solo nel primo semestre di quest'anno si sono verificate 4.389 aggressioni da parte dei detenuti ai danni degli agenti (in media dunque 24 al giorno). Di queste, più della metà, 2.475, a opera di carcerati stranieri, autori di 320 ferimenti sui 569 patiti dalle divise. E questo, ribadiamo, solo da gennaio a giugno. Ma i misfatti sono proseguiti. Mercoledì scorso, nella casa circondariale di Pescara, i baschi blu hanno dovuto sedare una maxi rissa tra 30 detenuti africani. Uno di loro ne è uscito contuso. Il giorno dopo, due carcerati in isolamento hanno provocato un incendio e, nel tentativo di domarlo, un agente si è fratturato due dita. Il 14 dicembre, a Catanzaro, cinque detenuti si sono scagliati contro un poliziotto, brandendo uno sgabello e una stampella. Referto: contusioni su tutto il corpo. Due giorni prima, nel carcere Bellizzi di Avellino, quattro baschi blu sono stati assaliti da tre detenuti che se le stavano suonando. Agli agenti che sono intervenuti, i galeotti hanno tirato una macchinetta del caffè. Un poliziotto ha riportato una grave ferita alla testa, . I pestaggi avvengono in tutta Italia. Dal mese in cui si ferma il conteggio del sindacato, si registrano parecchi episodi. A inizio luglio, un detenuto ha aggredito un agente: 10 giorni di prognosi. Ad agosto, diversi agenti sono usciti contusi dal tentativo di sedare una lite nel carcere minorile di Treviso. A inizio settembre è successo a Torino: quattro agenti malmenati da un «ospite» extracomunitario. A ottobre, dopo il caso delle presunte torture ai danni dei prigionieri, costate la sospensione a quattro poliziotti, nel carcere di San Gimignano, in Toscana, un tunisino ha scagliato dalla sua cella un fornellino del gas, che ha colpito a un orecchio un ispettore della sorveglianza: 12 punti di sutura. Il motivo della furia del detenuto? Una telefonata negata. Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato degli agenti, aveva commentato sconsolato: «I detenuti evidentemente sono convinti di non essere in carcere a scontare una pena, ma in un albergo». Alla Verità, Capece ha spiegato bene il problema: «Con il regime di celle aperte», introdotto nel 2011, per cui i carcerati sono liberi di scorrazzare per le strutture detentive, «si è abbassata la sicurezza: non c'è più la vigilanza statica e sono cresciute le aggressioni». Certo: un conto è controllare i carcerati in cella, un conto gestire dei facinorosi a spasso per cortili e corridoi. «Nelle sezioni comanda il detenuto che si impone sugli altri». Una lettura confermata da Giovanni Altomare, responsabile del Sappe del Friuli Venezia Giulia, la Regione in cui, a ottobre, sono stati freddati due poliziotti in Questura. Il gaglioffo, Stephan Meran, di origini dominicane, ha aggredito e ferito anche due agenti penitenziari: «Il regime di celle aperte non ha fatto altro che incrementare le colluttazioni, in un clima di tensione alimentato da sovraffollamento e difficile convivenza tra etnie diverse: a Trieste, i carcerati stranieri sono il 70%. Senza contare la quantità di prigionieri con problemi mentali, in aumento esponenziale da quando sono stati chiusi i cosiddetti manicomi. Ormai i carcerati arrivano a tirarci addosso i loro escrementi». Non è un'esagerazione: nell'ultimo congresso dell'Agorà penitenziaria, a ottobre, è emerso che il 50% dei detenuti presenta disturbi psichici. A queste umiliazioni, si sommano le strutturali carenze di personale. Un documento del Sappe, basato sui dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), evidenzia, al 30 novembre 2019, un deficit di 4.532 agenti. E l'inasprimento della violenza dietro le sbarre aggrava le difficoltà. Come ha sottolineato Altomare, «se uno di noi viene ferito, si assenta dal lavoro, costringendo gli altri a coprire il buco, con turni massacrati che si protraggono anche per 12 ore. E poi, se c'è una rissa, gli agenti possono essere costretti ad abbandonare le postazioni strategiche. Il che aumenta il pericolo di evasioni o rivolte. Se i detenuti si ribellano e ci sequestrano» è la conclusione sconsolata, «siamo finiti». L'allarme arriva anche da Emilio Fattorello, che guida il sindacato in Campania. «Siamo al collasso. Da noi ci sono 1.000 detenuti in più e 1.000 poliziotti in meno in 17 istituti penitenziari. A Poggio Reale, la proporzione è un agente e 100 detenuti per piano. Siamo la Regione con la più alta concentrazione di detenuti affiliati di clan mafiosi: potete immaginare che cosa voglia dire lavorare con celle aperte e la regola che comanda il più forte. Circolano telefonini, droga; che ordine e sicurezza possiamo garantire all'interno di queste piazze di spaccio?». Eccola, l'amara realtà: tanta retorica sui poveri carcerati da recuperare e nessuno che si preoccupi dei lavoratori in divisa, che quotidianamente rischiano di beccarsi cazzotti o sprangate. E devono reagire a mani nude, senza neppure i taser elettrici. L'unica arma sono le denunce e la speranza che i magistrati comminino ai violenti un'altra condanna. «Qualche giornalista», racconta alla Verità Federico Pilagatti, segretario del Sappe Puglia, «mi chiede: “Come fa un detenuto a mandare in ospedale tre o quattro di voi?". A parte il fatto che sono tutti dei “bestioni", il problema è che i poliziotti hanno paura a intervenire. Se vengono aggrediti, nessuno sembra preoccuparsi. Se provano a difendersi, subito interviene il garante dei detenuti. Una figura inventata, solo politica: già c'era il magistrato di sorveglianza». Pilagatti segnala anche un altro guaio con cui i baschi blu devono convivere: «Il fumo passivo che siamo costretti a inalare». Un problema che sembra assurdo, a 16 anni dall'approvazione della legge Sirchia, severa fustigatrice del tabagismo. «Nelle carceri italiane i detenuti possono tranquillamente acquistare le sigarette e fumarle nelle sezioni dove lavorano i poliziotti penitenziari. Le carceri sono l'unico luogo di lavoro in Italia dove è consentito fumare senza alcuna cautela. Si preoccupano dei tre metri di spazio vitale per ogni detenuto, ma a nessuno frega che ogni giorno decine di migliaia di persone respirino veleno». E le conseguenze sulla salute arrivano: «Il prossimo anno, a Lecce», ci informa Pilagatti, «dovrebbe concludersi il processo intentato dal Sappe contro il Dap, perché un collega di 43 anni, non fumatore ma costretto per 22 anni a lavorare in ambienti saturi di fumo, è morto di tumore ai polmoni». Proprio in questa Regione siamo riusciti a raccogliere la testimonianza di Antonio, 52 anni (già: l'età media delle divise aumenta sempre di più). L'agente lavora nel carcere di Bari e ha il dente avvelenato: un mese fa, un detenuto gli ha spaccato la fronte e rovinato un occhio: «Sto ancora a contare le stelle. Una testata tremenda. Cercavamo di calmarlo, era un nigeriano, minacciava gli altri detenuti. Al mio collega ha morso l'ombelico, strappando con i denti maglione e divisa, io mi sono preso una craniata. Nel reparto di chirurgia maxillofacciale dicono che guarirò dalle fratture in non meno di cinque mesi, all'ospedale militare mi hanno dato solo 20 giorni in più, oltre al mese passato a casa tra mille dolori. Eppure, in 27 anni di servizio non ho mai chiesto un giorno di malattia. Noi poliziotti penitenziari siamo lasciati soli e non siamo preparati a gestire questi detenuti, stranieri, indecifrabili e per lo più con problemi psichici». Lo conferma, dal Friuli Venezia Giulia, Altomare: «Ci concedono poche ore per frequentare corsi di autodifesa. E io non ho modo di allenarmi a sparare da anni». Oltre al danno, infine, la beffa. Stando al tabellario dei baschi blu, un agente ha una paga di base che non supera i 1.400 euro al mese. Come assicura il Sappe, invece, i detenuti che lavorano, grazie all'aumento dell'83% deciso due anni fa, possono arrivare a percepire fino a 1.200 euro. Certo, per raggiungere questa cifra, al ritmo di 7 euro l'ora, dovrebbero accumulare 36 ore settimanali. Ma se la denuncia del sindacato è vera, la loro paga non sarebbe di molto inferiore a quello che prendono gli incensurati, tutori della legge, praticamente reclusi nei penitenziari per più tempo di chi ha commesso dei crimini. Capece si sfoga così: «Siamo sottorganico, mal retribuiti, sottoposti ad aggressioni, a stress psicologici e a ogni tipo di patologia. Non sappiamo neppure di quali malattie infettive soffrano i detenuti. Facciamo un lavoro ingrato in un carcere, contenitore inutile: la società ci manda quelli che fuori non vuole». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/noi-veri-detenuti-la-rivolta-degli-agenti-penitenziari-2641669805.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-guardie-giurate-aiuto-ci-massacrano" data-post-id="2641669805" data-published-at="1757593507" data-use-pagination="False"> Le guardie giurate: «Aiuto, ci massacrano» Due mesi fa aveva denunciato alla Verità il silenzio che avvolge il «massacro» delle guardie giurate, non considerate forza pubblica ma impiegate su tutto il territorio in servizi anticrimine, senza una formazione adeguata. A pochi giorni dalla chiusura dell'anno, dopo l'ennesimo ferimento in un ospedale laziale di quelli che impropriamente vengono definiti vigilantes, Massimo Raffi, presidente dell'Agri, l'associazione guardie riunite d'Italia, afferma che «purtroppo il 2019 è stato l'anno delle aggressioni nei pronto soccorso. Siamo nel mirino i cittadini esasperati da ritardi e disservizi sanitari, ma soprattutto diventiamo le vittime preferite di extracomunitari sempre più violenti: nell'80% dei casi sono loro ad assalirci». Raffi, che da 20 anni fa questo mestiere, parla di «cambiamenti radicali» delle situazioni di pericolo quando si è in servizio di vigilanza. Se tre anni fa le guardie giurate «rischiavano grosso nelle rapine ai furgoni portavalori e se si assisteva a numerose aggressioni nei nostri confronti nei supermercati, quest'anno le battaglie perse sono negli ospedali. Perse, perché siamo impotenti davanti all'esplosione di rabbia di stranieri sotto effetto di droga e di alcol». Al pronto soccorso del Policlinico di Tor Vergata «si verifica come minimo un'aggressione al giorno. Ne sono capitate anche quattro nell'arco delle stesse 24 ore. Sui giornali non trovano spazio, deve scapparci un ferimento grave come quello avvenuto alla stazione Termini da parte di un congolese, che ha accoltellato una guardia giurata». Raffi parla degli ospedali come delle vere trincee per chi dovrebbe occuparsi della sicurezza dei pazienti, del personale medico e paramedico. «Dobbiamo cercare di calmare i familiari che non ottengono informazioni sui congiunti ricoverati, o le persone malate in attesa per ore di essere visitate. Poi arriva l'ambulanza con a bordo il gigante africano strafatto, che fa a pezzi il pronto soccorso. Due mesi fa otto sanitari, oltre alla guardia giurata, hanno riportato ferite e contusioni perché un extracomunitario aveva dato i numeri». Il presidente dell'Agri raccoglie i dati dei suoi associati, circa 700, che gli hanno segnalato 108 aggressioni in pochi mesi. «Stampa e tv ne hanno conteggiato 56, solo quelli denunciati, invece sono quasi il doppio. Se conoscessimo la situazione di tutte le 37.000 guardie particolari giurate (Gpg) che operano nel nostro Paese, sarebbe un bollettino allarmante». Per dare voce a chi viene assalito mentre è in servizio, Massimo Raffi ha creato anche la pagina Facebook «Guardia giurata Myriam», dove il nome femminile è quello di un avatar, come l'agente virtuale Lisa della polizia di Stato. Posta foto e video di aggressioni che vengono segnalate, raccomanda attenzione e invita a tenere sotto controllo persone e situazioni. «Purtroppo, solo il 10% delle 37.000 guardie sono preparate e forse l'1% di queste lo è, perché gli istituti di vigilanza si preoccupano della loro formazione con corsi appositi», spiega il responsabile Agri. «Vengono messe a presidiare il territorio persone troppo poco selezionate. Basta che sappiano leggere e scrivere e non abbiano riportato condanne, questi sono i requisiti minimi. Spesso si tratta di disoccupati, di persone che prima facevano altri mestieri e nemmeno sanno come fronteggiare un violento». Di sparare, poi, nemmeno se ne parla, potrebbero farlo per legittima difesa o per difendere un cittadino in pericolo ma la paura è di finire poi accusati di omicidio. Sui social il presidente esorta a non guardare mai il cellulare quando si è in servizio e a essere «pronti e rapidi a una eventuale difesa o richiesta di soccorso». Giuste raccomandazioni, che sarebbero comprese se le guardie giurate fossero addestrate a essere sentinelle della legalità. Commenta sulla pagina Facebook Andrea Catalano, collega di Raffi: «Ma come si fa a mantenere una buona lucidità, postura, reattività, professionalità se vivi costantemente con l'ansia?».
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)