2020-10-13
Niente mostra a Nantes: «La Cina ci censura»
(Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)
Il museo di storia della città costretto a rinviare l'installazione su Gengis Khan e l'impero mongolo in programma per il 2021. Il direttore denuncia i pesanti tentativi di «controllo» e «riscrittura» dei contenuti da parte di Pechino in cambio dei reperti.Il museo di storia di Nantes non ospiterà, nel 2021, la mostra dedicata a Gengis Khan e all'impero mongolo. Questo perché l'istituzione culturale - che ha sede nel castello appartenuto ai duchi di Bretagna - ha rifiutato di piegarsi alle pretese del governo di Pechino. L'organizzazione della mostra richiederà dunque più tempo ma, quando questa aprirà i battenti, i visitatori potranno scoprire la vera storia di questo popolo asiatico non manipolata dal partito comunista cinese.Per capire come mai è stata presa questa decisione, basta leggere il comunicato stampa diffuso dal museo di Nantes nella giornata di ieri. Nella nota, il direttore dell'istituzione culturale, Bertrand Guillet, ha spiegato che «in un primo momento, è arrivata un'ingiunzione dalle autorità centrali cinesi» per «eliminare certi vocaboli (Gengis Khan, impero e mongolo)». In un secondo tempo, ha precisato ancora il numero uno del museo di storia di Nantes, è stata annunciata una «modifica del contenuto della mostra accompagnata da una domanda di controllo» che doveva interessare «l'insieme delle nostre produzioni». Inoltre, ha aggiunto Guillet, la nuova sinossi della mostra sarebbe stata «scritta dall'ufficio del patrimonio di Pechino» che ha applicato come «una censura al progetto iniziale». La nuova versione corretta da Pechino, avrebbe incluso «elementi di rilettura tendenziosi, volti a cancellare la storia e la cultura mongole, a beneficio di un nuovo racconto della storia nazionale» della Cina.Gli organizzatori della mostra si sono rivolti agli storici e agli specialisti che collaborano con il museo di Nantes e sono giunti alla conclusione che fosse impossibile continuare a collaborare con Pechino. «Abbiamo deciso di stoppare questa produzione in nome dei valori umani, scientifici e deontologici che difendiamo nella nostra istituzione», ha concluso il direttore del museo, spiegando che sarà comunque organizzata una mostra con pezzi provenienti da collezioni europee e americane. L'episodio di Nantes non rappresenta una novità assoluta nella strategia di conquista adottata negli ultimi anni dalla Cina. In effetti l'attivismo di Pechino per estendere la propria influenza in varie aree del mondo non passa solo dal settore economico ma anche da quello culturale e addirittura da quello religioso. Ad esempio, lo scorso 15 settembre, uno dei leader del movimento pro democrazia a Hong Kong, Joshua Wong, aveva denunciato su Twitter l'infiltrazione della «propaganda nazionalista di Pechino» nell'ambito educativo. «Dopo i libri di testo che censuravano il massacro di piazza Tienanmen», ha scritto il giovane attivista hongkonghese, «ora anche nei libri di testo religiosi delle scuole primarie è stato iniettato il patriottismo». Questo perché, ha concluso Wong, gli studenti sono invitati ad «imparare da Gesù ad amare la propria nazione». In un altro tweet, il giovane militante pro democrazia ha ripreso un reportage del canale d'informazione Christian Broadcasting Network che proponeva alcuni brani estratti dai testi in questione. In uno di questi si poteva leggere: «Signore, grazie per avermi fatto nascere cinese».Sempre a settembre, il mensile Tempi aveva rivelato un'altra pesante manipolazione del messaggio evangelico operata dal regime comunista cinese. Grazie alla testimonianza di un docente cattolico cinese, si è scoperto che alcuni testi in uso nelle scuole professionali proponevano una remake surreale del passo del Vangelo di Giovanni. Nella versione «aggiustata» dal governo di Pechino, l'adultera veniva lapidata da Gesù stesso che, in pratica, diventava un omicida.Sempre durante l'estate, sui social network si era riaccesa la polemica legata alla nuova versione del film Mulan, prodotto da Disney. Anche in questo caso i manifestanti pro democrazia di Hong Kong hanno denunciato una rilettura, in senso favorevole al regime di Pechino, della storia della mitica mitica eroina cinese. Inoltre avevano anche denunciato il sostegno rivolto pubblicamente alla polizia della regione autonoma cinese dall'attrice Liu Yifei, che nel film interpreta proprio Mulan. Infatti, in un messaggio pubblicato sui social nel 2019 in occasione delle prime proteste dei militanti pro democrazia, l'attrice aveva scritto: «Sostengo la polizia di Hong Kong. Adesso potete anche attaccarmi. Che vergogna per Hong Kong».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)