2023-02-15
Vaccini, il «New York Times» denuncia la von der Leyen
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Il quotidiano più famoso del mondo intraprende un’azione legale per conoscere il contenuto dei messaggi tra la capa della Ue e il manager della Pfizer: «Basta segreti sull’acquisto di dosi per miliardi di dollari».Alla fine, per tentare di fare emergere la verità, è dovuto intervenire un giornale americano, che si è coraggiosamente assunto l’ingrato compito di colmare il clamoroso vuoto lasciato dalle istituzioni europee. La notizia è tra le più clamorose di quest’anno, e l’ha rilanciata ieri mattina Politico con un titolo brutale nella sua secchezza: «Il New York Times fa causa all’Ue per i messaggi a Pfizer di Ursula von der Leyen». Ecco i fatti, nudi e crudi. Il principale quotidiano americano, forse il più famoso al mondo, ha deciso di muovere un’azione legale contro la Commissione europea affinché si decida a mostrare i messaggi che la presidente Von der Leyen si è scambiata con Albert Bourla, ceo della multinazionale farmaceutica Pfizer. Tali messaggi, specifica Politico, «potrebbero far luce sugli accordi per l’acquisto di miliardi di euro di vaccini Covid-19».I grotteschi contorni della vicenda sono purtroppo noti. Si sa per certo che Ursula e l’amico Albert abbiano chattato, ma non è dato sapere che cosa si siano detti. Entrambi, da mesi e mesi, mantengono il più totale silenzio sulla vicenda. La Commissione - per bocca di Vera Jourová, commissario per i Valori e la trasparenza - sostiene che quelle chat siano state cancellate per via della loro «natura effimera e di breve durata». Bourla, dal canto suo, ha ripetutamente rifiutato di farsi ascoltare dal Parlamento europeo - nonostante fosse stato più volte convocato ufficialmente - e si è limitato mesi fa a inviare una sottoposta che ha pensato bene di ridere in faccia a chi le chiedeva informazioni. Una situazione imbarazzante, che dimostra evidente disprezzo nei confronti dei cittadini europei tutti: privi di vergogna, Ursula e Bourla si ostinano a tenere segreti i propri affari e le trattative che hanno arricchito mostruosamente l’azienda farmaceutica a spese dei contribuenti del Vecchio Continente. Nelle scorse settimane, persino l’Ombudsman europeo - una autorità battagliera ma secondaria che dovrebbe fare da mediatrice tra la popolazione e le istituzioni comunitarie – per bocca della responsabile Emily O’Reilly si è espresso con toni durissimi. «Siamo stati sostanzialmente ostacolati dalla Commissione. E la Commissione non ha ancora ammesso realmente che gli sms esistano, ma è chiaro che ci siano», ha detto la dirigente. E ancora: «Penso che la Commissione abbia la responsabilità di fare chiarezza, anche se questo è politicamente difficile. Perché si tratta della fiducia dei cittadini in relazione a una questione molto importante».Già: gli europei hanno diritto a sapere la verità, ma chiunque finora abbia provato a ottenerla è stato rapidamente rimbalzato. Tra i primi a farsi avanti ci sono stati alcuni media indipendenti tedeschi, poi è intervenuta la Bild (che appartiene all’editore Axel Springer esattamente come Politico), ma le azioni non sono andate a buon fine. Adesso, dunque, tocca al New York Times, che ha preso la faccenda di petto battendo le vie legali. Come scrive Politico, il quotidiano americano «affronterà gli avvocati dell’Ue nella più alta corte dell’Unione, sostenendo che la Commissione abbia l’obbligo legale di rendere noti i messaggi, che potrebbero contenere informazioni sugli accordi per l’acquisto di miliardi di euro di dosi di Covid-19». La pratica, prosegue il giornale, «è stata depositata il 25 gennaio e pubblicata lunedì nel registro pubblico della Corte di giustizia europea». Particolare curioso, quest’ultimo: ma online non sono ancora disponibili informazioni dettagliate. La trasparenza obbliga l’Ue a dare notizia del contenzioso legale. Però Ursula, in virtù del medesimo principio, non si sente obbligata a rendere pubbliche le sue conversazioni con il capo di una azienda a cui abbiamo versato una montagna di soldi. Davvero suggestivo. Per ora il New York Times ha rifiutato di rilasciare commenti in proposito, e la stessa Commissione Ue ha incredibilmente fatto finta di nulla. Ieri pomeriggio i cronisti si aspettavano che arrivassero comunicazioni o dichiarazioni durante la conferenza stampa, ma niente: ancora una volta silenzio assoluto. Ora dunque non resta che attendere la Corte di Giustizia europea, nella speranza che esista, da qualche parte, qualcuno ancora in possesso di un pizzico di dignità.Nel frattempo, tuttavia, possiamo trarre da questa storia alcune lezioni piuttosto interessanti. La prima riguarda, ovviamente, il disgustoso livello di ipocrisia a cui le istituzioni europee sono riuscite a giungere. Ursula von der Leyen, negli anni passati, non ha perso occasione per fare la morale a chiunque, per cianciare di diritti umani, rispetto delle minoranze, libertà e giustizia. Eppure continua a sputare in faccia a tutti i popoli europei di cui ha gestito in totale opacità le finanze e, soprattutto, la salute. Dai test mancanti sui sieri alla scandalosa segretezza degli accordi commerciali, l’Ue si è comportata come una succursale di Big Pharma e non come un’entità politica degna di rispetto.La seconda parte della lezione riguarda l’Italia. Dalle nostre parti ogni accenno di dibattito sulla gestione della partita vaccinale è stato militarizzato, ostracizzato, ridotto a spettacolo gladiatorio. La maggioranza dei nostri impavidi media ha inteso liquidare ogni dubbio, ogni interrogativo e ogni critica come rigurgito no vax, e per oltre tre anni questo pensiero prevalente ha dettato legge. Ora arriva il più celebre giornale al mondo a muovere un’azione legale contro le istituzioni che la nostra stampa e la nostra politica hanno servito ben oltre il limite della piaggeria. Certo, il New York Times è un giornale grande e potente (e progressista), dunque può permettersi una disinvoltura che altri possono soltanto sognare. Ma se questa causa andrà in porto riuscirà a dimostrare che i vari organismi Ue non sono soltanto inutili (come molti nostri politicanti): sono dannosi.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
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