2021-04-29
Nessun protocollo sulle Rsa, ma la Zampa incolpa le Regioni
(Antonio Masiello/Getty Images)
Dal ministero solo due circolari: impossibile per le strutture aprire in sicurezza. E intanto resta vietato riabbracciare i cari.Se le Rsa non aprono è colpa delle Regioni. L'ennesimo tentativo di scaricare sui governatori la responsabilità di non consentire ai familiari di far visita ai propri cari, ospiti delle residenze senza contatti con l'esterno da lunghissimi mesi, è arrivato dall'ex sottosegretario alla Salute, Sandra Zampa, oggi consulente del ministro Roberto Speranza. A Repubblica ha dichiarato: «Alle Regioni abbiamo detto con due circolari, una del 30 novembre e l'altra del 4 dicembre, di aprire e abbiamo spiegato come deve essere fatto». In effetti i documenti sollecitavano l'adozione di misure per «ristabilire e favorire gli accessi dei visitatori in sicurezza», ma si limitavano a «raccomandare» di promuovere strategie di screening immediato con test antigenici, e di provvedere a soluzioni tipo la Sala degli abbracci, dove un «contatto fisico sicuro può arrecare beneficio». Alcune Regioni si sono mosse secondo queste raccomandazioni, come il Trentino dove dal primo maggio ritorneranno gli abbracci nelle Rsa. Altre stanno contattando i gestori delle residenze per vedere se è possibile riaprire (come l'Emilia Romagna) o abbozzano una procedura da inviare al ministero per sbloccare le visite (come fa la Toscana). Però l'assenza di un protocollo nazionale impedisce una riapertura in sicurezza ovunque. Nelle circolari si dice «che le direzioni sanitarie debbono predisporre un piano dettagliato», ma la maggior parte delle residenze protette o case di riposo «non hanno una direzione sanitaria perché la normativa non la prevede» ha ricordato Franco Pesaresi, direttore dell'Azienda servizi alla persona Ambito 9 di Jesi, Ancona. Su luoghicura.it osserva: «Per tutte queste strutture, chi deve prendere la decisione di ammettere o meno i parenti? Il medico di medicina generale dell'ospite, o la direzione amministrativa della struttura? Ci sono stati articoli, segnalazioni al ministero, ma niente». È solo una delle tante difficoltà rimaste irrisolte. Perdurano confusione e incertezza nell'applicazione di una circolare, che peraltro non prevede il contatto fisico tra l'ospite e il familiare. Senza linee guida precise, quale responsabile di struttura può decidere di accantonare vetrate e interfono, consentendo incontri in presenza di cui potrebbe dover rispondere in ambito penale in caso di contagi, devastanti in una Rsa? «Ma oggi gli anziani delle residenze sono tutti vaccinati», esclama Dario Francolino, presidente del comitato Orsan (Open Rsa now). «Quello che ha scritto il ministero si riferisce a una situazione oggi superata. Bisogna consentire subito le visite in presenza a familiari, amici e conoscenti, elaborando un protocollo che preveda pochi requisiti ai quali attenersi». Francolino ne ha individuati alcuni, ovvero ingresso solo dopo aver fatto il tampone antigenico in farmacia (o nella struttura stessa), o se vaccinati. In entrambi i casi, se immunizzati o con tampone negativo, il distanziamento va allora azzerato. E bisogna cercare di privilegiare gli incontri in spazi all'aperto, anche all'esterno delle strutture «grazie all'aiuto dei tanti volontari che ci sono», fa sapere il presidente di Orsan. L'importante è aprire subito le Rsa, dice, per questo non condivide la proposta della vicepresidente e assessore al Welfare di Regione Lombardia, Letizia Moratti, di consentire l'ingresso solo se «sia ai parenti, sia all'ospite delle strutture stesse è stata rilasciata una delle certificazioni verdi Covid-19». La Moratti ha considerato che lasciare la regolamentazione alle direzioni sanitarie «può risultare particolarmente complesso per il non facile compito di commisurare i benefici e i rischi, con il pericolo di generare arbitrarietà decisionali difformi sul territorio». Francolino chiede invece che intervenga il ministro della Salute, in accordo con il Cts, per stilare un protocollo nazionale «entro il 3 maggio», che «azzeri i margini di discrezionalità delle singole Rsa e delle istituzioni locali» e garantisca visite in sicurezza a tutti «evitando inutili discriminazioni tra familiari vaccinati e non». Bisogna porre fine all'isolamento forzato, al quale gli anziani sono sottoposti da più di un anno, chiedono i familiari che sono costretti a vedere i loro cari attraverso divisori di plexiglass, vetri o stringendoli dietro veli di plastica che disorientano, deprimono gli anziani. Ieri la Comunità di Sant'Egidio ha reso noti i risultati di un'indagine sulla condizione degli anziani istituzionalizzati al tempo del Covid, effettuata in 240 strutture di 11 città e 10 Regioni italiane. Dati che rivelano «un'eterna zona rossa», perché il 64% delle strutture esaminate non consente alcun tipo di visita, addirittura solo il 15% ammette amici e volontari; la cosiddetta stanza degli abbracci «dopo un anno è presente in meno del 20% delle strutture esaminate»; il servizio delle videochiamate, semplice da realizzare, è presente in meno della metà delle strutture. In molte, l'accesso è permesso solo poco prima che l'anziano venga dichiarato morto.