2020-09-03
Neppure l’Fbi si beve il Mifsud spia russa
Interrogato nel 2017, il misterioso professore della Link University scomparso nega legami con il Cremlino. Ma il Bureau non lo incalza e si limita a poche domande. Strano per una sospetta barba finta. Un'altra picconata alle accuse contro The Donald.Il nome di Joseph Mifsud torna a fare capolino oltreatlantico. Secondo quanto riportato ieri dal sito di Fox News, sono stati desecretati nuovi documenti dell'Fbi che hanno al centro proprio il misterioso professore, del quale si sono perse le tracce, che incontrò George Papadopoulos nel 2016 a Roma e a Londra. Nel dettaglio, si tratta del riassunto dell'interrogatorio a cui il docente - legato alla Link Campus University - venne sottoposto in un albergo dal Bureau l'11 febbraio del 2017. Ricordiamo che, al momento, c'è grande confusione su Mifsud, proprio perché non è chiaro per chi lavorasse. Secondo gli avversari di Trump, il professore era un agente russo che aveva offerto a Papadopoulos del materiale compromettente su Hillary Clinton, per danneggiarne la candidatura. Secondo ambienti vicini al presidente, Mifsud avrebbe invece agito per conto dei servizi segreti occidentali, con l'obiettivo di confezionare una polpetta avvelenata ai danni dell'allora candidato repubblicano. Quanto emerge dai documenti appena desecretati è innanzitutto che il professore aveva negato di essere un agente del Cremlino. «Mifsud», si legge nelle carte, «ha dichiarato di non aver avuto alcuna conoscenza anticipata che la Russia fosse in possesso di email dal Comitato nazionale del Partito Democratico e, quindi, non ha fatto offerte o fornito alcuna informazione a Papadopoulos. Costoro parlarono di sicurezza informatica e hacking come un problema più ampio. Papadopoulos deve aver equivocato la loro conversazione». Si precisa poi che Olga Polenskaia, presente all'incontro londinese tra i due, fosse una studentessa della Link Campus. Ora, l'aspetto interessante di questo documento non risiede tanto nel fatto che il professore abbia negato di essere un agente russo, quanto in altri elementi «di contorno». Come ricordato, i sostenitori del Russiagate hanno sempre additato Mifsud come una spia del Cremlino. Nel maggio del 2019, l'ex direttore dell'Fbi, James Comey, definì sul Washington Post il docente - pur senza nominarlo - un «agente russo». Tutto questo, mentre il procuratore speciale, Robert Mueller, ha frequentemente sottolineato nel suo rapporto i «legami» di Mifsud con Mosca (pur senza mai arrivare tuttavia a definirlo esplicitamente un «agente russo»). Quelli che dunque non sono chiari sono due elementi. Se l'Fbi considerava il docente una spia di Mosca o comunque una figura strettamente legata al Cremlino, non si capisce innanzitutto l'estrema brevità dell'interrogatorio a cui il diretto interessato venne sottoposto. In secondo luogo, non è affatto chiaro per quale ragione, nel corso di questo stesso interrogatorio, non siano state formulate domande proprio sulle sue presunte connessioni con il Cremlino. Chiaramente questi punti interrogativi non bastano da soli a sconfessare la tesi secondo cui il professore agisse per conto di Mosca. Ma non consentono neppure di avvalorarla. Certo: va ricordato che, il mese scorso, un rapporto della commissione Intelligence del Senato abbia teso a presentare Mifsud come un probabile agente russo. Ma è altrettanto doveroso sottolineare come lo stesso rapporto (a pagine 468) ammetta che la commissione avesse una conoscenza limitata delle attività del docente. Insomma, la nebbia stenta ancora a diradarsi sul professore maltese. Non sarà un caso che il procuratore John Durham si sia molto concentrato sulla sua figura nel corso della controinchiesta sul caso Russiagate: controinchiesta di cui alcuni risultati potrebbero essere rivelati già tra qualche settimana. Anche in tal senso, domenica scorsa, il director of National Intelligence, John Ratcliffe, ha reso noto di essersi coordinato con lo stesso Durham, nell'ambito della sua indagine. «[Durham] sta guardando gli stessi documenti cui sto guardando io. Non condivide le sue scoperte o il lavoro che sta facendo. Ma mi sto coordinando con lui per assicurarmi che abbia i documenti di intelligence di cui ha bisogno per svolgere il suo lavoro. E quello che non voglio fare è declassificare qualcosa che potrebbe pregiudicare il suo lavoro», ha detto Ratcliffe. Del resto, già l'anno scorso, il repubblicano Devin Nunes, membro della commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti, aveva inviato una lettera al segretario di Stato, Mike Pompeo, e alla direttrice della Cia, Gina Haspel, per ottenere tutte le informazioni a disposizione sul misterioso docente maltese. Tutto questo mostra come Donald Trump si stia muovendo su più livelli per portare a compimento la controinchiesta sul Russiagate. Il presidente americano spera infatti in risultati concreti prima delle presidenziali del 3 novembre: risultati da poter eventualmente utilizzare durante la campagna elettorale. Ed è sempre più chiaro come l'indagine trovi proprio in Mifsud uno dei suoi possibili perni. Un coinvolgimento dell'Italia si fa quindi sempre meno improbabile.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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