2019-11-29
Neonata lasciata morire di fame nel campo rom
La piccola, cinque mesi, viveva in un insediamento alla Magliana. Vano il soccorso del 118. Indagati i genitori: sul corpicino della bimba segni di malnutrizione. Si conferma l'immobilismo di Roma e dello Stato davanti a un problema sempre più grave.È morta senza avere conosciuto il calore di un sorriso. È morta all'alba in un campo nomadi della Magliana, dove Roma diventa tangenziale, e niente hanno potuto fare i volontari del 118 per salvarla. Aveva cinque mesi e ha smesso di respirare in mezzo al degrado al culmine di una vessazione che si chiama malnutrizione. I genitori non le davano da mangiare, non abbastanza per sopravvivere, e il pm che ha aperto il fascicolo li ha indagati per maltrattamenti in famiglia. È tutto qui, la cronaca di una bambina che se ne va così nel cuore dell'Europa del 2019 si conclude qui. Termina con lo guardo esterrefatto di quei medici e di quei carabinieri intervenuti per provare a cogliere nell'ultimo respiro della piccola un segno di speranza. Quel che resta è la frustrazione, è la palude, è la follia sociale che circonda una realtà priva di regole e di senso. E che conferma l'immobilismo dell'amministrazione di Roma davanti a un problema sempre più grande e imbarazzante: quello dei campi rom abbandonati a se stessi. Perimetri di illegalità, piccole fortezze nelle quali lo Stato preferisce non entrare in nome di un malinteso senso dell'autodeterminazione e della pietà. Siamo bravi quando chiediamo per i rom libertà e autonomia, discrezionalità e rispetto per scelte dettate da tradizioni millenarie. Lo siamo molto meno quando lasciamo che tutto questo si trasformi in lassismo, quando il sopruso e la violenza sorda diventano legge in quei tuguri e fra quelle pareti di lamiera dove la civiltà non riesce a entrare. Quando il nostro disinteresse è complice nel trasformare in normalità quelle vite ai margini del buonsenso e della legalità.Durante il primo governo Conte, l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini aveva posto l'obiettivo di censire i campi nomadi, di chiudere quelli abusivi sotto ogni standard minimo di vivibilità e di «porre l'attenzione sulle situazioni di illegalità e di degrado che frequentemente si registrano negli insediamenti e che spesso configurano un concreto pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica». L'intento era quello di monitorare gli insediamenti, la loro densità abitativa, le condizioni dei campi (presenza di reti idriche, elettriche e fognarie, allacci abusivi), il numero dei minori in stato di indigenza e le percentuali di abbandono scolastico. Il piano fu subito contrastato in nome della libertà etnica e linguistica, fu definito anticostituzionale. Il titolare fu ridicolizzato come uomo delle ruspe. E il sindaco di Roma, Virginia Raggi, diventò un involontario totem sociale della sinistra nel difendere le favelas. Quelle come il campo rom di via Candoni dove la bimba di cinque mesi è morta di stenti senza un grido, senza un gesto di pietà, senza un sussulto di rabbia da parte di una comunità sfuggente e omertosa.In Italia 170.000 persone si identificano come rom, sinti e caminanti, tre sottogruppi uniti dalla lingua romanì e dalle sue varie declinazioni lessicali. Di queste, 70.000 sono italiane, discendenti da famiglie rom insediatesi ancora nel Cinquecento. Gli altri provengono dalla Romania, che è Paese comunitario quindi i suoi cittadini sono considerati regolari, impossibili da espellere, soprattutto per ragioni etniche. Nel nostro Paese ci sono meno rom che in Francia o in Spagna, ma sono più visibili perché le amministrazioni come quella capitolina non riescono a gestire la loro presenza. Siamo il «Paese dei campi» e delle emergenze abitative e sanitarie: baracche con condizioni igieniche impossibili, povertà dietro alla quale si nasconde il malaffare, un intrico di disperazione e di illegalità.Se parliamo di minori siamo all'emergenza più totale. Solo nell'ultimo anno a Foggia sei rom facevano prostituire ragazzine dopo averle ridotte in schiavitù e a Torino un bambino di otto anni è stato abbandonato in mezzo a una strada dai genitori. Vagava da solo al freddo e ai poliziotti che lo hanno fermato ha detto: «Papà e mamma non mi vogliono». L'anno scorso in un campo di Modena un bimbo di quattro anni è morto per una crisi respiratoria. In passato si ricorda il caso di due neonati che hanno perso la vita per assideramento in periferia di Firenze e di Milano. Piangerli è spontaneo e doveroso, lasciare che dal giorno dopo tutto scorra nell'indifferenza è politicamente criminale. In questo, il cinismo dell'amministrazione romana è esemplare, passa di fallimento in fallimento. La Raggi ha varato un piano rom per la scolarizzazione con l'impegno di incrementare e qualificare la presenza scolastica dalla scuola d'infanzia fino alla conclusione del percorso formativo. Prima del varo del piano i bambini rom e sinti che risultavano iscritti erano 1.990. Dopo 940. Mille persi per strada in pochi anni e nessuno si è mai scomodato ad andare a cercarli. Anche se farlo è quasi impossibile perché nel frattempo possono essere stati venduti, ridotti in schiavitù, mandati sul marciapiede a prostituirsi o avviati al furto. Ogni storia è personale, ogni salvataggio ha un nome e forse un cognome, certamente un volto. Vicende da premio letterario o da film, riscatto di periferia. Ma coloro che non entrano nella pellicola o non si trasformano in violinisti perché non trovano Meryl Streep che insegna loro a suonare, hanno il destino scritto. Ed è di quelli che lo Stato ipocrita e inconcludente non riesce a occuparsi. Semplicemente non riesce a salvarli. C'è una neonata morta in un campo rom della Magliana. Nessuno ha niente da dire?
Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lombardia (Ansa)
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