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2024-10-31
Nella rete degli spioni spunta pure il grillino «appoggiato» da Baffino
Enrico Pazzali (Ansa)
Per allargare il campo del loro raggio di azione i componenti della presunta cricca accusata dalla Procura di Milano di innumerevoli episodi di accesso abusivo a sistema informatico non puntavano sui politici di destra come molti pensano in virtù del ruolo di Enrico Pazzali al vertice della Fondazione Fiera Milano, controllata dalla Regione Lombardia. Dalle intercettazioni infatti spunta anche il nome di un pezzo da novanta dei 5stelle, l’ex sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo. È il 19 gennaio del 2023, quando in una intercettazione ambientale gli investigatori sentono l’ex superpoliziotto Carmine Gallo e Samuele Calamucci parlare «del rapporto di quest’ultimo con l’ex deputato Angelo Tofalo». Calamucci dice a Gallo: «Ho chiamato Angelo Tofalo», ma il suo interlocutore non sa chi sia l’ex parlamentare. Calamucci gli dice che è un ex deputato, poi spiega: «Allora perché ho chiamato lui, perché lui quando io fornivo come ausiliario al Dis le informazioni, lui era quello che ci organizzava i servizi. È un mio pari corso, solo che lui ha fatto carriera a spinta adesso è ancora giù a Roma, e gli ho detto, lui, questo è la persona che ha fatto il centro di cyber intelligence e lo Sdi in Italia». Secondo gli investigatori Calamucci si sarebebbe confidato con Tofalo circa la piattaforma che gli uomini della Equalize, anche riguardo alla «presenza sulla stessa di dati riservati esfiltrati dalle Banche dati strategiche nazionali: «Soc, Interforze, lui ha messo insieme tutte e 4 le forze, facciamo un’ora di videochiamata […] noi sai che abbiamo fatto la piattaforma e con lui c’è un rapporto proprio aperto. Ho questo problema, gli faccio, io gli addetti ai lavori, quindi tu […] , se lo do ad un cliente, cosa devo menzionare per non andare nella merda? mi fa, non devi menzionare, anche se lo sai mi fa! le notizie di reato fresche e mi fa e tutto quello che pubblicamente quella persona potrebbe richiedere con le sue facoltà. Quindi se tu vai a chiederti i carichi pendenti di te stesso, capo, non ti viene fuori». Calamucci avrebbe informato anche Pazzali del suo rapporto con Tofalo, che in base agli accertamenti svolti dagli uomini del nucleo investigativo dei carabinieri di Varese, sarebbe in contatto Mirko Lapi presidente di Osint Italia (associazione attiva nel settore dell’Open source intelligence), definito «soggetto legato all’intelligence». Su Lapi gli investigatori annotano che «esistono rapporti confermati e riscontrati tra questi e membri e fiancheggiatori del gruppo di via Pattari», dove ha sede la Equalize. In un’intercettazione Calamucci sostene che Lapi, proveniente dall’esercito, commercerebbe anche lui informazioni: «Mirko è uscito dall’Esercito e ha aperto la scuola... mi fa sì sì loro hanno sempre avuto le attività d’informazione dell’Esercito, Mirko le vendeva attraverso […]». In un’altra intercettazione Calamucci racconta a Massimiliano Camponovo «delle sponde politiche« di Lapi, che sarebbe sponsorizzato dall’ex premier Massimo D’Alema: «Ok... perché fa le consulenze lì te lo spiego velocemente... perché Mirko era un 5 stelle […] appoggiato da D’Alema. D’Alema è il capo della consulenza di Rci e gli dice «metchati» con Saccone (Umberto, ex dirigente del Sismi, attualmente consulente senior di
Ernst & Young, ndr) perché Saccone è sempre stato nel loro ambito e fatta sta roba e mi fai ..(incomprensibile)...e Saccone fa quella cosa che “Zio Bello” (Pazzali, ndr) dice ma no ma non la farà mai nessuno. Poi aggiunge: «L’han fatta perché li hanno comprati per 5 milioni tra le altre cose... e Saccone c’ha il contratto di consulenza che gli scade nel 2024...». Difficile capire se si tratti di millanterie per acquisire prestigio e credito, esattamente come accade per alcuni dei dossier commissionati da Pazzali al suo socio nella Equalize, Gallo e a Camponovo. Ad esempio quello richiesto il 17 novembre del 2023, secondo Pazzali per dare informazioni ad Angela Cossellu, da gennaio 2022 a maggio 2024 amministratore delegato di Eur spa, carica che Pazzali ha ricoperto dal 2016 a gennaio 2020. I due manager si conosco, perché entrambi hanno lavorato in passato a Vodafone. Le informazioni chieste da Pazzali riguardavano gli affittuari di un immobile di proprietà di Eur, che sarebbero stati morosi e, secondo il manager, in qualche modo collegati ai clan di Ostia: «La stanno... la stanno intortando, cioè intortando non nel senso coinvolgendo, la stanno truffando, non le stanno facendo capire questa cosa qua e se poi succede una roba del genere va nelle grane». Pazzali chiosa: «La voglio tutelare e dirgli guarda […] documentato da cose concrete». Dalle intercettazioni, però, non emerge alcun riscontro che le informazioni siano state trasmesse durante le conversazioni di Pazzali con la sua ex collega e Eur spa non figura nell’elenco dei clienti della Equalize ricostruito dagli investigatori.
Piantedosi cauto sul dl banche dati
Ci vorrà del tempo per capire che strada prenderà l’inchiesta della procura di Milano su Equalize, l’agenzia di business intelligence che avrebbe messo a repentaglio «la sicurezza nazionale» e «la nostra democrazia». A quanto pare non c’è fretta né a livello di governo, né a livello giudiziario di fare chiarezza al più presto su una vicenda che, stando alle indagini, presenta svariati fatti inquietanti agli occhi dell’opinione pubblica, nello specifico la facilità con cui l’ex superpoliziotto Carmine Gallo e il braccio operativo Samuele Calamucci avrebbero avuto acceso abusivamente alle banche strategiche nazionali, sottraendo dati sensibili. E così, mentre si ipotizza che il tribunale del riesame si esprima solo tra due settimane sulle nuove richieste di custodia cautelare per gli indagati (tra cui il titolare di Equalize Enrico Pazzali), martedì sera il Consiglio dei ministri presentava all’ordine del giorno la voce «misure urgenti in materia di ordinamento giudiziario, di personale di magistratura, di incarichi dirigenziali e di competenza investigativa sulla criminalità informatica». Un’ora dopo è scomparso. Non se n’è saputo più nulla, se non in alcuni retroscena a Montecitorio e poi riportati sui i quotidiani. In pratica ci sarebbe stata una forte indecisione da parte del governo su chi dovesse essere il destinatario di maggiori poteri sulla cybersicurezza. La procura nazionale antimafia guidata da Giovanni Melillo (che coordina l’inchiesta Equalize) o l’agenzia per la Cybersicurezza diretta da Bruno Frattasi? A livello ufficiale questo scontro non viene confermato. Di sicuro il caso sui dossieraggi sollevato dalla Procura di Milano pone diverse questioni, che forse hanno bisogno di tempo per essere risolte. C’è il caso delle possibili ingerenze dei servizi segreti stranieri e di cessioni di informazioni persino agli hacker di Anonymous. Ma c’è pure un tema squisitamente tecnico: a quanto pare in Italia non ci sono alert in caso di intrusioni abusive nei database strategici nazionali, né una tracciabilità seria su chi accede a dati che non sono protetti con una crittografia all’avanguardia. Sta di fatto che ieri mattina il numero uno del Viminale Matteo Piantedosi ha smentito l’urgenza di un nuovo decreto. «La sicurezza in Italia non è a rischio, ci sono dei presidi da dover tenere fermi, degli alert da migliorare, c'è un'indagine, ma non è il caso di lanciare messaggi fuorvianti. Sono testimone del fatto che, ad esempio, le banche dati del Ministero dell’Interno si stanno rivelando sicure, non ci risultano hackeraggi dall’esterno. Certo, ci deve essere una gestione più attenta e meno incline a prestarsi ad utilizzi distorti», ha spiegato durante una visita a Campobasso. Anzi, secondo Piantedosi, che attende l’esito delle indagini, «il quadro normativo attuale, come qualcuno autorevolmente ha già detto, è già abbastanza strutturato e importante nel nostro Paese. Ci sono istituzioni importanti che sono a presidio della sicurezza cyber». Rispetto all’inchiesta invece, come noto, la Direzione distrettuale antimafia ha presentato ricorso nei giorni scorsi contro la decisione del gip Fabrizio Filice che su 16 posizioni ha disposto solo quattro misure di domiciliari e due interdittive, non applicando alcuna custodia cautelare per Pazzali. Ora ne ha richieste 13, tra cui il carcere per Gallo e Calamucci e i domiciliari per il presidente di Fondazione Fiera. A metà mese Pazzali, difeso da Federico Cecconi e Fabio Giarda, saprà di più del suo destino. Eppure Filice nell’ordinanza di custodia cautelare aveva già spiegato perché aveva concesso gli arresti domiciliari solo per il superpoliziotto e l’ex hacker di Anonymous come per il maresciallo della Guardia di finanza Giuliano Schiano e il carabiniere Marco Malerba. Perché «una misura cautelare personale nei confronti di Pazzali, pure richiesta dal Pm» scrive il gip «sarebbe in sé del tutto insufficiente e anzi completamente ininfluente ai fini della prosecuzione, o meno, dell’attività criminosa; mentre, d’altro canto, una volta interrotta l’attività criminosa, mediante l’adozione di presidi personali e reali nei confronti dei quattro indagati principali, domini di Equalize, e della struttura societaria e aziendale del gruppo, tale misura non è necessaria, non aggiungendo nulla in termini di funzionalità cautelare e risolvendosi, quindi, unicamente in una anticipazione del giudizio di merito e dell’eventuale condanna». Oggi nel frattempo saranno sentiti dagli inquirenti Calamucci, Gallo e due esponenti delle forze dell’ordine.
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Samuele Calamucci, braccio operativo della Equalize di Enrico Pazzali, puntava sull’ex sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo e su Mirko Lapi: «È del M5s ma lo sponsorizza Massimo D’Alema. Era nell’esercito e vende informazioni». Per il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi «il quadro normativo attuale è abbastanza strutturato». Prevista per metà novembre la decisione del Riesame sul ricorso della Procura. Lo speciale contiene due articoli. Per allargare il campo del loro raggio di azione i componenti della presunta cricca accusata dalla Procura di Milano di innumerevoli episodi di accesso abusivo a sistema informatico non puntavano sui politici di destra come molti pensano in virtù del ruolo di Enrico Pazzali al vertice della Fondazione Fiera Milano, controllata dalla Regione Lombardia. Dalle intercettazioni infatti spunta anche il nome di un pezzo da novanta dei 5stelle, l’ex sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo. È il 19 gennaio del 2023, quando in una intercettazione ambientale gli investigatori sentono l’ex superpoliziotto Carmine Gallo e Samuele Calamucci parlare «del rapporto di quest’ultimo con l’ex deputato Angelo Tofalo». Calamucci dice a Gallo: «Ho chiamato Angelo Tofalo», ma il suo interlocutore non sa chi sia l’ex parlamentare. Calamucci gli dice che è un ex deputato, poi spiega: «Allora perché ho chiamato lui, perché lui quando io fornivo come ausiliario al Dis le informazioni, lui era quello che ci organizzava i servizi. È un mio pari corso, solo che lui ha fatto carriera a spinta adesso è ancora giù a Roma, e gli ho detto, lui, questo è la persona che ha fatto il centro di cyber intelligence e lo Sdi in Italia». Secondo gli investigatori Calamucci si sarebebbe confidato con Tofalo circa la piattaforma che gli uomini della Equalize, anche riguardo alla «presenza sulla stessa di dati riservati esfiltrati dalle Banche dati strategiche nazionali: «Soc, Interforze, lui ha messo insieme tutte e 4 le forze, facciamo un’ora di videochiamata […] noi sai che abbiamo fatto la piattaforma e con lui c’è un rapporto proprio aperto. Ho questo problema, gli faccio, io gli addetti ai lavori, quindi tu […] , se lo do ad un cliente, cosa devo menzionare per non andare nella merda? mi fa, non devi menzionare, anche se lo sai mi fa! le notizie di reato fresche e mi fa e tutto quello che pubblicamente quella persona potrebbe richiedere con le sue facoltà. Quindi se tu vai a chiederti i carichi pendenti di te stesso, capo, non ti viene fuori». Calamucci avrebbe informato anche Pazzali del suo rapporto con Tofalo, che in base agli accertamenti svolti dagli uomini del nucleo investigativo dei carabinieri di Varese, sarebbe in contatto Mirko Lapi presidente di Osint Italia (associazione attiva nel settore dell’Open source intelligence), definito «soggetto legato all’intelligence». Su Lapi gli investigatori annotano che «esistono rapporti confermati e riscontrati tra questi e membri e fiancheggiatori del gruppo di via Pattari», dove ha sede la Equalize. In un’intercettazione Calamucci sostene che Lapi, proveniente dall’esercito, commercerebbe anche lui informazioni: «Mirko è uscito dall’Esercito e ha aperto la scuola... mi fa sì sì loro hanno sempre avuto le attività d’informazione dell’Esercito, Mirko le vendeva attraverso […]». In un’altra intercettazione Calamucci racconta a Massimiliano Camponovo «delle sponde politiche« di Lapi, che sarebbe sponsorizzato dall’ex premier Massimo D’Alema: «Ok... perché fa le consulenze lì te lo spiego velocemente... perché Mirko era un 5 stelle […] appoggiato da D’Alema. D’Alema è il capo della consulenza di Rci e gli dice «metchati» con Saccone (Umberto, ex dirigente del Sismi, attualmente consulente senior diErnst & Young, ndr) perché Saccone è sempre stato nel loro ambito e fatta sta roba e mi fai ..(incomprensibile)...e Saccone fa quella cosa che “Zio Bello” (Pazzali, ndr) dice ma no ma non la farà mai nessuno. Poi aggiunge: «L’han fatta perché li hanno comprati per 5 milioni tra le altre cose... e Saccone c’ha il contratto di consulenza che gli scade nel 2024...». Difficile capire se si tratti di millanterie per acquisire prestigio e credito, esattamente come accade per alcuni dei dossier commissionati da Pazzali al suo socio nella Equalize, Gallo e a Camponovo. Ad esempio quello richiesto il 17 novembre del 2023, secondo Pazzali per dare informazioni ad Angela Cossellu, da gennaio 2022 a maggio 2024 amministratore delegato di Eur spa, carica che Pazzali ha ricoperto dal 2016 a gennaio 2020. I due manager si conosco, perché entrambi hanno lavorato in passato a Vodafone. Le informazioni chieste da Pazzali riguardavano gli affittuari di un immobile di proprietà di Eur, che sarebbero stati morosi e, secondo il manager, in qualche modo collegati ai clan di Ostia: «La stanno... la stanno intortando, cioè intortando non nel senso coinvolgendo, la stanno truffando, non le stanno facendo capire questa cosa qua e se poi succede una roba del genere va nelle grane». Pazzali chiosa: «La voglio tutelare e dirgli guarda […] documentato da cose concrete». Dalle intercettazioni, però, non emerge alcun riscontro che le informazioni siano state trasmesse durante le conversazioni di Pazzali con la sua ex collega e Eur spa non figura nell’elenco dei clienti della Equalize ricostruito dagli investigatori.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nella-rete-degli-spioni-2669549465.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piantedosi-cauto-sul-dl-banche-dati" data-post-id="2669549465" data-published-at="1730385398" data-use-pagination="False"> Piantedosi cauto sul dl banche dati Ci vorrà del tempo per capire che strada prenderà l’inchiesta della procura di Milano su Equalize, l’agenzia di business intelligence che avrebbe messo a repentaglio «la sicurezza nazionale» e «la nostra democrazia». A quanto pare non c’è fretta né a livello di governo, né a livello giudiziario di fare chiarezza al più presto su una vicenda che, stando alle indagini, presenta svariati fatti inquietanti agli occhi dell’opinione pubblica, nello specifico la facilità con cui l’ex superpoliziotto Carmine Gallo e il braccio operativo Samuele Calamucci avrebbero avuto acceso abusivamente alle banche strategiche nazionali, sottraendo dati sensibili. E così, mentre si ipotizza che il tribunale del riesame si esprima solo tra due settimane sulle nuove richieste di custodia cautelare per gli indagati (tra cui il titolare di Equalize Enrico Pazzali), martedì sera il Consiglio dei ministri presentava all’ordine del giorno la voce «misure urgenti in materia di ordinamento giudiziario, di personale di magistratura, di incarichi dirigenziali e di competenza investigativa sulla criminalità informatica». Un’ora dopo è scomparso. Non se n’è saputo più nulla, se non in alcuni retroscena a Montecitorio e poi riportati sui i quotidiani. In pratica ci sarebbe stata una forte indecisione da parte del governo su chi dovesse essere il destinatario di maggiori poteri sulla cybersicurezza. La procura nazionale antimafia guidata da Giovanni Melillo (che coordina l’inchiesta Equalize) o l’agenzia per la Cybersicurezza diretta da Bruno Frattasi? A livello ufficiale questo scontro non viene confermato. Di sicuro il caso sui dossieraggi sollevato dalla Procura di Milano pone diverse questioni, che forse hanno bisogno di tempo per essere risolte. C’è il caso delle possibili ingerenze dei servizi segreti stranieri e di cessioni di informazioni persino agli hacker di Anonymous. Ma c’è pure un tema squisitamente tecnico: a quanto pare in Italia non ci sono alert in caso di intrusioni abusive nei database strategici nazionali, né una tracciabilità seria su chi accede a dati che non sono protetti con una crittografia all’avanguardia. Sta di fatto che ieri mattina il numero uno del Viminale Matteo Piantedosi ha smentito l’urgenza di un nuovo decreto. «La sicurezza in Italia non è a rischio, ci sono dei presidi da dover tenere fermi, degli alert da migliorare, c'è un'indagine, ma non è il caso di lanciare messaggi fuorvianti. Sono testimone del fatto che, ad esempio, le banche dati del Ministero dell’Interno si stanno rivelando sicure, non ci risultano hackeraggi dall’esterno. Certo, ci deve essere una gestione più attenta e meno incline a prestarsi ad utilizzi distorti», ha spiegato durante una visita a Campobasso. Anzi, secondo Piantedosi, che attende l’esito delle indagini, «il quadro normativo attuale, come qualcuno autorevolmente ha già detto, è già abbastanza strutturato e importante nel nostro Paese. Ci sono istituzioni importanti che sono a presidio della sicurezza cyber». Rispetto all’inchiesta invece, come noto, la Direzione distrettuale antimafia ha presentato ricorso nei giorni scorsi contro la decisione del gip Fabrizio Filice che su 16 posizioni ha disposto solo quattro misure di domiciliari e due interdittive, non applicando alcuna custodia cautelare per Pazzali. Ora ne ha richieste 13, tra cui il carcere per Gallo e Calamucci e i domiciliari per il presidente di Fondazione Fiera. A metà mese Pazzali, difeso da Federico Cecconi e Fabio Giarda, saprà di più del suo destino. Eppure Filice nell’ordinanza di custodia cautelare aveva già spiegato perché aveva concesso gli arresti domiciliari solo per il superpoliziotto e l’ex hacker di Anonymous come per il maresciallo della Guardia di finanza Giuliano Schiano e il carabiniere Marco Malerba. Perché «una misura cautelare personale nei confronti di Pazzali, pure richiesta dal Pm» scrive il gip «sarebbe in sé del tutto insufficiente e anzi completamente ininfluente ai fini della prosecuzione, o meno, dell’attività criminosa; mentre, d’altro canto, una volta interrotta l’attività criminosa, mediante l’adozione di presidi personali e reali nei confronti dei quattro indagati principali, domini di Equalize, e della struttura societaria e aziendale del gruppo, tale misura non è necessaria, non aggiungendo nulla in termini di funzionalità cautelare e risolvendosi, quindi, unicamente in una anticipazione del giudizio di merito e dell’eventuale condanna». Oggi nel frattempo saranno sentiti dagli inquirenti Calamucci, Gallo e due esponenti delle forze dell’ordine.
Elon Musk (Ansa)
La controffensiva del magnate galvanizza X. Viktor Orbán scrive che «l’attacco della Commissione dice tutto. Quando i padroni di Bruxelles non riescono a spuntarla nel dibattito, arrivano alle multe. L’Europa ha bisogno della libertà d’espressione, non di burocrati non eletti che decidono cosa possiamo leggere o dire. Giù il cappello per Elon Mask perché ha tenuto il punto». Geert Wilders, leader sovranista olandese, se la prende con l’esecutivo di Ursula von der Leyen: «Nessuno vi ha eletto», twitta. «Non rappresentate nessuno. Siete un’istituzione totalitaria e non riuscite nemmeno a dividere in sillabe le parole “libertà d’espressione”. Non dovremmo accettare la multa a X, semmai abolire la Commissione Ue». Musk applaude: «Assolutamente! La Commissione Ue venera il dio della burocrazia, che soffoca il popolo d’Europa».
Oltreoceano, intanto, parte la rappresaglia. Reuters riferisce che il Dipartimento di Stato studia una stretta sui visti per chi si è reso «responsabile o complice della censura o del tentativo di censura di espressioni protette negli Stati Uniti». A cominciare dai fact checker dei social. Il vice di Marco Rubio, Christopher Landau, reduce dalle accuse di filocastrismo a Federica Mogherini, lancia poi una sorta di ultimatum: «O le grandi nazioni d’Europa sono nostri partner nella protezione della civiltà occidentale che abbiamo ereditato da loro, oppure non lo sono. Ma non possiamo fingere di essere partner mentre quelle nazioni permettono alla burocrazia non eletta, antidemocratica e non rappresentativa dell’Ue a Bruxelles di perseguire politiche di suicidio di civiltà». Il diplomatico lamenta: i medesimi Paesi, «quando indossano il cappello della Nato, insistono sulla cooperazione transatlantica come elemento centrale della sicurezza. Ma quando hanno il cappello dell’Ue portano avanti ogni sorta di agenda che spesso è totalmente contraria agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti».
La lite scoppia, appunto, a 24 ore dalla pubblicazione del testo con cui la Casa Bianca ha ridefinito le proprie priorità. I media italiani lo hanno recepito con sgomento. Il Corriere, ieri, parlava di «attacco choc all’Europa». Secondo Repubblica, «Trump scarica l’Europa». La Stampa era listata a lutto: «Addio Europa, strappo americano». «Con la National security strategy di Trump l’America è ufficialmente un avversario», recitava l’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio.
La Commissione Ue ha rivendicato la sua autonomia: decidiamo noi per noi, anche su libertà d’espressione e «ordine internazionale fondato sulle regole». Nel documento di Washington, ha ammesso Kaja Kallas, «ci sono molte critiche, ma credo che alcune siano anche vere. Se si guarda all’Europa, si nota che ha sottovalutato il proprio potere nei confronti della Russia. Dovremmo avere più fiducia in noi stessi. Gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato». Piccato il premier polacco, Donald Tusk: l’Europa, ha spiegato agli «amici americani», è « il vostro più stretto alleato». E «abbiamo nemici comuni. A meno che non sia cambiato qualcosa». Lucida l’analisi di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa ha sottolineato che lo spostamento del fulcro degli interessi strategici Usa, dal Vecchio continente all’Indo-Pacifico, era una «traiettoria evidente già prima dell’avvento di Trump, che ha soltanto accelerato un percorso irreversibile». Quando il processo è cominciato, non tutti erano attenti: nel 2000, George W. Bush fece rientrare diverse unità di stanza in Germania; Barack Obama richiamò un paio di brigate, per un totale di 8.000 soldati. E fu lui a stabilire che il futuro «perno» (pivot) della politica statunitense sarebbe stato l’Asia. The Donald, peraltro, ci ha tenuto a precisare che «l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti». Crosetto ha insistito sulla necessità di mobilitare, insieme al resto dell’Unione, gli «investimenti pubblici e privati» necessari a «recuperare il tempo perso su tecnologie fondamentali» per diventare militarmente autosufficienti.
Ma se qualcuno ha invocato la collaborazione tra Stati membri per mettere in pratica un caposaldo del piano Trump (l’Europa deve imparare a «reggersi in piedi da sola», recita il manifesto), qualcun altro ha approfittato dello «choc» di cui sul Corsera per rilanciare il vecchio pallino: l’alleanza con Pechino. Da più Europa a più Cina è un attimo.
Ne ha discusso sul quotidiano di Torino, col pretesto di contestare il protezionismo del golden power, l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Dimenticando che la penetrazione dei capitali del Dragone equivale a un commissariamento dei nostri asset.
L’intervento di Romano Prodi sul Messaggero, invece, più che malevolo è apparso surreale. In sintesi: siccome quel puzzone del tycoon si mette d’accordo con le autocrazie, noi dobbiamo... metterci d’accordo con un’autocrazia. «Finora», ha notato l’ex premier, «soltanto la Cina sta preparando una strategia alternativa, non solo usando le terre rare come arma di guerra ma, soprattutto, sostituendo il mercato americano con un’accresciuta presenza in tutto il resto del mondo». È in questo spazio che, a suo avviso, dovrebbero incunearsi gli europei. Per evitare «il collasso finale di quello che resta della globalizzazione», sostiene Prodi. In funzione di utili idioti, temiamo noi. Peccato che, ha sospirato il fondatore dell’Ulivo, né l’Ue né i dirigenti di Pechino sembrino «in grado di preparare la strada per arrivare al necessario compromesso». Alla faccia degli infausti vaticini di Trump: se è così, possiamo ancora salvarci.
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