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2018-10-10
Nella giornata contro la pena di morte il parlamento dà il microfono a Teheran
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ANSA
Una sinistra coincidenza. Mentre in tutto il mondo si celebrava la giornata mondiale contro la pena di morte, alla Camera dei deputati interveniva una delegazione dell'Iran, il Paese dove è stato registrato nel 2017 il maggior numero di esecuzioni capitali: più della metà (51%) di tutte quelle avvenute (993) l'anno scorso, secondo i dati di Amnesty international. Triste notare come chi è pronto a prendere parte a ogni giornata mondiale - ne esistono di tutti i gusti, perfino quelle dedicate alle zone umide, ai whisky e all'orgasmo - oggi non ha avuto nulla da obiettare quando in commissione Esteri della Camera sono intervenuti per parlare di cooperazione tra Italia e Iran, Hamid Bayat, ambasciatore iraniano a Roma, Morteza Damanpak Jami, vicepresidente dell'Institute for political and international studies (Ipis) di Teheran, Ali Reza Bikdeli, ricercatore presso lo stesso istituto ed ex ambasciatore iraniano in Turchia, oltre a una rappresentanza dell'italiano Centro studi internazionali (Cesi), organizzatore dell'intervento, composta da Gabriele Iacovino e Francesca Manenti.
Di pena di morte non hanno parlato neppure i deputati italiani intervenuti con le loro domande (tra questi Ivan Scalfarotto e Laura Boldrini) dopo le relazioni degli esperti di questo centro studi che fa capo al ministero degli Esteri di Teheran. Poco importa se in Iran, secondo Amnesty international, da inizio 2018 ci sarebbe già state almeno 217 condanne a morte, tra cui cinque minorenni al momento del reato, tre maschi e due femmine (i dati includono soltanto le esecuzioni di cui l'organizzazione è riuscita ad avere notizia certa). Si è trattato di un'audizione informale, trasmessa sul sito web della Camera, a cui però non è stato dato molto risalto: non è stato distribuito alcun materiale ai membri della commissione e gli iraniani non hanno depositato alcunché. Nel momento in cui scriviamo, non è stato neppure depositato il resoconto stenografico. Sembra quasi si voglia che, di quest'audizione, non rimanga traccia. Anche perché a differenza del video che rimane sul sito della Camera per un po' di tempo, i resoconti vengono archiviati per durare negli anni.
Gli esperti iraniani chiamati alla Camera per parlare del futuro dell'accordo nucleare dopo la decisione Usa di uscire dall'intesa sono membri dello stesso centro che nel 2006 organizzarono a Teheran una conferenza sul negazionismo dell'Olocausto a cui prese parte anche David Duke, il Gran maestro del Ku Klux Klan, che fu invitato dal presidente iraniano di allora, l'antioccidentale e antisemita Mahmoud Ahmadinejad. Non poteva mancare neppure nell'audizione di ieri qualche riferimento a Israele. Bikdeli ha avvertito i membri della commissione che «nella nostra zona ci sono stati molti errori dopo il primo errore, che è stato la creazione di Israele», Morteza Damanpak Jami ha parlato di «regime israeliano» che osteggia, con l'Arabia Saudita, il patto nucleare (forse perché l'Iran minaccia quasi quotidianamente di distruggere lo Stato ebraico?). Ci sono questi due Paesi, secondo il vicepresidente dell'Ipisi, dietro la decisione degli Stati Uniti di Donald Trump di lasciare il patto fortemente voluto da Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera Ue, e dalla precedenza amministrazione Usa di Barack Obama.
La delegazione iraniana era a Roma (martedì sera ha visitato l'Archivio centrale dello Stato) per trovare garanzie circa l'entità specifica che la Mogherini ha promesso di creare per continuare le proprie relazioni commerciali con l'Iran, in particolare per l'esportazione di petrolio, aggirando le sanzioni imposte dagli Usa. Questo veicolo speciale, tuttavia, non ha ancora visto la luce (la dovrebbe vedere a inizio novembre) ed è già in difficoltà visto che molte società interessante hanno già abbandonato l'Iran dopo la decisione di Trump. Stiamo parlando di colossi come Total, Peugeot, Renault, Eni, Siemens e Daimler. L'Ue ci sta provando con quest'entità legale, l'Iran, raccontava ieri il Financial Times, sta studiando invece di aggirare le sanzioni utilizzando intermediari (i middlemen, letteralmente uomini di mezzo) che acquistino sul mercato nazionale barili di petrolio e li rivendano come privati.
Alla discussione è intervenuta Laura Boldrini. L'ex presidente della Camera, dopo aver attaccato la decisione di Trump (accusandolo di star «boicottando» l'accordo imponendo le sanzioni) e appoggiato il veicolo proposto dalla Mogherini, è arrivata a ringraziare l'Iran per la sua generosità nell'accoglienza, fatta «senza lamentarsi» (il riferimento alle politiche sull'immigrazione dell'attuale governo e del ministro dell'Interno Matteo Salvini era evidente). A sottolineare le differenze tra Italia e Iran sul tema dei diritti umani ci ha pensato Ivan Scalfarotto, ex sottosegretario allo Sviluppo economico che nel governo Renzi si occupò degli affari con Teheran. Dopo aver raccontato di aver visto una «società dinamica e un Paese secolarizzato», ha puntualizzato, da omosessuale, che non ci sono soltanto le donne ma anche gli omosessuali tra le minoranze verso le quali l'Italia nutre preoccupazioni. Bene. Ma, come dicevamo, di pena di morte non si è parlato e lo stesso Scalfarotto ha condannato la scelta di Trump dicendosi convinto che è meglio avere rapporti commerciali piuttosto che non averne affatto. Solo così si può dire agli «amici» ciò che non va bene, sostiene il deputato del Pd. Ma su questi temi la delegazione iraniana ha fatto spallucce.
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Nel giorno in cui si celebra la giornata mondiale contro le esecuzioni capitali, alla Camera dei deputati intervengono alcuni esponenti del governo iraniano. Il Paese è, secondo i dati di Amnesty international, il luogo in cui nel 2017 è stato registrato il maggior numero di condanne a morte. Gli esperti chiamati alla Camera sono gli stessi che nel 2006 organizzarono a Teheran una conferenza sul negazionismo dell'Olocausto.Una sinistra coincidenza. Mentre in tutto il mondo si celebrava la giornata mondiale contro la pena di morte, alla Camera dei deputati interveniva una delegazione dell'Iran, il Paese dove è stato registrato nel 2017 il maggior numero di esecuzioni capitali: più della metà (51%) di tutte quelle avvenute (993) l'anno scorso, secondo i dati di Amnesty international. Triste notare come chi è pronto a prendere parte a ogni giornata mondiale - ne esistono di tutti i gusti, perfino quelle dedicate alle zone umide, ai whisky e all'orgasmo - oggi non ha avuto nulla da obiettare quando in commissione Esteri della Camera sono intervenuti per parlare di cooperazione tra Italia e Iran, Hamid Bayat, ambasciatore iraniano a Roma, Morteza Damanpak Jami, vicepresidente dell'Institute for political and international studies (Ipis) di Teheran, Ali Reza Bikdeli, ricercatore presso lo stesso istituto ed ex ambasciatore iraniano in Turchia, oltre a una rappresentanza dell'italiano Centro studi internazionali (Cesi), organizzatore dell'intervento, composta da Gabriele Iacovino e Francesca Manenti.Di pena di morte non hanno parlato neppure i deputati italiani intervenuti con le loro domande (tra questi Ivan Scalfarotto e Laura Boldrini) dopo le relazioni degli esperti di questo centro studi che fa capo al ministero degli Esteri di Teheran. Poco importa se in Iran, secondo Amnesty international, da inizio 2018 ci sarebbe già state almeno 217 condanne a morte, tra cui cinque minorenni al momento del reato, tre maschi e due femmine (i dati includono soltanto le esecuzioni di cui l'organizzazione è riuscita ad avere notizia certa). Si è trattato di un'audizione informale, trasmessa sul sito web della Camera, a cui però non è stato dato molto risalto: non è stato distribuito alcun materiale ai membri della commissione e gli iraniani non hanno depositato alcunché. Nel momento in cui scriviamo, non è stato neppure depositato il resoconto stenografico. Sembra quasi si voglia che, di quest'audizione, non rimanga traccia. Anche perché a differenza del video che rimane sul sito della Camera per un po' di tempo, i resoconti vengono archiviati per durare negli anni. Gli esperti iraniani chiamati alla Camera per parlare del futuro dell'accordo nucleare dopo la decisione Usa di uscire dall'intesa sono membri dello stesso centro che nel 2006 organizzarono a Teheran una conferenza sul negazionismo dell'Olocausto a cui prese parte anche David Duke, il Gran maestro del Ku Klux Klan, che fu invitato dal presidente iraniano di allora, l'antioccidentale e antisemita Mahmoud Ahmadinejad. Non poteva mancare neppure nell'audizione di ieri qualche riferimento a Israele. Bikdeli ha avvertito i membri della commissione che «nella nostra zona ci sono stati molti errori dopo il primo errore, che è stato la creazione di Israele», Morteza Damanpak Jami ha parlato di «regime israeliano» che osteggia, con l'Arabia Saudita, il patto nucleare (forse perché l'Iran minaccia quasi quotidianamente di distruggere lo Stato ebraico?). Ci sono questi due Paesi, secondo il vicepresidente dell'Ipisi, dietro la decisione degli Stati Uniti di Donald Trump di lasciare il patto fortemente voluto da Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera Ue, e dalla precedenza amministrazione Usa di Barack Obama.La delegazione iraniana era a Roma (martedì sera ha visitato l'Archivio centrale dello Stato) per trovare garanzie circa l'entità specifica che la Mogherini ha promesso di creare per continuare le proprie relazioni commerciali con l'Iran, in particolare per l'esportazione di petrolio, aggirando le sanzioni imposte dagli Usa. Questo veicolo speciale, tuttavia, non ha ancora visto la luce (la dovrebbe vedere a inizio novembre) ed è già in difficoltà visto che molte società interessante hanno già abbandonato l'Iran dopo la decisione di Trump. Stiamo parlando di colossi come Total, Peugeot, Renault, Eni, Siemens e Daimler. L'Ue ci sta provando con quest'entità legale, l'Iran, raccontava ieri il Financial Times, sta studiando invece di aggirare le sanzioni utilizzando intermediari (i middlemen, letteralmente uomini di mezzo) che acquistino sul mercato nazionale barili di petrolio e li rivendano come privati. Alla discussione è intervenuta Laura Boldrini. L'ex presidente della Camera, dopo aver attaccato la decisione di Trump (accusandolo di star «boicottando» l'accordo imponendo le sanzioni) e appoggiato il veicolo proposto dalla Mogherini, è arrivata a ringraziare l'Iran per la sua generosità nell'accoglienza, fatta «senza lamentarsi» (il riferimento alle politiche sull'immigrazione dell'attuale governo e del ministro dell'Interno Matteo Salvini era evidente). A sottolineare le differenze tra Italia e Iran sul tema dei diritti umani ci ha pensato Ivan Scalfarotto, ex sottosegretario allo Sviluppo economico che nel governo Renzi si occupò degli affari con Teheran. Dopo aver raccontato di aver visto una «società dinamica e un Paese secolarizzato», ha puntualizzato, da omosessuale, che non ci sono soltanto le donne ma anche gli omosessuali tra le minoranze verso le quali l'Italia nutre preoccupazioni. Bene. Ma, come dicevamo, di pena di morte non si è parlato e lo stesso Scalfarotto ha condannato la scelta di Trump dicendosi convinto che è meglio avere rapporti commerciali piuttosto che non averne affatto. Solo così si può dire agli «amici» ciò che non va bene, sostiene il deputato del Pd. Ma su questi temi la delegazione iraniana ha fatto spallucce.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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