2024-03-24
Nel mirino dell’Isis c’è l’Afghanistan
Lo Stato islamico vuole distruggere i ponti costruiti dai Talebani con Mosca, Pechino e Teheran dopo l’uscita di scena Usa. E adesso Vladimir Putin teme un’escalation interna.Il sanguinoso attentato di Mosca dell’altro ieri è stato rivendicato dall’Isis-k: la branca dello Stato islamico che opera principalmente in territorio afgano («K» sta per Khorasan: una regione che includerebbe parti di Iran, Pakistan, Turkmenistan e dello stesso Afghanistan). Se confermato, ciò significherebbe che l’attacco di venerdì sera nella periferia della Capitale russa potrebbe avere a che fare anche con la complicata situazione che si registra in Afghanistan. Cominciamo con il ricordare che, dopo la caduta di Kabul nell’agosto del 2021, l’Isis-k ha avviato una campagna di violenta opposizione nei confronti del nuovo regime talebano, che ieri ha condannato l’attentato di Mosca. Uno degli obiettivi dell’Isis-k è proprio quello di indebolire i rapporti internazionali che i «barbuti» hanno cercato di intavolare a seguito del ritiro dei soldati statunitensi.Vale la pena di sottolineare che, nel corso degli ultimi tre anni, si sono interessati particolarmente all’Afghanistan la Russia, la Cina e l’Iran: tre Paesi che, a loro volta, sono strettamente interconnessi. Mosca e Pechino hanno notevolmente aumentato il volume dei loro scambi commerciali nel 2023. Inoltre, nel 2021, Cina e Iran hanno siglato un accordo di cooperazione venticinquennale. Senza infine trascurare che, l’anno successivo, il regime khomeinista ha firmato un’intesa con Gazprom da 40 miliardi di dollari nel settore energetico.Veniamo quindi all’Afghanistan. Lo scorso settembre, la Russia ha ospitato colloqui con i Talebani nella città di Kazan. Secondo l’Associated Press, nell’occasione «il rappresentante speciale del presidente Vladimir Putin per l’Afghanistan, Zamir Kabulov, ha partecipato all’incontro e ha affermato che la Russia è disposta a continuare ad aiutare l’Afghanistan in modo indipendente e attraverso il World food program». In secondo luogo, stando alla testata Al Monitor, «con una mossa strategica, l’amministrazione talebana di Kabul ha annunciato alla fine di febbraio un investimento di 35 milioni di dollari nel porto meridionale iraniano di Chabahar»: un avvicinamento, quello tra Talebani e iraniani, che starebbe preoccupando molto il Pakistan. Era infine lo scorso gennaio, quando - dopo circa due anni di negoziati - la Cina ha riconosciuto l’ex portavoce dei Talebani, Bilal Karimi, come inviato ufficiale di Kabul a Pechino. Senza dimenticare che la compagnia cinese Capeic ha significativamente investito nel petrolio afgano: Voice of America parla di 49 milioni di dollari. Non vanno infine dimenticati gli interessi di Pechino nel settore infrastrutturale: l’anno scorso i Talebani hanno annunciato di voler entrare formalmente nella Belt and road initiative. È dunque chiaro come, nel complesso, Mosca, Pechino e Teheran stiano cercando di incrementare la propria influenza geopolitica ed economica sull’Afghanistan a seguito del ritiro di Washington. Ebbene, negli ultimissimi anni, l’Isis-k ha messo nel mirino Russia, Iran e Cina. A settembre 2022 effettuò un attacco suicida contro l’ambasciata russa di Kabul. A dicembre dello stesso anno, prese inoltre di mira un hotel della Capitale afgana notoriamente frequentato da uomini d’affari cinesi, sostenendo che l’obiettivo erano «comunisti cinesi ed elementi talebani». Anche gli attacchi nella città iraniana di Kerman, verificatisi lo scorso gennaio, sono stati rivendicati dall’Isis-k. L’intelligence di Teheran ha affermato che uno degli attentatori fosse un cittadino del Tagikistan, addestrato in Afghanistan. Proprio ieri, la Tass ha riportato che il governo di Dushanbe sarebbe in contatto con quello russo per il presunto coinvolgimento di cittadini tagiki nell’attacco di venerdì a Mosca.Se l’Afghanistan resta quindi fonte di instabilità, non vanno neppure trascurate le possibili (e preoccupanti) ramificazioni che potrebbero registrarsi in riferimento all’attuale crisi mediorientale. Basti pensare alle recenti tensioni esplose tra Iran e Pakistan nella delicata regione del Belucistan. Infine, il problema per Mosca è evidente. Ad agosto 2021, il think tank americano Jamestown foundation riportò che la vittoria dei Talebani era stata accolta con estrema preoccupazione dal leader ceceno, Ramzan Kadyrov. Inoltre, lo stesso think tank ipotizzò che la conquista talebana di Kabul avrebbe potuto rendere più baldanzosi i miliziani islamisti presenti nel Caucaso settentrionale, causando così dell’instabilità all’interno del territorio della Federazione russa. Non va d’altronde trascurato che, negli scorsi mesi, la crisi di Gaza ha creato fibrillazioni in alcune delle repubbliche russe a maggioranza musulmana. Quello che il Cremlino teme insomma, e non da oggi, è l’eventualità di dover prima o poi fronteggiare un’insurrezione jihadista all’interno dei propri confini. L’attentato di Mosca potrebbe rivelarsi un campanello d’allarme in tal senso. La domanda allora è: come deciderà di agire il presidente russo? E soprattutto: come si intersecherà eventualmente questo dossier con la crisi ucraina?