2022-02-14
Giovanni Favia: «Nel M5s si è perso ogni ideale. Sono rimasti gli opportunisti»
L’ex grillino della prima ora: «Il Movimento ormai è fatto solo da nominati, portaborse e assistenti. Abbiamo dato la giovinezza per scoprire che era tutta una macchinazione».«Una volta c’erano tanti attivisti e pochi eletti. Oggi, la piramide è ribaltata: a crederci davvero non è rimasto quasi nessuno, in compenso nominati, portaborse e assistenti parlamentari si sono moltiplicati. Il Movimento 5 stelle è diventato un ufficio di collocamento sempre aperto». Visti da Bologna, la roccaforte che ha dato credibilità all’intera esperienza politica, i sospetti e gli intrighi che lacerano l’universo grillino hanno il sapore dell’epilogo: «La natura tragicomica è stata disvelata, il Movimento è diventato infrequentabile», spiega alla Verità Giovanni Favia, uno dei primi attivisti ad aver animato il sogno delle cinque stelle per il governo del territorio. «Qui abbiamo cucito con ago e filo, abbiamo dato la nostra giovinezza per poi scoprire che dietro c’era una enorme macchinazione. A Bologna è cresciuto tutto senza capibastone: non c’erano posti da spartire né potere su cui accapigliarsi; solo la passione, che ha attirato l’enorme consenso di cui godeva il primo Movimento». Nel Movimento 5 stelle la politica sembra essersi congelata: per far fronte alle dispute interne, ormai è un via vai di avvocati e notai.«Le tracce della politica si sono perse da tempo. Vedo solo persone che hanno strappato il biglietto della lotteria della vita: hanno acquisito potere, fama e ora non intendono scendere dalla giostra. Stanno cercando di approfittare il più possibile di questo periodo per ritagliarsi amicizie di cui servirsi in futuro. Quando hanno smesso di vivere di marketing e si sono dovuti confrontare con il governo del Paese, hanno svelato la vera natura del giocattolo di Beppe Grillo». La definisce una «natura tragicomica», perché?«Erano quelli del Movimento innovativo, senza leader. Sono diventati quelli della guerra tra “leaderini”. Erano quelli della trasparenza e dell’onestà, sono diventati quelli che manipolano la comunicazione pur di avere il controllo. La grande democrazia partecipata dei parlamentari si è risolta in espulsioni, scomuniche, divieti di parlare in pubblico».Il sogno della democrazia digitale è svanito?«Quell’idea non è mai nata, abortita prima ancora di vedere la luce. Abbiamo lavorato per una democrazia digitale e reale: il Movimento nasce utilizzando Internet, ma si sviluppa attraverso una rete fisica, fatta di assemblee sul territorio non controllate da Beppe Grillo. Non c’era il potere, cosa avrebbe dovuto controllare?».Poi il potere è arrivato.«Ci ha usato come dei poveri coglioni. Quando mi sono candidato per la prima volta, la lista di Beppe Grillo nei sondaggi non arrivava neanche all’1%. Sul territorio abbiamo dimostrato di essere un gruppo con idee e determinazione, con un obiettivo e una pulizia etica e morale. Questi sono stati i primi anni del Movimento, il terreno su cui si è costruito il castello. Poi sono arrivati gli opportunisti».Chi sono gli opportunisti?«Quelli diventati ricchi e famosi grazie al lavoro di 100.000 attivisti che hanno seminato a testa bassa».Con gli «opportunisti», il Movimento 5 stelle è arrivato a governare il Paese. Non sarà troppo severo nel suo giudizio?«Giocando sporco, i risultati si ottengono».Addirittura?«Gli esponenti attuali non fanno politica per una motivazione etica o per obiettivi reali. Ormai siamo alla politica del gossip, agli influencer: conta solo avere like ed esprimere delle banalità. Credono che basti dire alle persone ciò che vogliono sentirsi dire, ma la politica demagogica e populista del marketing ha mostrato i suoi limiti nell’esperienza di governo, che ha portato a qualche provvedimento di bandiera, a volte anche mal scritto».Il reddito di cittadinanza è una delle misure simbolo del Movimento 5 stelle. Resta una promessa mantenuta, perché non riconoscerlo?«Non è una battaglia fondante del Movimento. Hanno copiato una campagna che iniziava ad andare di moda online e che ha intravisto Gianroberto Casaleggio: “Yes, we cash” si chiamava, e partiva dai centri sociali. Su questo hanno costruito un ircocervo, una proposta secondo me sbagliata».Per quale motivo? «Lo chiamano impropriamente reddito di cittadinanza, ma non lo è. È un sussidio di disoccupazione mal fatto. Una politica di sostegno al reddito è necessaria e condivisibile, ma se un Paese tassa pesantemente chi lavora e sussidia chi non lo fa, non ha futuro».Alessandro Di Battista è tornato a criticare Luigi Di Maio: «È diventato un uomo di potere», ha spiegato. In molti non gradiscono questo picconamento dall’esterno, lei che ne pensa?«Criticare a prescindere è molto facile. Le questioni che Alessandro Di Battista solleva sono sempre piuttosto prevedibili: segue la retorica del popolo tradito dal potere, deve recitare il ruolo dell’eroe immacolato, sempre dalla parte dei più deboli. Secondo me, sono tutti fratelli coltelli, hanno ammainato la bandiera del cambiamento, che hanno sventolato in maniera strumentale, per far parte di uno stesso sistema. Quando eravamo in piazza con il V-Day, per mandare a quel paese tutto quel che non funzionava, Di Battista votava Veltroni. Queste persone hanno un unico scopo: fare i politici». Cosa c’è di male? «È ben diverso dal cercare di cambiare il destino di un Paese attraverso le idee. Non vedo purezza in loro, hanno smarrito uno dei principi basilari delle liste 5 stelle». La politica è anche, se non soprattutto, compromesso. La purezza non è un’utopia?«Si può essere pragmatici in politica. Le mani si possono anche sporcare, come abbiamo fatto quando è partito tutto, ma la coscienza no. Si è al servizio della comunità, qui invece mi sembra che tutto sia subordinato alla carriera». Ha ancora senso parlare di una base nel Movimento 5 stelle? «Non c’è più la base, non c’è più la critica. Voterebbero anche Ruby, la “nipote di Mubarak”, se fosse necessario». Perché insistere con le votazioni se le decisioni vengono prese altrove e devono essere solo ratificate? «Non c’è nulla di democratico in quello che fanno. La partecipazione è un’altra cosa. Decidono loro quando e come si vota, non c’è più separazione interna dei poteri. È un partito verticale, come ce ne sono tanti, ma non capisco perché si ostinino a nasconderlo». Beppe Grillo sbaglia a fidarsi dei leader? «Grillo è un pugile suonato, ormai può dire tutto e il contrario di tutto». In questa continua sfida tra leader uomini, pensa possa esserci spazio per una donna? Si parla spesso di Chiara Appendino, Beppe Grillo non ha mai nascosto il suo gradimento politico per Virginia Raggi. «Ci possono essere anche dei leader di facciata, non ne farei un discorso di genere. Quelli che sono dentro al Palazzo hanno rinnegato una serie di principi, francamente non mi fiderei di nessuno».Conosce gli attivisti napoletani dal cui ricorso è nata la sospensione dello Statuto e il congelamento dell’elezione di Giuseppe Conte?«Non direttamente, conosco l’avvocato Borrè».Lorenzo Borrè, l’uomo che ha quasi causato una crisi di nervi ai vertici. «Anche se ho sempre cercato di evitare la guerra legale, penso faccia bene a portare avanti il suo lavoro. Tuttavia, su una cosa Conte ha ragione: il Movimento non cambia attraverso i cavilli legali».Dopo aver lasciato la politica, lei si è buttato nel mondo dell’imprenditoria, aprendo alcuni locali. Che impressione le ha fatto la fontana del Nettuno, simbolo di Bologna, al buio per protestare contro gli aumenti dell’energia?«Per il semplice fatto di aver conosciuto il mondo della politica, capisco meglio di molti miei colleghi il disastro che stanno facendo i politici influencer, che vivono solo del consenso sui social. Oggi, il lavoro con i clienti non c’è più: è tutta burocrazia, si vive con l’ansia di sbagliare qualche adempimento o che arrivino le lettere. Nel resto d’Europa, fare impresa è un’altra cosa. La semplificazione era uno degli obiettivi del Movimento 5 stelle, dov'è finita quella battaglia? Sono dei parolai, dei “Cioccapiatti”, come li chiamiamo a Bologna».Cioè?«In piazzola a Bologna, i “Cioccapiatti” sbattevano i piatti millantando l’ottima qualità della ceramica, salvo poi vendere alle massaie prodotti pessimi, che si sbriciolavano. Loro sono così: non hanno le competenze per capire cosa serva davvero al Paese, non conoscono il mondo del lavoro. La nostra situazione è tragica: ci siamo già indebitati e siamo ignorati dalla politica del consenso. Beppe Grillo ha creato una allucinazione collettiva: oggi, nelle commissioni e nei ministeri sono finite persone che, a Bologna, non avremmo candidato neanche come consiglieri di circoscrizione. Sono stati dei bravissimi leccapiedi, mi vengono i brividi se penso a chi è stato messo al volante dell’Italia».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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