La caduta del governo ha bloccato la legge per riordinare il settore e imporre regole nazionali: ogni città può stabilire vincoli e divieti arbitrari, con il risultato di scoraggiare gli imprenditori e favorire l’illegalità.
La caduta del governo ha bloccato la legge per riordinare il settore e imporre regole nazionali: ogni città può stabilire vincoli e divieti arbitrari, con il risultato di scoraggiare gli imprenditori e favorire l’illegalità.Razionalizzare il comparto dei giochi, contenendone i rischi e sanzionando a dovere gli illeciti, ma anche dare certezze operative a una filiera che assicura un gettito ingente alle casse dello Stato: circa 12 miliardi di euro nel solo 2021, una cifra in aumento del 20% rispetto al 2020. Sono alcuni degli obiettivi della bozza del disegno di legge, preparata su impulso del Mef Federico Freni, di riordino del settore, che non sarà approvata visto l’imminente epilogo della legislatura, ma che il prossimo governo potrebbe ritirare fuori dal cassetto e che merita attenzione per alcuni suoi passaggi e contenuti. Anzi, potrebbe diventare l’ossatura dei prossimi provvedimenti in materia, finora schiacciati da un lungo storico di rinvii e confusione normativa. Per prima cosa, il documento intende mettere in piedi (tramite uno o più decreti legislativi) una regia nazionale, in grado di evitare le illogiche storture di questi ultimi anni, il disordine sparso delle norme locali che sono arrivate a vietare, salvo ripensamenti e aggiustamenti dell’ultimo minuto, fino al 99% delle attività su alcuni territori. Sulla carta, con un intento nobile: tenere le sale a distanza da obiettivi sensibili, come le scuole. Nella pratica, ubbidendo a criteri poco razionali, fissando raggi d’esclusione troppo vasti per essere compatibili con qualunque investimento economico. Traducendosi, in prospettiva, in un freno a mano posto all’attività legale, che fa prosperare quella illegale, monopolio o quasi della criminalità organizzata. O favorisce gli operatori senza scrupoli, che grazie all’intangibilità del digitale sfuggono ai controlli e alla tassazione, discriminando ulteriormente chi si muove nel perimetro delle norme.Per chiarezza: la bozza non allarga le maglie, al contrario pone come fari «i criteri della riduzione, della specializzazione e della progressiva concentrazione della raccolta di gioco in ambienti sicuri e controllati». Mira, in parallelo, «all’introduzione di regole trasparenti nell’intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti». Il concetto è ribadito poche righe più giù: servono «parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale». «Criteri omogenei» applicabili pure quando si parla del limite massimo degli apparecchi da gioco presenti in ogni esercizio e altre modalità organizzative dell’offerta.Lo Stato, così, dirige, vigila (tramite controlli «più efficaci ed efficienti»), al contempo protegge: sollecita l’introduzione «di misure tecniche e normative finalizzate alla tutela dei soggetti maggiormente vulnerabili, nonché all’esigenza di prevenire i fenomeni di disturbi da gioco d’azzardo e di gioco minorile». Lo fa attraverso strategie ben individuate. Tra le molte: «diminuzione dei limiti di giocata e vincita; obbligo della formazione continua dei gestori e degli esercenti; divieto di raccogliere gioco su competizioni sportive dilettantistiche riservate esclusivamente ai minori di anni 18». Oppure, ancora, con «il rafforzamento dei meccanismi di autoesclusione dal gioco, anche sulla base di un registro nazionale al quale possono iscriversi i soggetti che chiedono di essere esclusi dalla partecipazione in qualsiasi forma ai giochi con vincita in denaro».Un altro comma importante riguarda «il rafforzamento del contrasto a ogni forma di gioco d’azzardo illegale, soprattutto quello offerto via Web da soggetti che utilizzano piattaforme collocate al di fuori del territorio dello Stato».La bozza, circolata negli ultimi giorni, è stata accolta con favore dagli operatori del settore: «Occorre che il lavoro fatto nella legislatura che si sta chiudendo per una legge delega per il comparto non vada perduto. Ovviamente l’auspicio è che questa effettivamente sia in grado di mettere un punto al tema delle distorsioni espulsive delle norme regionali e provinciali», osserva Geronimo Cardia, presidente di Acadi, l’Associazione concessionari di giochi pubblici di Confcommercio. Che plaude ad alcuni interventi pratici presenti nel documento: «Il riordino da fare per l’intero settore del gioco fa bene a mettere la prua su obiettivi concreti come gli strumenti di autentico contrasto al disturbo da gioco d’azzardo quali il registro di autoesclusione».Dall’attuazione del disegno di legge, è scritto in testa all’articolo 2, «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, né un aumento della pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti». Commenta Cardia: «Ben vengano misure di razionalizzazione, ma potranno avvenire solo in presenza di un’offerta equilibrata tra locali specializzati ed esercizi di prossimità, come i bar e i tabacchi all’angolo».Positivo il giudizio di Gennaro Parlati, presidente di Sistema gioco Italia, la federazione di filiera del settore aderente a Confindustria: Parlati ribadisce «l’obiettivo prioritario di un intervento che uniformi gli interventi normativi locali», a fronte di un atteggiamento finora «schizofrenico, con regole diverse anche tra territori confinanti, che a volte hanno reso pressoché impossibile gestire la situazione». Tracciare principi ben definiti è essenziale perché, a ricordarlo è lo stesso Parlati, «agli operatori pesa l’incertezza normativa più che quella economica. Quando l’imprenditore ritiene di essere penalizzato dalle leggi, viene meno l’incentivo a investire. Occorrono provvedimenti tempestivi, non possiamo rimanere nel dubbio, come base e cornice serve un definitivo riconoscimento del ruolo dell’industria del gioco». La relazione illustrativa che accompagna la bozza contiene tale riconoscimento: «Il comparto del gioco pubblico legale», si legge nelle prime righe, «è un fenomeno di evidente rilevanza sociale ed economica, con importanti impatti sull’occupazione, sull’innovazione delle reti e tecnologica che il settore richiede e assicura, sulla partecipazione alla ricchezza e al valore aggiunto creato in Italia, sulla stessa capacità di competere sui mercati internazionali».
Nel 2025 la Bce ha tagliato di 1 punto gli interessi, ma i prestiti casa sono diventati più cari. Su un fisso (9 su 10 lo preferiscono al variabile) da 150.000 euro a 25 anni il salasso è di 600 euro all’anno. Motivo? I mercati non credono possano esserci altre sforbiciate.
La Bce taglia i tassi o comunque non li aumenta e i mutui per comprare casa sono sempre più cari. È questo il paradossale fenomeno con il quale devono fare i conti le famiglie italiane che hanno deciso di indebitarsi pur di coronare il sogno di una vita: l’abitazione di proprietà. Tanto per intenderci: nel 2025, la Banca Centrale Europea ha limato per quattro volte il costo del denaro portandolo dal 3 al 2%. Si poteva sperare in qualcosa in più soprattutto con un Europa che cresce a ritmi lentissimi e con un’inflazione tutto sommato stabile, ma tant’è.
Le fake news russe diventano la scusa per varare il Democracy shield, l’ente per la «resilienza democratica» con cui l’Europa si arrogherà il diritto di controllare l’informazione. Che già influenza coi soldi a tv e giornali.
La Commissione europea si prepara a sferrare un attacco frontale contro quella che definisce «disinformazione» e «ingerenza straniera», ma i suoi piani sollevano gravi interrogativi sulla libertà di espressione dell’Unione. L’iniziativa, presentata come il nuovo «Scudo europeo per la democrazia» (Democracy shield), viene lanciata oggi a Bruxelles. Al centro di questo piano c’è la proposta di istituire una nuova struttura, il Centro europeo per la resilienza democratica, presentata come un polo per coordinare gli sforzi tra l’Ue e i Paesi membri contro attacchi ibridi di disinformazione provenienti, in particolare, da attori stranieri come la Russia.
Antonio Chiappani (Ansa)
Proteste in commissione Covid per l’audizione di Antonio Chiappani, il procuratore che indagò Conte e Speranza per epidemia colposa. Lui cita il codice penale: non impedire un evento evitabile equivale a cagionarlo.
Ancora una volta gli auditi proposti dalla maggioranza sono puntualmente contestati dall’opposizione. Succede in commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria Covid. Ieri, a essere ascoltato era Antonio Chiappani, già procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo. «Sono qui per rappresentare tutte le criticità della prima fase della pandemia», ha spiegato più volte il magistrato, elencando le conseguenze del mancato aggiornamento e della non attuazione del piano del 2006. Apriti cielo. Il deputato Alfonso Colucci del M5s ha strepitato che «non è il caso di rifare il processo a Conte e Speranza», e che Chiappani avrebbe definito «sbagliato il provvedimento del tribunale dei ministri» mentre «le tesi dell’accusa si sono rivelate un buco nell’acqua».
2025-11-12
Viale Papiniano, il cantiere finisce sotto sequestro: per la Procura è nuova costruzione abusiva
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Dopo le inchieste dell’estate scorsa, arriva il provvedimento della magistratura: bloccato il palazzo di otto piani che avevamo raccontato su La Verità. Secondo i pm, dietro la Scia di ristrutturazione si nascondeva un intervento fuori scala, privo di piano attuativo e permesso di costruire.
In agosto era soltanto uno dei tanti cantieri finiti sui tavoli della procura di Milano tra le decine di filoni dell'inchiesta urbanistica. Oggi, quelle carte sono diventate un fascicolo giudiziario. E' stato disposto il sequestro preventivo dell’area di viale Papiniano 48, dove la società Papiniano 48 Srl stava realizzando un edificio residenziale di otto piani e due interrati al posto di un vecchio laboratorio commerciale di tre piani.
Secondo il decreto firmato il 10 novembre dal pubblico ministero Giovanna Cavalleri, con la co-firma del sostituto Luisa Baima Bollone e coordinanti dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, si tratta a tutti gli effetti «di una nuova costruzione in assenza di valido titolo edilizio». Il provvedimento, emesso d’urgenza, ordina il blocco immediato dei lavori «per evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato e l’ulteriore avanzamento dell’edificio abusivo».
Gli indagati sono Mauro Colombo, direttore dei lavori e progettista, e Salvatore Murè, amministratore unico della Papiniano 48 Srl e della Murè Costruzioni. Entrambi sono accusati di lottizzazione abusiva e costruzione senza permesso di edificare, in violazione del Testo unico dell’edilizia.
La storia del cantiere — già raccontata questa estate dalla Verità — era iniziata con una Scia edilizia (Segnalazione certificata di inizio attività) presentata nel 2021 come “ristrutturazione con demolizione e ricostruzione”. In realtà, scrive la Procura, l’intervento “consiste nella demolizione integrale di un fabbricato e nella costruzione di un nuovo edificio di otto piani fuori terra e due interrati, con caratteristiche morfologiche e volumetriche completamente diverse”.
In altre parole: non un recupero, ma una nuova costruzione. E non una qualsiasi. L’immobile, una volta completato, avrebbe superato i 25 metri di altezza e i 3 metri cubi per metro quadrato di densità, soglie che — spiega il decreto — obbligano per legge a un piano attuativo o una lottizzazione convenzionata. Nessuno dei due strumenti era stato approvato.
Il Comune di Milano aveva già sospeso i lavori nel maggio 2024, rilevando «caratteristiche dimensionali e morfologiche eccedenti i limiti consentiti» e avviando un procedimento di annullamento d’ufficio della Scia. La società, tuttavia, ha ripreso il cantiere nell’autunno di quest’anno, dopo aver tentato — invano — di trasformare la pratica in un permesso di costruire convenzionato tramite un accordo con Palazzo Marino.
Il 16 ottobre scorso la Papiniano 48 Srl ha comunicato la ripresa dei lavori “a prescindere dall’esito del procedimento”, e pochi giorni dopo gli agenti della Polizia Locale hanno documentato la gettata del primo piano in cemento armato. Da qui l’intervento urgente della Procura.
Nel decreto si parla esplicitamente di una vicenda “sovrapponibile” ad altri cantieri già finiti sotto sequestro — come quelli di via Crescenzago e via Cancano — e di una “prassi illegittima” consolidata negli anni, in cui opere edilizie ad alto impatto urbanistico venivano impropriamente qualificate come ristrutturazioni per evitare piani attuativi e permessi di costruire.
La Procura ricorda anche la circolare comunale del 2023, sospesa la scorsa primavera, che aveva aperto la strada a interpretazioni “elastiche” dell’articolo 41-quinquies della legge urbanistica, quello che impone limiti di altezza e densità. «Tale disposizione — scrivono i magistrati — esprime un principio fondamentale della pianificazione, non derogabile da circolari o leggi regionali».
Il terreno di viale Papiniano 48, inoltre, è sottoposto a vincolo paesaggistico e rientra nel “Nucleo di Antica Formazione” del Comune, oltre che nel vincolo regionale “Naviglio Grande – Nucleo rurale di interesse paesaggistico”. Per la Procura, la trasformazione dell’area «comporta una lesione irreversibile dei beni tutelati dalla normativa urbanistica e ambientale».
L’edificio preesistente era basso, a uso commerciale, compatibile con il tessuto storico. Il nuovo, con otto piani e due interrati, cambierebbe completamente la morfologia dell’isolato.
Il sequestro di viale Papiniano arriva in un momento cruciale per l’amministrazione milanese, ancora alle prese con le inchieste sull’urbanistica che hanno toccato anche dirigenti comunali, professionisti e imprenditori. La stessa delibera di Giunta del maggio 2025 — citata nel decreto — era nata per fare chiarezza dopo mesi di indagini e polemiche.
Ora, con questo nuovo provvedimento, la magistratura sembra consolidare una linea: la stagione delle “Scia creative” è finita.
E quel palazzo che in agosto sembrava solo “troppo alto per essere vero” diventa oggi un simbolo giudiziario del nuovo corso milanese, dove i confini tra ristrutturazione e nuova costruzione non sono più soltanto una questione tecnica, ma un banco di prova per la legalità urbanistica della città.
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