2023-08-04
Nel caso dei filtri anti virus spunta l’avvocato indagato amico di Conte
Paolo Narciso (Imagoeconomica)
L’allora vice capo di gabinetto di Renato Brunetta chiese il curriculum a Luca Di Donna: «Un sacco di belle cose appena arriva il Recovery». Richieste di assunzione per figlie e sorelle di altri professionisti coinvolti nell’inchiesta.Altro che navigator. Secondo un’informativa redatta dagli uomini del nucleo investigativo di Roma dei carabineri, durante il governo Draghi il posto giusto per cercare lavoro erano gli uffici del ministero per la Pa. Dove venivano offerti incarichi garantiti dai fondi del Pnrr. Il 27 marzo di due anni fa, annotano gli investigatori nel documento (agli atti dell’inchiesta della Procura di Roma per falso e finanziamento illecito a carico dell’ex ministro Renato Brunetta), Paolo Narciso, vice capo di gabinetto di Brunetta, contatta Luca Di Donna, avvocato vicino all’ex premier Giuseppe Conte. Narciso non può sapere che Di Donna è sotto indagine da parte della Procura di Roma per traffico di influenze in relazione all’emergenza Covid, e che le sue conversazioni vengono ascoltate. Quando pochi mesi dopo La Verità e Panorama svelano l’esistenza dell’indagine, le attenzioni degli investigatori si sono già concentrate anche su Brunetta e il suo entourage. Ma torniamo alle telefonate. Di Donna racconta alla sua interlocutrice di «di aver parlato con un uomo che si era presentato come avvocato, probabilmente il vice capo di gabinetto, che gli aveva riferito di aver visto il suo curriculum e che avrebbe voluto parlargli. Il Di Donna riferiva che tale incontro sarebbe avvenuto, verosimilmente presso gli uffici ministeriali, il lunedì successivo». Il 12 aprile i due si parlano al telefono e il legale aggiorna Narciso su una questione che ha seguito per il collaboratore del ministro. Che risponde così: «Io intanto ti ringrazio tantissimo, se vieni a prendere un caffè appena mi mandi il curriculum vediamo cosa... ci sono delle cose adesso che dovrebbero partire verso maggio eh...[…]... eh... voglio, così magari condividiamo insieme, vediamo un pochino se è qualcosa che può esserti di interesse...[…]». Poi prosegue, rassicurante: «Ma comunque da qua in poi ci saranno un sacco di belle cose, vedrai, appena arriveranno, diciamo, i finanziamenti del Recovery plan, diciamo a fine maggio, poi dopo di che partirà un sacco di attività molto interessanti e quindi la tua professionalità è veramente welcome qua, va bene?». Di Donna si mostra entusiasta dell’offerta: «Sì con piacere, io..[…] ti ringrazio di cuore. […]. Io adesso ti giro... ti giro il curriculum, casomai non lo ricevessi». Nelle scorse settimane l’attitudine di Brunetta a sistemare le persone vicine a lui era finita agli onori delle cronache dopo che l’ex ministro, nominato presidente del Cnel, aveva assunto la sua storica segretaria, Stefania Profili e soprattutto la figlia della donna, Giulia Mancini, che dal marzo 2021 fino allo scorso ottobre era la responsabile per la comunicazione di Brunetta al ministero. Da lì, fresca vincitrice di una selezione, era approdata al Formez (il centro servizi per la Pa che risponde al dipartimento Funzione pubblica), con un contratto da dirigente a tempo indeterminato da 80.000 euro lordi l’anno, più 10.000 di indennità di risultato. Stando all’informativa dei carabinieri i posti di lavoro erano argomento ricorrente. Il 18 giugno del 2021 Narciso parla al telefono con il commercialista delle sue società, Canio Zampaglione, presso il cui studio si trova anche la sede della Rem research consulting srl di cui era azionista proprio Brunetta. Zampaglione è in cerca di una sistemazione per la figlia e riferisce quali sarebbero i suoi interessi: «Mi aveva indicato Cnr, Aifa e ministero della Salute...». Narciso spiega come vuole procedere: «Allora, ministero della Salute non conviene perché è un momento. Però posso chiedere a Renato che è molto amico di Speranza. Aifa guarda poco fa mi ha chiamato proprio il presidente del collegio dei revisori, per chiedermi un parere, chiamo subito lui che è un magistrato della Corte dei conti e Cnr chiamiamo il nostro professore che lavora per noi, quindi vediamo se ci aiutano loro... perfetto… ricevuto». Gli investigatori annotano che non è stato possibile verificare se la figlia di Zampaglione e un’altra persona collegata al mondo dello staff di Brunetta «abbiano ottenuto gli incarichi richiesti». Si tratta della sorella di Claudio Togna, il notaio che ha seguito la pratica della cessione delle quote della Rem detenute da Brunetta alla moglie di Narciso, Emilia Cantera. Togna ha un incarico di consulente di Brunetta che secondo gli investigatori, «benché fosse a titolo gratuito», gli avrebbe garantito «notevoli vantaggi in termini di visibilità, di prestigio e, conseguentemente, di incremento dei suoi incarichi professionali». Il notaio ha a cuore il futuro della sorella, e si raccomanda a Narciso dopo che l’appuntamento della donna con Brunetta è stato rimandato: «Io l’unica femmina di cui voglio che si occupa è mia sorella...». Poi prosegue: «Detto questo, se puoi darle una mano, Paolo, (inc.) è una bravissima persona […] ti devo dire che è una persona molto per bene, molto corretta ... se avessi degli elementi diversi, Paolo riservatamente te li direi […] ma per le cose che ho potuto constatare personalmente si tratta di una persona molto competente». Narciso lo rassicura così: «Assolutamente… assolutamente, adesso vedo un attimino il giorno in cui le hanno dato l’appuntamento e l’aspetto, va bene?». La sottoscrizione della firma sulla scrittura privata che ha sancito la cessione delle quote della Rem da Brunetta alla Cantera è costata a Togna la contestazione di un falso in atti pubblici scaturita dal valore inizialmente indicato per la cessione delle quote, 5.000 euro, poi modificato in 60.000. Accuse che il difensore del notaio, Carlo Arnulfo, ha già contestato in una memoria difensiva. Secondo la tesi della difesa, trattandosi di una scrittura privata autenticata nelle firme dal notaio e non di un rogito, non si potrebbe nemmeno ipotizzare il reato di falso in atto pubblico.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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