
Heriberto Herrera, allenatore della Juve anni Sessanta, parlava con occhi spiritati. Si dice avesse pessimo carattere, invece era affabile e spiritoso.Sono passati più di cinquant'anni e mi rivolgo soprattutto ai veri intenditori di calcio, spero che mi capiranno: desidero dare la precedenza a Heriberto Herrera anziché a Helenio, in questi ricordi, per due o tre motivi. Heriberto era mio amico, e invece non ero affatto amico di Helenio (credo in verità che non avesse amici). Ho conosciuto bene Heriberto, quindi posso descriverlo meglio. Infine sono sempre vicino ai perdenti, anche se oggettivamente è esagerato inserire Heriberto nella categoria degli sconfitti: le sue soddisfazioni se l'è prese, in un ambiente diffidente, ricco di pregiudizi. Mi ripeteva spesso: «Bisogna battersi sempre fino al limite delle proprie forze, nel calcio e nella vita. È una questione morale, un principio, un valore. Poi si vince o si perde, si vince se si seguono con disciplina le mie istruzioni! Ma se si perde, e ti sei battuto con cuore e cervello, dando tutto, puoi accettare anche le maledette sconfitte. Sei in pace con la tua coscienza, e questo conta. Guai se la coscienza non è a posto...». Mi parla con occhi spiritati e mi coinvolgeva. Se fossi stato un suo giocatore, per le sue idee avrei dato l'anima.Certo la popolarità di Helenio Herrera è stata infinita e come tale resta nella memoria della gente. Quanto a carisma, la sua superiorità rispetto all'omonimo rivale è nettissima: mi basta ricordare come li distingueva Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo della nostra storia: per lui Helenio era «Accaccone», mentre Heriberto, più semplicemente, «Accacchino».Avevo un rapporto amichevole con Heriberto Herrera: mi piacevano la sua passione assoluta, come allenatore, per il calcio e la fiducia con cui sosteneva le sue idee. Quando lo conobbi, capii subito che Heriberto detestava le chiacchiere. Arrivai a Torino, 50 anni fa, come capo della redazione torinese del Corriere dello Sport e arruolato anche come corrispondente sportivo del Corriere della Sera. Ero giovanissimo, impertinente. La prima volta che incontrai Heriberto all'uscita dagli spogliatoi gli rivolsi una domanda complicata, molto lunga. Invano i colleghi mi avevano consigliato prudenza. Ci fu dunque da parte loro una risatina compassionevole. E un lungo momento di silenzio. Poi Heriberto mi gelò, roteandomi sulla punta del naso l'indice della mano destra, e mi intimò: «Capito nada. Ripeti!». E tuttavia, nonostante l'infelice approccio, dopo qualche settimana Accacchino mi prese in simpatia. Lo invitai addirittura a cena a casa mia e lui, solitamente burbero, accettò. Leda, la mia prima moglie, era un'ottima cuoca: portò in tavola le lasagne. Fu una magnifica serata, fuor di etichetta: lazzi e frizzi. Accacchino si guardò bene dal parlare della sua «Giuve», ma si rivelò affabile e spiritoso e si fermò fino a tardi. Heriberto Herrera, nato a Guaranbarè in Paraguay il 24 aprile 1926, è arrivato in Italia, proveniente dalla Spagna, nella stagione 1964-65.Quando arrivò, sembrava che la Juve lo avesse ingaggiato apposta per fare un dispetto all'Inter. I neroazzurri, infatti, avevano come allenatore Helenio Herrera, prestigioso e popolarissimo, il famoso «mago» o H.H., o Habla Habla. E i bianconeri misero in panchina anche loro un Herrera, Heriberto, quindi H.H. anche lui, ma del tutto imparagonabile, come allenatore. Da calciatore invece aveva giocato da stopper per sette campionati nell'Atletico di Madrid, mentre di Helenio a stento si ricordano le oscure prestazioni. La Juventus lo «pescò» proprio per la sua fama di condottiero inesorabile: c'era, a Torino, la necessità di riportare ordine in uno spogliatoio incline a egoismi e ribellioni. L'identità calcistica di Heriberto si può riassumere in una sola parola, il celebre «movimiento», come ripeteva lui compulsivamente, in campo e fuori campo. Ma bisogna riconoscere che Accacchino anticipò di qualche lustro il pressing asfissiante, l'assenza di posizioni fisse sul campo, in sintesi il continuo «movimiento», senza palla, dei giocatori. Quel gioco che molti anni dopo fu imposto in modo spettacolare dagli olandesi e poi, in Italia, dal rivoluzionario Arrigo Sacchi. Odiava gli individualismi e desiderava un gruppo unito: i calciatori dovevano essere soldatini. E non si lasciava influenzare da niente: impose la cessione (al Napoli) di Omar Sivori, cocco dei tifosi e di Gianni Agnelli, perché era visibilmente ribelle e si faceva beffe dei suoi diktat. Giornalisti e tifosi, ma anche i giocatori, lo chiamavano il ginnasiarca, il sergente di ferro. HH2 arrivava perfino a mettere le mani addosso a quei giocatori che non eseguivano alla lettera le sue indicazioni. Ma, con il passare degli anni, il pubblico juventino si mostrò sempre più critico verso Heriberto, colpevole di aver eliminato l'aristocratico stile del club. La rinuncia a Sivori non fu metabolizzata. Gianni Agnelli, con l'ironia che copriva il fastidio, si spinse a commentare: «Siamo diventati una squadra socialdemocratica…». Eppure proprio per la sua tenacia e la disciplina imposta alla squadra Heriberto era riuscito una volta a rimontare Accaccone e a vincere lo scudetto. L'Inter di quegli anni era questa, memorabile: Giuliano Sarti, Tarcisio Burgnich, Giacinto Facchetti, Gianfranco Bedin, Aristide Guarneri, Armando Picchi, Jair da Costa, Sandro Mazzola, Angelo Domenghini, Luis Suàrez e Mario Corso.Nella Juve, Sivori a parte, i calciatori di livello erano pochi. Nel 1969 HH2 passò dalla Juve ai rivali dell'Inter, fino agli inizi della stagione 1970-1971. Ma anche a Milano il rapporto con la squadra arrivò presto a deteriorarsi, ci fu quasi una rivolta dei senatori interisti.In bianconero impose dal primo minuto la legge inesorabile del «collettivo», obbligandola la squadra ad una continua azione di movimento: anzi «movimiento», come la esortava lui, ossessivamente. Nella Juventus Heriberto Herrera è rimasto per cinque stagioni consecutive conquistando, appena arrivato, una Coppa Italia nel 1964-'65 e uno scudetto nel 1966-'67 quando l'Inter, sempre in testa nelle 33 partite di campionato, perse a Mantova per colpa di una incredibile, famosa papera del portiere Giuliano Sarti. Poi, nella stagione 1969-70, passò all'Inter conquistando un eccellente secondo posto dietro lo straordinario Cagliari di Gigi Riva. Ma, alla seconda stagione in neroazzurro, fu esonerato dopo la quinta giornata, a causa di due sconfitte consecutive, prima con il Cagliari in casa per 3-1 e successivamente nel derby per 3-0.Niente comunque in confronto con i successi trionfali di Helenio. Ma oggi bisogna riconoscere che Heriberto aveva in testa un'idea precisa di calcio, originale, moderna: non sufficientemente apprezzata per il suo caratteraccio. «Se applicherete il 10-20% di quello che vi dico, la squadra giocherà bene», diceva Heriberto. «Il problema è che pure il 10% era incomprensibile», raccontò in seguito Roberto Boninsegna, l'indimenticabile Bonimba, centrattacco interista e della Nazionale italiana. «Voleva corsa, corsa e ancora corsa: negli spazi vuoti, senza pallone, contro gli avversari». Per alcuni sostenitori, anticipò il calcio di oggi, per altri solo un condottiero confusionario. Heriberto spesso era definito «sergente di ferro» per la sua leggendaria durezza. In realtà sergente lo era stato davvero (e così si spiegano molte cose) presso l'Accademia militare di Asunciòn. Secondo lui tutti i giocatori erano uguali e tutti dovevano sgobbare in egual misura. E dei suoi calciatori era gelosissimo. Non voleva, ad esempio, che si esibissero con i club dei tifosi, neanche se erano invitati a ricevere un premio. Li faceva sorvegliare da fidati collaboratori, pretendeva che si ritirassero a casa alle 22 in punto. Dava il buon esempio: il suo stile di vita era esemplare per l'austerità rigida, lontana da vizi. E molti lo paragonavano a un frate trappista. Era molto colto in medicina, fanatico delle diete: al termine di ogni incontro, i suoi giocatori non trovavano mai bevande, ma vassoi di frutta per dissetarsi. Secondo cronache (o leggende) Heriberto ogni mattina voleva i giocatori sulla bilancia. Cento grammi sopra il peso forma? Fioccavano le multe. Ma anche scapaccioni, sberle, insulti e pugni.Per spiegare che tipo fosse il mio amico, ricordo volentieri cosa diceva, ad esempio «Le cose difficili esigono tempo, quelle impossibili ne esigono di più.» E anche: «Juventus uguale Fiat uguale potere», «Classe, più preparazione atletica, più intelligenza, uguale scudetto.», «Se hai paura di fare una cosa, pensa che sicuramente un idiota la farà al posto tuo.», «La mia Giuve senza Sivori non piaceva agli Agnelli, ma era una squadra dura, umile e compatta. Sivori? Non era un leader, non lo sapeva o voleva fare». Di un allenatore che si presentò in campo senza fischietto: «Allenare senza fischietto è come andare a caccia senza fucile». Su Giovanni Sacco (protagonista di un tragico incidente d'auto): «Sei buono solo ad ammazzare i vecchi!».Interessante anche ciò che è stato detto di lui... Dopo lo scudetto: «Tutto merito di Heriberto Herrera, che fino alla fine ci ha tenuto sulla corda. L'Inter era davanti e noi a un certo punto avevamo mollato, lui continuava a ripeterci che non era ancora finita. Non vorrei definirlo un dittatore, ma quasi. Lui voleva sempre vincere e noi calciatori eravamo tutti stronzi». (Gianfranco Zigoni).«Povero Heriberto, era un ottimo allenatore, profeta di un calcio moderno, così moderno, il movimiento (come diceva lui) senza palla, che noi non lo capivamo. E poi il carattere era difficile, chiuso, introverso» (Sandro Mazzola).Anche nella vita privata Accaccone e Accacchino erano opposti. Helenio ha avuto tre mogli: Lucienne Léonard, Maria Morilla e Fiora Gandolfi. E ben sette figli. Heriberto, secondo indiscrezioni, ebbe solo un'unica tentazione. S'innamorò della cognata del giocatore Cinesinho. Non si è però mai saputo granché di lei. Quando dall'Inter Heriberto arrivò a Genova, alla Sampdoria, ero ai vertici del quotidiano Il Secolo XIX. Qualcuno mi spifferò che HH2 era convinto che avessi sostenuto io, conoscendolo, la sua candidatura. Niente di più falso. Sono un fervido genoano, se mai lo avrei spinto verso il Grifone. Eravamo in confidenza, ma mai Accacchino mi disse una sola parola sulla sua vita privata.Heriberto si spense ad Asunciòn il 26 novembre 1996, a 70 anni. Helenio, gravemente malato, si era ritirato a Venezia, città di origine della moglie Fiora. Una morte romantica, seguita con attenzione e anche clamore dai mass media. Di Heriberto, invece, dal giorno in cui aveva deciso di tornare in Paraguay non si era saputo più nulla.
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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