Sventati gli aumenti per chi ha un negozio. A chiedere più tasse era stata Forza Italia

Generosi con le banche, severi con i proprietari di immobili. In Forza Italia il caldo deve aver giocato qualche brutto scherzo, causando un’apparente crisi d’identità. Mentre il partito guidato da Antonio Tajani blocca la Lega su qualsiasi ipotesi di contributi volontari a carico degli istituti di credito, che hanno archiviato un’altra semestrale gonfia di utili, tre deputati azzurri hanno tentato di approvare nuove norme che prevedevano più tasse sui negozi sfitti e una diminuzione dei canoni. Gli emendamenti sono stati bocciati dalla Camera e la cosa incredibile è che non fossero della sinistra, ma di Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi.
Il provvedimento in discussione riguarda il decreto legislativo 219 del 27 dicembre 2024, che prevede «la costituzione dell’Albo nazionale delle attività commerciali, delle botteghe artigiane e degli esercizi pubblici, tipizzati sotto il profilo storico-culturale o commerciale, ai fini della valorizzazione turistica e commerciale di dette attività». La prima proposta dei deputati Luca Squeri, Rosaria Tassinari e Maria Paola Boscaini era di inserire la seguente norma: «In sede di rinnovo del contratto di locazione, gli esercenti di attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza […] e i proprietari dei locali, ai fini della determinazione del canone sono tenuti a fare riferimento alla media dei valori immobiliari di locazione pubblicati periodicamente dall’Agenzia delle entrate». Si tratta dei valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare, area per area. E a questi valori, proseguiva l’emendamento, devono «fare riferimento anche le regioni in sede di adozione dei percorsi conciliativi». Il mercato delle locazioni commerciali, secondo i dati della stessa Agenzia delle entrate, è in aumento, anche per via della domanda straniera, e specie nei centri storici i valori dell’Osservatorio sono spesso assai inferiori a quelli di mercato. L’emendamento bocciato era quindi a sfavore dei padroni dei muri.
La seconda norma andava invece oltre il mero dare-avere e cedeva, di fatto, a una campagna di parte delle opposizioni contro gli immobili sfitti. Il testo dell’emendamento, però, sosteneva di nascere da esigenze di decoro. «In considerazione del danno al decoro urbano derivanti dall’inutilizzo» dei locali commerciali o a uso artigianale, secondo i proponenti è necessario che «i Comuni possano censire tali immobili, individuando quelli non utilizzati da oltre 12 mesi». A questo termine possono essere aggiunti tre mesi, nel caso il proprietario dimostri che ha fatto una ristrutturazione. Una volta scaduto il termine di un anno, proseguiva l’emendamento, «i Comuni possono stabilire l’aumento dell’aliquota base dell’imposta municipale». E non di poco: si voleva permettere ai sindaci di aumentare le imposte in modo direttamente proporzionale al protrarsi del non utilizzo fino a un massimo di cinque volte l’aliquota base. Non solo, ma si prevedeva che questa maggiorazione si applicasse anche in caso di vendita dell’immobile e che la sovratassa si fermasse solo all’arrivo di un nuovo inquilino. Unico modo di salvarsi da questo esproprio mascherato, affittare a titolo gratuito per almeno tre anni. Una norma bizzarra, quest’ultima, perché da un lato può favorire parenti o amici del proprietario, dall’altro può finire per benificiare enti che hanno un rapporto privilegiato con il Comune stesso. Senza contare i rischi di «retrocessioni» del canone in nero.
Anche questo emendamento è stato respinto ed è una buona notizia per i proprietari degli immobili, che spesso hanno investito nei muri di un negozio per garantirsi una piccola integrazione al reddito. Dalla pandemia in poi, specie nei centri storici delle grandi città, sono rimasti vuoti molti locali, specie quelli di grandi dimensioni. Molti sono passati di mano e a comprare sono in massima parte gli stranieri e grandi gruppi, che sanno far girare bene i loro investimenti. I due emendamenti bocciati avrebbero probabilmente avuto l’effetto di invogliare la piccola proprietà italiana a liberarsi del negozio di turno per non vedersi aumentare le imposte.
Giuste o sbagliate che fossero le intenzioni dei tre deputati, colpisce che arrivino da Forza Italia. Nel fine settimana, il partito azzurro ha polemizzato con la Lega sulla tassazione delle banche. Matteo Salvini, vicepremier e capo del Carroccio, la scorsa settimana aveva annunciato: «Stiamo ragionando non su una tassa ma su un contributo volontario e spontaneo delle banche da ridistribuire ai lavoratori italiani e agli imprenditori». Nel fine settimana, gli ha risposto Tajani: «Le banche raccolgono risparmi, erogano prestiti e devono rispettare le regole e pagare le tasse come tutti. Devono fare la loro parte ma non possono essere indicate come il nemico pubblico numero uno e non dobbiamo spaventare gli investitori». La Lega ha tenuto il punto con una nota ufficiale: «Mentre nel solo 2024 le banche hanno guadagnato oltre 46 miliardi di euro, milioni di italiani sono in difficoltà con cartelle esattoriali e debiti del passato. Pace fiscale e definitiva rottamazione delle cartelle sono priorità assolute».






