2024-02-11
Nuove purghe in Ucraina. La Nato: «Saremo in guerra con la Russia per decenni»
Licenziato Zaluzhny, Zelensky (che a Kiev contestano) silura il capo di stato maggiore. Lascia pure il viceministro della Difesa. Ma l’Ue ha la soluzione: la ricostruzione green.Le purghe di Volodymyr Zelensky sono diventate un genere letterario. Il presidente ucraino, di recente, ha licenziato il comandante in capo dell’esercito, Valery Zaluzhny, sul quale è stata fatta ricadere la responsabilità del fallimento della controffensiva. Per rimpiazzarlo, l’ex comico ha scelto Oleksandr Syrskyi, che difese con successo la capitale nei primi giorni del conflitto, anche grazie al supporto dell’intelligence angloamericana. Ieri, il leader della resistenza ha silurato anche il suo capo di stato maggiore, Sergey Shaptala, sostituito, su proposta dello stesso generale Syrskyi, con Anatoly Bargilievich. Ha lasciato l’incarico altresì il viceministro della Difesa, Oleksandr Pavliuk - ma, dicono, solo perché dovrebbe subentrare a Syrskyi quale vertice delle forze di terra.Gli avvicendamenti dovrebbero alimentare nuove aspettative messianiche, come testimonia il profluvio di analisi dei media occidentali sulle «sfide» che attendono il numero uno delle forze armate. Che in realtà parte dalla difensiva, essendosi insediato nel momento in cui i russi stanno cingendo d’assedio Avdiivka.Stavolta, gli osservatori sono molto più prudenti rispetto a quando - la scorsa primavera - presentarono la controffensiva come il momento decisivo per spezzare le reni a Vladimir Putin. Ad esempio, il New York Times, prendendo atto della fatica con cui democratici e repubblicani hanno negoziato un ennesimo pacchetto di aiuti e della posizione di Donald Trump, il candidato favorito alle presidenziali, ha sottolineato che, senza un sostegno costante degli Usa, il fronte del Paese aggredito potrebbe andare incontro a un «collasso a cascata» entro quest’anno.Peraltro, in Ucraina pare essersi rotto quel clima di concordia e unità che aveva accompagnato il sacrificio di tanti giovani nelle trincee. L’altro ieri, in piazza Maidan a Kiev, si è radunata una folla al grido «Fuori Zelensky» e «Riportate indietro Zaluzhny». I media, ovviamente, hanno visto la regia del Cremlino dietro la protesta. Dopodiché, sono mesi che il «nuovo Churchill» arranca. Guarda caso, a novembre, Zelensky ha chiuso all’ipotesi di tenere elezioni a marzo - e questo febbraio ha ottenuto un’ulteriore proroga della legge marziale, che vieta il ritorno alle urne. Poco male: per lui, la soluzione ce l’ha l’Europa. Venerdì, il commissario Ue per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, in visita nella capitale ucraina, ha lanciato il piano per la ricostruzione green della nazione distrutta dai bombardamenti. I pilastri saranno la sostenibilità, il riuso dei materiali riciclabili dagli edifici demoliti, l’impiego di metodi di «costruzione circolare» - che non significa costruire dei palazzi tondi. Bruxelles ha poi un altro proposito ambizioso: costringere la Russia a pagare gli oltre 52 miliardi di euro di danni ambientali che ha provocato con la sua campagna bellica. Auguri. Ben più concreta è stata, ieri, l’esortazione di Jens Stoltenberg. Il segretario generale della Nato ha invitato i membri dell’Alleanza a prepararsi a un conflitto decennale con Mosca e a espandere di conseguenza l’industria della Difesa, che oggi è settata sui ritmi dei tempi di pace. L’incapacità di star dietro all’avversario ha depotenziato la resistenza, che al netto della telefonata di Emmanuel Macron a Zelensky sulle «esigenze di difesa dell’Ucraina», stenta ad approvvigionarsi di munizioni. E soprattutto, ha dimostrato che l’Occidente, tecnologicamente avanzatissimo, è però impreparato a una guerra convenzionale. Le parole del norvegese, poi, delineano con chiarezza l’orizzonte che Washington sta riservando alla parte della Nato a trazione europea. Il compito che è stato assegnato al Vecchio continente è quello di contenere lo zar, eventualmente assumendosi l’onere di fronteggiare un confronto diretto con le sue truppe, ai confini Est dell’Organizzazione. Bisognerebbe domandarsi quali conseguenze comporterà tale fardello sui piani dell’Italia - che si aspettava altrettanta attenzione sul quadrante mediterraneo - oltre che sul riassetto economico dell’Europa. Joe Biden, venerdì notte, ha lodato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, per la sua scelta di raddoppiare gli aiuti militari a Kiev. Non è un mistero che il disaccoppiamento di Berlino da Mosca fosse uno degli obiettivi strategici che l’America intendeva perseguire, approfittando del conflitto scoppiato nel 2022. Il fatto è che, costretta a piegarsi ai diktat della Casa Bianca, la Germania sta pian piano cadendo a pezzi. Da ultimo, è stata Bloomberg a rimarcare che, tra le ragioni della crisi che investe il suo comparto industriale, c’è la rinuncia alle forniture a basso costo di gas russo. Un guaio per molti Paesi, ma segnatamente per la sempre meno scattante locomotiva d’Europa. L’egemonia di Berlino era problematica, certo. Ma la sua erosione apre un vulnus drammatico nel continente, specie per le imprese - incluse le nostre - che prosperavano sulla catena del valore collegata alla Germania. È un vuoto economico e politico che sarà difficile colmare limitandosi a indossare l’elmetto.
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditara (Ansa)