
Deezer entra in Borsa con l'aiuto della Spac di Pinault
Deezer, concorrente francese del più noto Spotify, ha scelto di quotarsi in Borsa a Parigi. L’ufficialità, dopo qualche giorno di indiscrezioni, è arrivata nel pomeriggio di lunedì, quando il servizio di streaming transalpino ha emanato una nota ufficiale per comunicare di aver raggiunto un accordo per essere assorbita dalla Spac I2PO.
IL RUOLO DI PINAULT
A spalleggiare l’ingresso in borsa di Deezer sarà il colosso della moda francese, la famiglia Pinault. Il veicolo di investimento è stato infatti costituito da Artemis, holding della famiglia Pinault, azionista di maggioranza del colosso del lusso Kering, proprietario di marchi come Gucci, Yves Saint Laurent e Balenciaga. A rappresentare la famiglia nel consiglio sarà François-Henri Pinault, figlio del miliardario Francois e presidente di Kering e Artemis. Insieme ad Artemis, la Spac è stata creata da Combat Holding, presieduta dal banchiere Matthieu Pigasse (ex capo di Lazard) e guidata dall’ex presidente di WarnerMedia in Francia e Germania Iris Knobloch. Deezer, nata nel 2007, è «la seconda piattaforma di musica di musica in streaming al mondo con 9,6 milioni di sottoscrittori», come ricorda la nota. L’accordo, che è subordinato al voto positivo dei soci di Deezer e di I2PO, dovrebbe completarsi entro la fine del mese di giugno. La società transalpina viene valutata 1,05 miliardi di euro. La Spac avrebbe già raccolto 135 milioni di euro tramite investimenti privati in azioni pubbliche (Pipe) raccolti dagli attuali azionisti di Deezer (tra cui Universal Music Group, Sony, Warner Music e Orange) e accordi di non riscatto.
LE QUOTE DI MERCATO
A livello mondiale, Deezer ha solo il 2% della quota di mercato secondo il gruppo di ricerca Midia con 9,6 milioni di abbonati. Per fare un paragone, Spotify rappresenta il 31% del mercato e ha circa 180 milioni di abbonati in tutto il mondo. Alle spalle di Spotify ci sono Apple Music e Amazon Music, che si fermano rispettivamente al 15% e al 13%. La società transalpina ha però una grande influenza sul mercato casalingo, dove ha una quota di mercato del 29% sfruttando accordi con Orange. Un altro Paese dove Deezer è diventato popolare è quello brasiliano, in cui ha conquistato il 17% del mercato tramite una partnerhip strategica con Tim Brasil.La famiglia Pinault ha visto del potenziale di crescita nel mercato dello streaming all’interno dell’industria della musica, già cresciuto esponenzialmente dal 2015 ad oggi. Sette anni fa, secondo l’International Federation of the Phonographic Industry (Ifpi), lo streaming musicale aveva fruttato “solo” 2,8 miliardi di dollari di ricavi. Una cifra che l’anno scorso era salita fino a 16,9 miliardi di dollari. Nel complesso i ricavi totali della musica registrati l’anno scorso sono stati poco meno di 26 miliardi di dollari.
IL TENTATIVO DEL 2015
Per Deezer si tratta della seconda volta in cui prova a quotarsi in Borsa. Nel 2015 aveva stupito i mercati con l’intenzione di aprirsi al mercato, ma era stata costretta a rinunciare citando condizioni sfavorevoli e rinviando l’ingresso in Borsa a data da destinarsi. Un momento che ora sembra giunto.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Da 56 giorni i genitori non vedono i figli. Gli assistenti sociali però non rispondono
«Voglio sapere dove sono i bambini. Sono passati 56 giorni senza vederli. Neppure una telefonata. Non sappiamo come stanno, cosa mangiano, se dormono…». Le lacrime scivolano giù con dignità sul bel volto di mamma Nadya, mentre si siede con noi sulla panca fuori, all’ingresso di casa. Siamo nel bosco di Caprese Michelangelo, piccolo borgo in provincia di Arezzo. «Con mio marito Harald», racconta Nadya, «siamo andati più volte ai servizi sociali. Ci hanno detto che non possiamo vederli perché sono in un luogo segreto. Tutto questo è un abuso. Una violenza che viene fatta a noi e ai nostri figli».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.














