2020-09-11
Muccino e gli altri. La brigata anti odio che odia Salvini
Dopo i pistolotti «antifà» di Michele Serra e Chiara Ferragni su Colleferro, scatta la gara a giustificare l'aggressione al leader leghista.Si sentiva forte il bisogno di individuare una nuova martire dell'antifascismo. Ed ecco, dalla schiuma del mare, Chiara Ferragni: la prima staffetta partigiana con i capelli lucenti di Pantene. In fondo, a ognuno il suo: c'è chi se la rischia sui monti e chi combatte ogni giorno contro i nodi sgranocchiando un Oreo. Che, per altro, è un biscotto talmente nero da suscitare forti perplessità sulla sua collocazione politica, ma passi.Che ha fatto la Ferragni per meritarsi tale onore? Ciò che sa fare meglio: seguire la corrente senza riflettere. L'influencer non poteva esimersi, ovviamente, dal commentare il brutale omicidio del povero Willy a Colleferro. Prima ha condiviso un post di suo marito, Fedez, aggiungendovi il fondamentale commento: «Dove finiremo?». Poi ha ripubblicato su Instagram un altro post, questa volta firmato da Spaghettipolitics, in cui veniva fornita un'acutissima analisi del massacro laziale. «Addirittura c'è chi propone di eliminare le arti marziali», si leggeva nel testo. «No Amo, il problema lo risolvi, cambiando e cancellando la cultura fascista e sempre resistente in questo paese di merda». Capito, Amo? Il problema è la cultura fascista, sono i fasci.Sarebbe interessante sapere su quali testi Chiara Ferragni abbia approfondito lo studio della «cultura fascista». Al liceo classico mentre sfogliava Cioè? Comunque sia, tanto le è bastato per diventare una martire della libertà.La Stampa, ieri in prima pagina, l'ha dipinta come «vittima della marea nera degli hater social». E noi già ce la vediamo, l'indomita aspirante modella, con il basco e la stella rossa, ad affrontare l'orda dei fanatici reazionari (i «fasci» di cui sopra). In sottofondo, l'antica canzone: «Chiara Ferragni, portami via…». Nicola Zingaretti, segretario del Pd, è corso a difendere la nostra bionda dalla «campagna di insulti» e ne ha apprezzato le «parole dure ma penso corrette su violenza e fascismo». Un altro po' e le cedeva il posto (non sarebbe poi male in realtà). Il meglio del meglio, tuttavia, l'ha offerto Michele Serra. Con tutta evidenza, l'editorialista di Repubblica covava da tempo una perversa passione per la Ferragni, ma solo ieri ha potuto finalmente rivelarla al mondo senza timore di essere massacrato dai suoi lettori snob. Serra descrive l'influencer e il marito come due eroi della classe operaia: «Lui un proletario di Buccinasco (periferia di Milano Sud) più tatuato di un calciatore, e lei una ragazza del ceto medio lombardo di provincia che ha fatto sì il classico, ma ha poi speso ogni sua energia per fare quattrini piacendo al popolo». Semplicemente meraviglioso: l'elogio, da sinistra, di una parabola splendidamente berlusconiana. La storia della principessa piccolo borghese e del principe rosso proletario rimata dal trovatore Serra, che da oggi in poi ribattezzeremo a buon diritto Serragnez. Egli s'infervora perché, chiamando in causa il fascismo, la Ferragni e Fedez «corrono dei rischi, sono più esposti loro due di tanti giornalisti democratici o semi-democratici che di fascismo preferiscono non occuparsi». Sono «due temerari che hanno il torto, sul fascismo, di avere ragione». Che commozione. Nello stesso articolo, Serra riesce a negare l'esistenza di una cultura di destra, a svilire in un colpo solo Evola, Gentile, D'Annunzio, Drieu La Rochelle e Céline (il solito calderone di «autori fasci» che il buon democratico cita senza conoscere) e a beatificare la Ferragni. Se il problema fossero i tardivi eccitamenti del guru di Repubblica, poco male. A mettere davvero tristezza è il livello della riflessione politica in questa sciagurata nazione. Mentre Serra e i suoi sodali battevano sui tasti gli elogi antifascisti della Ferragni, sulla Rete si muoveva la consueta onda rossa anti sovranista. Come noto, Matteo Salvini, mercoledì, è stato aggredito da una donna congolese che gli ha strappato camicia e rosario. Nulla di grave, anche se poteva andar peggio.Tra le varie dichiarazioni più o meno posticce di solidarietà di amici e nemici, è emerso uno spiritello riottoso che, pare, è parecchio diffuso in certi ambienti progressisti italiani. Giorgio Cremaschi, ex sindacalista di fama, molto considerato negli ambienti della sinistra radicale, si è espresso così su Twitter: «Nel nome del politicamente corretto dovremmo solidarizzare con Salvini che ogni giorno vomita infamie e odio verso i migranti solo perché una piccola donna coraggiosa indignata gli ha strappato quel rosario che lui brandisce come un manganello? Ma neanche per sogno». Cremaschi parla a nome di un partito, Potere al popolo, che è certo minoritario, ma non del tutto inesistente. Sulla stessa linea il regista Gabriele Muccino: «Se quella è un'aggressione, la condotta di continua aggressione di Salvini come la definiamo? Nessuna solidarietà da parte mia. Ogni comportamento ha una conseguenza. Quello che ho visto è per uno sfogo doloroso ed esasperato di una donna la cui storia non conosciamo».L'autore televisivo Alessandro Robecchi, non ha perso l'occasione per gongolare: «Credere, obbedire, far ridere. Uno che ha due rosari sotto la camicia lo perquisirei per bene, magari ha il Sacro Graal nelle tasche dei pantaloni», ha scritto, sempre simpatico come un gatto appeso all'inguine. Stefano Feltri, direttore di Domani, si è inerpicato sul sentiero dei distinguo: «Sull'aggressione a Salvini solidarietà fino a un certo punto», ha detto a La7. «Si espone volutamente, se ne frega dei protocolli». Insomma, se l'è andata a cercare. È riemerso dall'aldilà addirittura Mattia Santori, quello delle Sardine, giusto per dire che «di fronte alle provocazioni non sono improbabili risposte violente». E per fortuna che i pesciolini erano quelli buoni, antidoto alla violenza sovranista...Da un certo punto di vista, meglio l'odio palese di questa gente dell'ipocrisia di chi si mostra solidale salvo poi vomitare infamie ogni giorno. Il punto è che, forse, dovremmo domandarci per quale motivo la Ferragni bersagliata dagli «odiatori del Web» diventi una vittima da prima pagina mentre il leader del principale partito di destra italiano aggredito in strada sia uno che «se lo merita». Forse accade perché Salvini è identificato (a sproposito) come fascista, e i fascisti - lo dice anche Liliana Segre (che pure la persecuzione vera l'ha vissuta a livello fisico, quindi dovrebbe saper distinguere) - sono «ancora tra noi». E sono responsabili di ogni orrore, dall'omicidio di Colleferro all'epidemia di Covid. Dunque, se questi fascisti sono così forti e così orribili, non c'è niente di male nell'assalire colui che viene identificato come il loro capo carismatico, cioè Salvini. E a tutti gli altri «fasci» (ovvero, semplicemente, le persone di destra) è giusto riservare odio e disprezzo.Dopo tutto, Amo, lo dice la Ferragni con lo shampoo: perché tu vali, ma i fasci no.