2024-12-14
Mr fisco se ne va (con la sinistra). Pronto il programma: «più tasse»
Ernesto Maria Ruffini (Ansa)
Dietro le polemiche dimissioni del capo del Fisco, la freddezza di Pd, Italia viva e Azione per una sua discesa in campo. Il manager pubblico evoca il bavaglio ma parla di ogni cosa fuorché delle materie di sua competenza e cerca di impedire agli altri di criticarlo.Ernesto Maria Ruffini, fino a ieri esattore dello Stato, rivendica il diritto di parlare. Non di Fisco, che sarebbe poi la sua materia, ma di politica. Di Costituzione. Di partiti. Di futuro dell’Italia. E chi mai glielo negherebbe questo diritto? Quanti, dopo che sui giornali (Messaggero, Repubblica, Stampa: tutti bene addentro alle cose romane e pure alle cose della sinistra) sono uscite indiscrezioni circa una sua prossima discesa nel campo progressista, si sono chiesti a che titolo parlasse? Se cioè i suoi interventi per presentare libri prefati da Prodi e Mattarella, cioè dai padri del centrosinistra, fossero da futuro leader politico o da funzionario dello Stato? E che c’è di male a chiederlo? Avere un direttore dell’Agenzia delle entrate che invece di parlare di evasione e di come recuperarla discute di quale deve essere la migliore forma di governo per il Paese credo alimenti il legittimo sospetto che il ruolo di funzionario del Fisco gli stia un po’ stretto. E, dunque, dov’è la delegittimazione, la privazione del diritto di parlare? Semmai è proprio Ruffini, che oltre a essere figlio di un potente ministro Dc del passato, nipote di un cardinale e fratello del prefetto per la Comunicazione della Santa sede, vorrebbe impedire ad altri di discutere del curioso comportamento di un esattore che al posto di occuparsi di tasse ambisce a fare altro.Qualcuno, a destra come a sinistra e dunque in maniera bipartisan, ha sostenuto che se avesse avuto intenzione di fare politica si sarebbe dovuto dimettere, perché non ci si può candidare per una nuova formazione politica che si opponga al governo rimanendo però al servizio del medesimo esecutivo. Non è forse giusto fare un passo indietro, rinunciando alle garanzie offerte dal posto fisso ai vertici di un ufficio statale? Come si è visto nel caso di magistrati che esternano le proprie opinioni prima ancora di essere investiti da un giudizio, rivendicando la propria indipendenza, a nessuno in questo Paese è proibito parlare. Ma forse è meglio che lo si faccia da liberi cittadini, senza incarichi alle dipendenze di questa o di un’altra maggioranza.Anche se qualcuno ha subito interpretato le dimissioni di Ruffini come un gesto di protesta nei confronti del centrodestra, per via di alcune critiche alle politiche messe in atto dall’Agenzia delle entrate, come le famose letterine che invitavano ad aderire al concordato, minacciando accertamenti in caso di diniego, forse al passo indietro ha contribuito anche altro. Infatti, più degli inviti a decidere da che parte stare, se cioè da quella dello Stato o da quella dei partiti, a Ruffini pare bruciare lo scetticismo registrato fra i leaderini di centrosinistra. Forse si aspettava che alla sola ipotesi di una sua discesa in campo ci fosse un generale battimani e invece ha dovuto registrare una freddezza con temperature da Polo Nord. Calenda, Renzi, Sala e Schlein hanno accolto l’idea di un federatore della sinistra con lo stesso entusiasmo di quando ti comunicano che un parente è morto. Il capo di Azione ha liquidato la cosa con poche battute, mentre quello di Italia viva, che pure in passato gli aveva offerto il palco della Leopolda, lo ha messo di fronte alla scelta di restare funzionario del Fisco o dimettersi. Beppe Sala, che si sente in corsa per ricoprire lo stesso ruolo a cui aspira Ruffini, ha detto invece che nessuno conosce il direttore delle Entrate (mentre quando lui fu candidato alla carica di sindaco di Milano, come è noto, era popolarissimo). Quanto alla Schlein, al Nazareno l’ipotesi di un Ruffini in campo è stata commentata con un silenzio di tomba. Insomma, nessuno ha fatto i salti di gioia all’idea di un altro concorrente per il posto di premier in un ipotetico governo della sinistra. Troppi aspiranti per una sola poltrona, dev’essere stato il pensiero, il che non fa presagire nulla di buono.Nel suo addio, affidato alle pagine del Corriere della Sera, Ruffini si vanta dei risultati raggiunti contro l’evasione. Peccato che non dica che gran parte di quei soldi non sono stati recuperati scoprendo chi non pagava le tasse, ma inventando sempre nuovi e occhiuti controlli a carico di chi le imposte già le versava. Sappiamo tutti come funziona: si sguinzagliano gli agenti e si contesta qualche omissione e anche se è dubbia si mettono in atto le ganasce fiscali che impediscono al contribuente di continuare a lavorare serenamente, in modo che alla fine il soggetto sia costretto a pagare. A Ruffini disturba che qualcuno abbia chiamato tutto ciò pizzo di Stato. E che cos’è? Una carezza a mano armata?P.s. L’ex direttore delle Entrate, dopo aver dato le dimissioni per aver parlato di politica, nega di voler entrare in politica. Peccato che, come nota la collega Sarzanini, nell’intervista parli solo di politica. E quando non ne parla fa capire che il programma per un futuro governo è già scritto e ricorda un vecchio slogan, ma rovesciato: più tasse per tutti.
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