2022-09-15
Con Mosca e Pechino un’intesa iniziata da Prodi e D’Alema
Enrico Letta e Vladimir Putin (Ansa)
L’impennata negli acquisti di gas russo partì nel 2013 con Enrico Letta al governo ed è proseguita con Paolo Gentiloni e Matteo Renzi. Gli ossequi a Xi Jinping.La premessa è quella acutamente messa a fuoco dal direttore di Atlantico, Federico Punzi: «Non lasciatevi abbagliare dagli specchietti per le allodole. Se volete i nomi di chi ha lavorato per Vladimir Putin, finanziato o meno, basta cercarli in chi ci ha resi dipendenti dal suo gas. Aveva in mano capi di governo, vertici di società energetiche: e dovremmo cercare la paranza?». E questa lucida osservazione chiude di per sé la discussione. Ma c’è dell’altro. È veramente un esercizio di ipocrisia e doppiopesismo guardare solo da una parte per cercare le zone d’ombra su questa materia. Vogliamo compiere un’operazione-verità sulle influenze cinesi e russe in Italia da molti anni? Lasciamo da parte tutto ciò che è avvenuto prima del 1989, con il Pci (progenitore politico del Pds-Ds-Pd) che fu sistematicamente foraggiato da Mosca: e già questo dovrebbe far arrossire chi, adesso, si affretta a indossare panni atlantisti, senza avere alcuna credibilità né politica né morale. Restiamo solo ai decenni post caduta del Muro, invece, con particolare attenzione agli ultimi 10-15 anni. L’Enrico Letta che oggi catoneggia dev’essere forse un omonimo del Letta che, dal 2013, fece impennare gli acquisti italiani di gas russo; un omonimo del Letta che, in quello stesso anno, firmò a Trieste ben 28 accordi con Putin; e ancora un omonimo del Letta che a inizio 2014 fu praticamente l’unico leader occidentale che andò a omaggiare Putin alle Olimpiadi invernali di Sochi.Indirettamente, e omettendo solo di esplicitare nomi e cognomi, è stato lo stesso Mario Draghi, il 9 marzo scorso, in Parlamento, a evidenziare la contraddizione, stigmatizzando il fatto che i nostri acquisti di gas russo sono schizzati verso l’alto dopo il 2013-2014: «Trovo incredibile, guardando i dati degli ultimi anni, che sia aumentata la fornitura dalla Russia anche dopo l’invasione della Crimea: questo sottolinea una sottovalutazione da parte della politica estera». Queste - ineccepibili - le parole di Draghi: peccato che il premier abbia dimenticato di menzionare chi fossero in quella legislatura 2013-2018, gli inquilini di Palazzo Chigi, e cioè prima Enrico Letta, e poi, a ruota, altri due esponenti del Pd. I numeri parlano chiaro: l’impennata negli acquisti da Mosca inizia nel 2013, quando al governo c’era Letta: circa 28 miliardi di metri cubi di gas (su quasi 62 miliardi in totale), e cioè una percentuale superiore al 45%. I livelli si confermano altissimi nel 2014 e nel 2015, fino a raggiungere il top (33 miliardi su oltre 69) nel 2017, quando a Palazzo Chigi sedeva Paolo Gentiloni. Nel mezzo, non fece mancare il suo contributo di amicizia verso Mosca anche Matteo Renzi, con tanto di intervento da capo di governo, nel 2016, al Forum economico internazionale di San Pietroburgo. Ma non perdiamo di vista Letta. Come accennato, sempre in quell’intensissimo 2013, in una gelida giornata di fine novembre, a Trieste, in questo caso tre mesi prima dell’attacco russo in Crimea, furono siglate in presenza di Letta e Putin ben 28 intese commerciali, con la partecipazione di amplissime delegazioni ministeriali e (ovviamente) di una miriade di attori imprenditoriali di prima grandezza. Inutile dire che la parte del leone di quel mega accordo riguardò esattamente il settore energetico. Da allora a adesso è passato molto tempo, e forse sarebbe troppo severo misurare con il metro di oggi - dopo l’aggressione russa all’Ucraina - le collaborazioni di allora, specie quelle industriali e finanziarie. Ma la scelta politica di fondo, quella sì, resta un clamoroso errore strategico: aver consegnato sempre di più l’Italia a una devastante dipendenza energetica da Mosca. Così come non sappiamo che titoli abbia Repubblica per concedere o ritirare patenti a chicchessia, considerando il supplemento Russia oggi uscito per anni, come inserto mensile, insieme al quotidiano progressista italiano: e, per esplicita ammissione di Repubblica, si trattava di un prodotto frutto della collaborazione con testate ed enti russi. Ma non finisce qui, specie se allarghiamo il tema alle influenze cinesi. Certo, balzano agli occhi errori reiterati (o peggio) da parte del Movimento 5 stelle, e qualche sbandata (a dir poco) della Lega. E però che titolo ha la sinistra per pontificare? Vogliamo ricordare chi è stato il premier italiano che (unico nel G7) partecipò al primo Belt and road forum nel 2017? È stato Paolo Gentiloni. Vogliamo ricordare chi sono state le figure che più si sono spese, culturalmente e nella discussione pubblica di questi anni, per tessere la tela delle relazioni geopolitiche con la Cina? Sono stati Romano Prodi e Massimo D’Alema. Vogliamo ricordare chi è stato il presidente della Repubblica che ricevette al Quirinale come un imperatore, con tanto di scorta d’onore di corazzieri a cavallo, il tiranno cinese Xi Jinping? È stato Sergio Mattarella. Tutto assolutamente legittimo, ci mancherebbe. Però questa piccola galleria di ricordi ci fa capire che troppi fanno finta di dimenticare che non solo da parte di Matteo Salvini o Giuseppe Conte c’è stato un problema nell’orientare la propria bussola geopolitica in questi anni. Dunque, le persone serie - ovunque collocate - dovranno impegnarsi non ad alimentare un clima di confusa colpevolizzazione del bersaglio politicamente sgradito, ma a fare il possibile per non permettere a dittature e autocrazie di approfittare di nessuna debolezza, né da una parte né dall’altra. E, per le ragioni ampiamente spiegate, il problema riguarda l’intero arco politico.
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